sabato 28 maggio 2011
Recensione di un libro sull’Eucarestia di mons. Giampietro
Mons. Nicola Giampietro è un sacerdote della diocesi di Sulmona che lavora presso la Congregazione del Culto divino come Officiale, ed è noto agli specialisti della liturgia cattolica per vari suoi studi scientifici, pubblicati su riviste specialistiche e tradotti in molte lingue, soprattutto poi il suo corposo saggio sul Cardinale Ferdinando Antonelli e la riforma liturgica post-conciliare (pubblicato nel 1998).
Ora ci presenta uno studio interessante e che farà discutere su altri aspetti della svolta liturgica iniziata sotto Pio XII e proseguita negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso (cfr. N. Giampietro, La concelebrazione eucaristica e la comunione sotto le due specie nella storia della Liturgia, Fede e Cultura, Verona 2011, euro 30,00).
Il saggio si apre con una prefazione elogiativa del card. Antonio Cañizares Llovera, attuale Prefetto del Culto divino, il quale all’interno della storia della concelebrazione ripercorsa dall’Autore, nota che «lo studio di mons. Giampietro è essenziale per comprendere alcuni punti essenziali piuttosto dimenticati, che meritano d’essere messi in risalto affinché le questioni rituali ricevano soluzioni adeguate» (p. 6). «Ad esempio, prosegue il prelato, non si può dimenticare che l’actio Christi nella Messa ha il suo punto centrale nella consacrazione e che la consacrazione deve essere validamente compiuta» (p. 6). Due verità forse banali ma che hanno rischiato di essere travolte dall’aggiornamento liturgico intempestivo e disordinato di questi decenni, aggiornamento che non metteva affatto al centro del Culto cattolico la persona di Cristo vivo presente sull’altare del sacrificio, bensì il Testo Sacro o il Popolo con-celebrante! Il Card. Llovera sottolinea poi che la concelebrazione, prassi molto antica in verità, ma riservata a rari casi prima del Vaticano II, anche oggi, «non è obbligatoria e (…) ogni sacerdote ha il diritto di celebrare la messa individualmente» (p. 7). Questa libertà del clero è stata negli ultimi anni disprezzata e misconosciuta da non pochi Ordinari e in molte congregazioni religiose con gravissimi danni sia alla spiritualità del presbitero, che alla comunità dei fedeli e all’onore di Dio. Persino recentemente un vescovo italiano ha vietato alle comunità religiose della sua diocesi di celebrare pubblicamente più di una Messa al giorno, anche in presenza di molti sacerdoti!
In tale difficile contesto viene giustamente ricordato il fatto che la concelebrazione nella mens conciliare doveva favorire l’unione simbolica, affettiva ed effettiva del sacerdozio cattolico, senza però dar luogo a Messe in cui i celebranti fossero quasi più numerosi degli assistenti, anche perché quando molti preti sono attorno al sacro altare ed anzi alcuni risultino discosti da esso c’è un rischio di invalidità. «La non ottemperanza di tale principio [della prossimità reale tra sacerdote e ostie], secondo il grande studioso della liturgia Klaus Gamber, dopo la riforma liturgica avrebbe fatto aumentare considerevolmente il numero delle Messe invalide» (p. 7). Cosa non certo di poco conto! Il testo dopo una sintetica «storia della Concelebrazione» (pp. 15-24) e dei cenni importanti sul movimento liturgico di primo Novecento (pp. 25-40), si concentra sul Concilio e il nuovo rito della concelebrazione (pp. 41-118). Un capitolo importante è dedicato al nuovo rito della Comunione sotto le due specie (pp. 144-176), senza ometterne i rischi e i pericoli già individuati in passato, per esempio al Concilio di Trento e dai Padri conservatori al Vaticano II, come Ottaviani, Ruffini e altri (cfr. pp. 147-149). In Appendice sono riportati i documenti ufficiali circa i temi trattati nel testo (pp. 184-329). Di sicuro si tratta di un’opera che mancava, importante, indirizzata soprattutto agli studiosi di liturgia, gli addetti ai lavori e i laici di buona cultura teologica.
Fonte: CR n.1193 del 28/5/2011
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