di continuitas
Molti ne hanno parlato e ne parlano. Alcuni con timore, quasi a volerlo scacciare dalla mente; altri per invocarlo e proporlo come la soluzione di tutti i mali. E’ una specie di spettro che si aggira per le sagrestie e i conventi, si intrufola nei convegni e nelle riunioni pastorali, brandito e temuto: è lo “spirito del Concilio”. Per la teologia di marca progressista, si tratta quasi della vera innovazione del Vaticano II, che non andrebbe ricercata nella lettera dei documenti che esso produsse, ma in un presunto spirito che animò i Padri Conciliari e quegli anni. E’ stato usato come pretesto per proporre – lo diciamo fin da subito – tante aberrazioni in campo dottrinale e pastorale. Sacerdozio femminile, relativismo culturale, dedogmatizzazione della dottrina, accettazione dell’aborto e dell’eutanasia: ecco un campionario di tesi che potrebbero essere state sostenute in nome dello “spirito del Concilio”.
A questi evidenti eccessi e gravi errori, ha reagito una teologia più tradizionale, che ha finito col respingere e stigmatizzare lo “spirito del Concilio”.
In effetti, per noi oggi esso significa soprattutto strambe (quando va bene) o eretiche (quando va male) proposte di cambiamento nella Chiesa. Questo perché una certa deteriore teologia progressista – ma forse non merita neanche l’appellativo di teologia – se ne è appropriata e ne ha fatto uno dei propri emblemi.
E’ per questo che alcuni, forse con non poca, intima sorpresa, scopriranno che in realtà questo spettro, questo fantasma, questo “spirito”, fa parte del Magistero pontificio. Vediamo di approfondire un attimo la questione, attingendo ai documenti dei Papi post-conciliari.
Il Pontefice che più di tutti e prima di tutti ha fatto riferimento allo “spirito del Concilio” è stato Paolo VI. E non è certo una sorpresa, essendo stato il Pontefice che ha chiuso l’assise conciliare e ha poi gestito i burrascosi anni dell’ “aggiornamento”.
E proprio il giorno della chiusura del Vaticano II papa Montini, parlando del Consiglio per l’applicazione della Costituzione sulla liturgia, fa riferimento al fatto che esso deve “far applicare questa Costituzione [la Sacrosanctum Concilium] secondo le decisioni e lo spirito del Concilio che l’ha approvata.” Poco dopo, il 29 dicembre dello stesso anno, durante l’Udienza Generale ritorna sul tema. “È perciò importante che nell’ambito ecclesiale, nei nuclei specialmente dei fedeli più fedeli, del Clero e dei Religiosi, dei Cattolici coscienti ed impegnati, rimanga la persuasione che il Concilio è tuttora operante; anzi, che esso diventa operante dopo la sua chiusura. Questo stato d’animo è stato definito «lo spirito del Concilio».” Proseguiva così: “L’espressione è molto alta e bella; ma esige d’essere precisata per non diventare vaga e feconda di idee approssimative e fors’anche pericolose.” Dunque il Papa già sembrava presagire che la ribellione poteva nascondersi sotto fragili pretesti. E si chiedeva: “Che cosa s’intende per «spirito del Concilio»?” E si concentra su un aspetto dello stesso: il “fervore“, atto a “a infondere cioè nel Popolo di Dio risveglio, consapevolezza, buon volere, devozione, zelo, propositi nuovi, speranze nuove, attività nuove, energia spirituale, fuoco“. Ma sono tutte le Udienze Generali di quel periodo che il Papa usa per delineare questo “spirito”. Prendiamo ad esempio quella del 26 gennaio 1966. In essa, tra le altre cose, il Papa affermava che “Abbiamo [...] indagato sommariamente lo spirito del Concilio, e Ci sembra di averne potuto indicare alcuni caratteri salienti, che dicono essere stato animato il Concilio da uno spirito di fervore e di rinnovamento, da uno spirito comunitario, da uno spirito apostolico, pastorale, missionario ed ecumenico, da uno spirito di verità e di fedeltà alla dottrina religiosa della Chiesa.“
Di certo il Papa non intendeva difendere coloro che strumentalizzavano il Vaticano II per difendere i propri errori e deviazioni: per esempio, il 12 gennaio 1966 affermava che “davvero lo «Spirito del Concilio» vuol essere Spirito di verità“. Passano alcuni mesi e Paolo VI ritorna su quest’espressione per difendere uno degli aspetti più negletti del post-Concilio, l’obbedienza: “L’obbedienza, interpreta lo spirito del Concilio? Non ha parlato il Concilio dei diritti della personalità, della coscienza, della libertà? Sì, ha parlato di questi temi, ma non ha certo taciuto quello dell’obbedienza.” (cfr. Udienza Generale del 5 ottobre 1966)
Ma non hanno ragione neppure quelli che interpretano il Vaticano II come una mera conferma di quello che si era detto e fatto prima, senza il minimo aspetto di riforma. Afferma infatti Paolo VI che “Finito il Concilio, tutto ritorna come prima? Le apparenze e le abitudini risponderanno che sì. Lo spirito del Concilio risponderà che no. Qualche cosa, e non piccola, dovrà essere anche per noi – per noi anzi soprattutto – nuova.” (cfr. Discorso ai cardinali, arcivescovi e vescovi d’Italia, 6 dicembre 1965)
E lo spirito del Vaticano II non è un qualcosa di inerte, ma che deve infiammare gli animi: “Il cristiano, che si pone alla scuola del Concilio, deve sentirsi stimolato ad una nuova, più chiara, più intensa, più apostolica professione della propria fede. Lo spirito del Concilio, si direbbe, soffia nelle anime per riaccendere in esse una più viva fiamma di fede.” (cfr. Udienza Generale del 14 dicembre 1966) e “deve formare in noi una nuova ed autentica mentalità cristiana e deve esprimersi in un nuovo stile di vita ecclesiale” (cfr. Udienza generale del 24 giugno 1970). Non è cosa da poco, anche perché questo tendenza dell’animo si deve addirittura “professare” (cfr. Discorso al Patriziato e nobiltà romana del 13 gennaio 1966). E’ uno spirito importante per il post-Concilio, lo ribadirà anni dopo: “Per l’attualizzazione della Chiesa oggi non bastano più direttive chiare o grandi quantità di documenti; ciò che manca sono personalità e comunità che incarnino e trasmettano lo spirito del Concilio in modo consapevole” (cfr. Allocuzione del 2 febbraio 1972).
Questo spirito anima le riforme postconciliari: “L’attività svolta dalla Santa Sede in questo periodo, come ognuno può vedere, riveste due caratteri: intensità di lavoro e fedeltà al Concilio. Si vorrà riconoscere che si procede con alacrità e fermezza, e con spirito di sincera fedeltà alla lettera e soprattutto allo spirito del Concilio.” (cfr. Discorso al Sacro Collegio del 24 giugno 1967) e “deve fare sentire il suo benefico influsso rinnovatore in ogni settore della vita religiosa” (cfr. Udienza Generale del 18 gennaio 1967). E’ uno spirito “che vorremmo puro e ardente“, afferma il Papa (cfr. Udienza Generale del 18 settembre 1968)
Ma la ribellione serpeggia e Paolo VI si sente in dovere di precisare e mettere in guardia: “vi è una tendenza a far scomparire il nome di cattolico, a tutto laicizzare e desacralizzare. Sarebbe tale tendenza conforme allo spirito del Concilio? Avrebbe essa la virtù di animare quel rinnovamento che il Concilio intende promuovere? Fatte le debite distinzioni, a Noi non sembra.” (cfr. Udienza generale del 23 agosto 1967). Già qualche tempo prima aveva avuto occasione di proporre ai fedeli l’adesione “al vero spirito del Concilio” (cfr. Discorso a santa Maria Maggiore dell’8 dicembre 1966): segno che il Pontefice riconosceva l’esistenza di un falso spirito.
Passano alcuni anni e, con la tempesta post-conciliare che diventa sempre più burrascosa, anche il Papa torna sul tema per precisare, per far stigmatizzare il falso spirito conciliare. Nell’udienza generale del 5 marzo 1969 dice che “Il Concilio dev’essere conosciuto : chi lo conosce veramente? Molti credono di conoscerlo per l’idea vaga e generica, che se ne fanno, come d’un rivolgimento, che ci distacca dalle tradizioni complicate e pesanti del passato, e che autorizza ad assumere atteggiamenti di pensiero e d’azione avventati, quasi che questo fosse lo spirito del Concilio.” I novatori, dunque, non hanno affatto compreso il vero spirito del Vaticano II, anche se lo affermano a parole. E quando propongo Cristo come rivoluzionario? Il Papa risponde che “Voler ravvisare in Cristo, riformatore e rinnovatore della coscienza umana, un sovversivo radicale delle istituzioni temporali e giuridiche, non è interpretazione esatta dei testi biblici, né della storia della Chiesa e dei Santi. Lo spirito del Concilio mette il cristiano a confronto col mondo in termini del tutto diversi” (cfr. Udienza generale del 21 ottobre 1970). Persino il culto mariano, tanto inviso ad alcuni, viene da papa Montini giustificato anche col seguire questo spirito (cfr. Omelia del 3 febbraio 1969).
Tuttavia, nonostante le distorsioni, il Papa rifiuta di cedere lo spirito del Concilio a certe frange e ancora il 30 aprile 1975, all’Udienza Generale, propone ai fedeli di orientare il Giubileo secondo lo spirito del Concilio, mentre l’anno prima l’aveva citato nella lettera apostolica Apostolorum Limina (23 maggio 1974): “noi esortiamo vivamente tutti i responsabili a riflettere intorno a questi intendimenti, a prendere iniziative, a prestarsi reciproco aiuto, di modo che durante l’anno santo si compiano passi decisivi nel rinnovamento ecclesiale e nel cammino verso alcune mete, che ci stanno particolarmente a cuore secondo lo spirito del concilio Vaticano II, proiettato verso l’avvenire: è cioè necessario che la penitenza, la purificazione interiore e la conversione a Dio procurino, come loro naturale conseguenza, un ulteriore sviluppo della azione apostolica della Chiesa.“
Abbiamo fin qui parlato dello spirito del Vaticano II. Ma non è l’unico Concilio della storia della Chiesa e infatti nel Magistero di Paolo VI troviamo che egli parlò anche dello spirito del Concilio di Trento (cfr. Omelia dell’8 marzo 1964). In quell’occasione il Papa parlò del “ricordare, conservare, rivivere lo spirito del grande Concilio” ed esortava i fedeli trentini a “tenere acceso questo spirito, come una fiaccola“, perché “lo spirito del Concilio di Trento è la luce religiosa non solo per il lontano secolo decimosesto, ma lo è altresì per il nostro; perché lo spirito del Concilio di Trento riaccende e rianima quello del presente Concilio Vaticano, che a quello si collega e da quello prende le mosse per affrontare i vecchi ed i nuovi problemi rimasti allora insoluti, o insorti nel volgere dei tempi nuovi.“
FINE PRIMA PARTE – CONTINUA
fonte "Continuitas"
Nessun commento:
Posta un commento