domenica 22 dicembre 2013

Primo, recuperare la verità del matrimonio

 
 



di padre Giorgio Carbone

«È un contratto»: è questa la risposta più frequente quando domando a gruppi di persone di età eterogenea, già sposate o solo fidanzate, cos’è il matrimonio. Poi, chiedo anche qual è il fine, la meta ultima del matrimonio. E le risposte più frequenti sono: «L’amore, la famiglia, i figli». Raramente qualcuno risponde: «La santità dei coniugi», che è la risposta giusta. Non sono in grado di dire la rilevanza statistica di queste risposte all’interno di un gruppo vasto di popolazione. Però per la nostra analisi per ora è sufficiente sapere che è diffusissimo il convincimento che il matrimonio sia un contratto che ha come meta l’amore e/o i figli. E ne sono convinti un po’ tutti, credenti e non credenti, giovani sposi e anziani, fidanzati o singol.

Questa convinzione dimostra almeno un fatto: a livello comune si sono smarrite due verità circa il matrimonio.


La prima verità dimenticata è che il matrimonio, più che un contratto, è un sacramento. Il contratto dal punto di vista formale è un accordo tra due o più parti che ha per oggetto beni di carattere patrimoniale. Ma il matrimonio è un’altra cosa, è sacramento, cioè una res sacra, un’alleanza tra una donna e un uomo, che trova in Dio la sua origine, la sua consistenza e il suo termine. Perché è Dio Amore che chiama gli sposi all’amore reciproco: il matrimonio non è un incontro fortuito, ma è una chiamata divina, una vocazione il cui attore è Dio. Gesù lo chiama: Ciò che Dio ha congiunto (Marco 10,9).


 In secondo luogo, Dio facendo sperimentare la sua misericordia, la sua tenerezza, la sua pazienza al coniuge, chiama questo coniuge a comunicare all’altro la stessa misericordia, tenerezza e pazienza ricevute: questo significa essere ministri di Cristo nel sacramento del matrimonio. I coniugi vivendo insieme e amandosi si scambiano le cose ricevute da Cristo: realizzano così una comunione divina e non soltanto umana, comunione umano-divina che è simile a quella tra Cristo e la Chiesa, comunità dei credenti come dice Efesini 5,25-32: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei [...]“. Questo è un grande mistero: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa.


 In terzo luogo, Dio è il termine, cioè il fine del matrimonio, perché il giorno delle nozze il coniuge accoglie la persona dell’altro coniuge in vista di Cristo, cioè per condurlo a Cristo, per camminare insieme verso il Signore: è una vocazione comune alla santità.

Ed è questa anche la seconda verità dimenticata del matrimonio: la santità, cioè il desiderio di conversione a Cristo e di conformarsi a lui in tutto, nella mentalità e nei gesti concreti.

Che il matrimonio sia ridotto a un contratto o a una mera convenzione sociale e che si sia smarrita la sua destinazione alla santità sono il risultato di uno sguardo, non orizzontale, ma degradante dell’esistenza umana. Abbiamo espulso Dio dalle nostre considerazioni, non ci sforziamo più a conformare la nostra mentalità a quella di Cristo, che egli stesso ha manifestato nei Vangeli, e la conseguenza è la perdita del senso dell’esistenza, del significato della relazione matrimoniale, che fonda l’esistenza umana. Eppure vivere la fede teologale significa propriamente pensare secondo i pensieri di Dio, cioè sintonizzare la nostra intelligenza, la nostra mentalità, i nostri convincimenti sul pensiero di Gesù Cristo.

Inoltre, la diffusione acritica dell’opinione secondo la quale il matrimonio sia un contratto e il non considerare che la sua meta è la santità dovrebbero farci prendere atto che spesso i matrimoni che vediamo celebrati in chiesa in realtà non sono sacramenti, cioè sono matrimoni nulli. Gli sposi, pur dicendo sì con le labbra, in realtà non credono al matrimonio come lo crede Cristo e la sua Chiesa. Gli sposi hanno una concezione mondana del matrimonio, è un contratto, e come tutti i contratti è nella totale disponibilità delle parti, le parti possono rescindere il contratto quando vogliono. Quando invece, essendo un sacramento, è una realtà che è di Cristo, ha un’origine, una consistenza e un fine divini.

Pur dicendo sì con le labbra, ritengono che il matrimonio duri finché c’è il sentimento dell’amore. Quando invece il matrimonio si fonda sull’amore ricevuto da Dio, e quindi è per sempre come è per sempre l’amore che Dio ha per noi. Pur dicendo sì con le labbra, gli sposi non si accolgono totalmente come persone perché escludono positivamente la possibilità di avere figli ricorrendo in modo abituale alla contraccezione. Infatti, il coniuge che usa metodi contraccettivi, proprio con il gesto sessuale che dovrebbe significare la donazione totale di sé all’altro, in realtà non dona totalmente se stesso perché riserva a sé la capacità di diventare padre o madre: quindi dice una grande bugia all’amore totale.

Le discussioni recenti circa l’atteggiamento pastorale verso le persone che vivono il fallimento di un matrimonio e che caso mai sono passate a una convivenza o a un matrimonio civile non possono prescindere da queste due verità su ricordate perché sono verità evangeliche. La Chiesa, come comunità di credenti, ha la vocazione di essere sposa di Cristo, evidentemente fedele e non fedifraga.

Quindi, è chiamata ad annunciare sempre la verità del matrimonio sacramento indissolubile perché questo è l’insegnamento di Cristo suo sposo: basti leggere Marco 10,5-9; Matteo 19,4-9; Luca 16,18. Tutti noi credenti se vogliamo vivere la virtù teologale della fede avvertiamo l’esigenza di obbedire e di uniformare la nostra mentalità all’insegnamento di Cristo Signore. Allo stesso tempo non possiamo amare rinunciando alla verità e né possiamo conoscere la verità senza amare: la conoscenza del vero e l’amore del bene sono moti strutturali e identificativi dell’essere umano.

In ragione del vero e dell’amore non possiamo generare illusioni in nessuno, e quindi neanche far pensare che la prassi della Chiesa circa l’indissolubilità del matrimonio sia prossima al cambiamento, oppure che dopo il Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014 le persone divorziate e passate a nozze civili saranno assolte e ammesse alla comunione eucaristica. Se le persone divorziate e risposate civilmente fossero ammesse alla comunione eucaristica, la comunità dei credenti rinuncerebbe a essere fedele a Cristo che insegna l’indissolubilità del sacramento del matrimonio.

A mo’ di conclusione riassumo dei possibili rimedi pratici.


 1) Preparare i fidanzati al matrimonio in modo più serio e completo, facendo conoscere che il matrimonio è una cosa di Cristo, e non una cosa degli sposi, è una vocazione divina alla santità;
2) Considerare che tutti i sacramenti sono un dono che la Chiesa riceve da Cristo, e non sono un diritto da rivendicare, così anche la comunione eucaristica;
3) Rendere più snelli e veloci i processi canonici relativi all’accertamento della nullità del sacramento del matrimonio;
4) Demolire l’opinione diffusa secondo la quale i divorziati risposati sarebbero scomunicati. E piuttosto accogliere questi credenti e far conoscere loro che, anche se vivono in una condizione oggettivamente disordinata che è il convivere con una persona che non è il proprio coniuge, possono e anzi devono vivere la fede, la speranza, la carità, partecipare alla Messa, pregare insieme e singolarmente, vivere la penitenza e il desiderio di conversione e che il dolore e l’amarezza di non poter ricevere l’eucaristia hanno un valore salvifico che può condurle alla sincera conversione del cuore a Cristo Signore.





Fonte: lanuovabq.it


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