mercoledì 25 maggio 2011

Pensieri sparsi su "Universae Ecclesiae"



Testo preso da: Cantuale Antonianum http://www.cantualeantonianum.com/






Inizio - e a Dio piacendo continuerò a pubblicare - una serie di post che vertono sull'Istruzione vaticana di recente pubblicazione "Universae Ecclesiae", concernente l'applicazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum", documento papale che ha liberalizzato la celebrazione della Messa secondo il rito romano vigente nel 1962.
Li chiamo "pensieri sparsi" perchè non seguiranno una scaletta rigorosa, ma saranno il frutto di meditazioni estemporanee sui singoli numeri che più mi colpiscono.


Innanzitutto il num. 2 dell'Istruzione, in latino recita: "Hisce Litteris Motu Proprio datis Summus Pontifex Benedictus XVI legem universalem Ecclesiae tulit ut regulis nostris temporibus aptioribus quoad usum Romanae Liturgiae anno 1962 vigentem provideret".
La versione italiana traduce: Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.
Faccio però notare che si perde per strada l'attributo di questa presunta "nuova normativa", che in realtà - leggendo il testo originale - si riferisce a regole più adatte ai nostri tempi, non tanto "rinnovare", ma semplicemente "riadattare" ai nostri tempi l'antica liturgia Romana.
Ma questo è l'intento dello stesso Concilio Vaticano II. Sacrosanctum Concilium, n. 62 dice in termini generali: "Cum autem, successu temporum, quaedam in Sacramentorum et Sacramentalium ritus irrepserint, quibus eorum natura et finis nostris temporibus minus eluceant, atque adeo opus sit quaedam in eis ad nostrae aetatis necessitates accommodare, Sacrosanctum Concilium ea quae sequuntur de eorum recognitione decernit.". Già il proemio della Costituzione affermava con chiarezza: "Sacrosanctum Concilium, cum sibi proponat vitam christianam inter fideles in dies augere; eas institutiones quae mutationibus obnoxiae sunt, ad nostrae aetatis necessitates melius accommodare"


E' quindi piuttosto chiaro che nell'Istruzione si intende asserire: "stiamo continuando la riforma liturgica conciliare, sistemando per i nostri tempi quello che si deve sistemare". Non "novità", ma "nuovamente": "non nova, sed noviter".


Il num. 7 dell'Istruzione "Universae Ecclesiae" esplicita il motivo della necessità di dare una nuova legislazione per la Messa antica, dice infatti: "Increscentibus magis magisque in dies fidelibus expostulantibus celebrationem formae extraordinariae", ovvero: "crescendo sempre più di giorno in giorno i fedeli che richiedono la celebrazione della forma extraordinaria", il Papa ha pensato perciò al Motu Proprio, per colmare una lacuna lasciata dai suoi predecessori, i quali avevano solo fornito indulti e indicazioni frammentarie in materia. Summorum Pontificum, invece "costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale". Deve essere chiaro a tutti che il Rito Romano, come afferma il Concilio Vaticano II (SC 22), è regolato primariamente dalla Sede Apostolica. I Vescovi sono chiamati a vigilare e a far rispettare la normativa liturgica, ma non sono essi i depositari del munus (cioè il diritto-dovere) di legiferare sulla forma o riforma della liturgia per la Chiesa universale (Cf. anche Codice di Diritto Canonico, c. 838 §1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
§2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque. §4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti).



Il primo obiettivo della normativa data dal Papa nel Motu Proprio è ribadito dall'Istruzione con limpidezza cristallina, in modo da non poter essere più equivocato da nessuno:
a) Liturgiam Romanam in Antiquiori Usu, prout pretiosum thesaurum servandum, omnibus largire fidelibus;
offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare.
Non a qualche gruppo, non ai nostalgici, non ai maniaci delle cose sorpassate, ma a TUTTI i fedeli è offerto un TESORO prezioso da conservare. Non c'è altro da aggiungere.







La forma Ordinaria e la forma Extra-ordinaria del Rito Romano sono dette, dall'Istruzione "Universae Ecclesiae": "giustapposte", messe fianco a fianco:
Num. 6: "...duae expressiones Liturgiae Romanae exstant, quae respective ordinaria et extraordinaria nuncupantur: agitur nempe de duobus unius Ritus Romani usibus, qui ad invicem iuxta ponuntur".
Non si dà quindi contrapposizione, ma giustapposizione: "L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore" (Cf. n. 6).
Il prof. Andrea Grillo così si è espresso: "Il parallelismo ufficiale di due diverse forme del medesimo rito - di cui la più recente è sorta per emendare e superare le distorsioni e le lacune della precedente - non ti pare che di fatto relativizzi e metta come "sotto embargo" la condivisione universale della scelta della "riforma liturgica"?". E arriva perfino a scagliarsi conto il Motu Proprio "Summorum Pontificum", con parole che non esito a definire "temerarie", perchè rivolte ad un atto del magistero ordinario del Papa, e dice: "attraverso i provvedimenti che dal 2007 sono stati adottati in questo ambito, venga introdotta nel corpo ecclesiale una tensione sempre maggiore tra due forme di esperienza del rito che, come tali, non sono affatto compatibili, ma rispondono a diversi paradigmi ecclesiali, affettivi e testimoniali".
Grillo vede solo "contrapposizione", e non condivide affatto i presupposti di Benedetto XVI, il quale cerca la "pace liturgica", offrendo libertà e pluralismo nel recupero della tradizione celebrativa della Chiesa romana.
A Grillo pare una "mostruosità" che esistano due "Ordines Missae" per una stessa Chiesa "rituale". Ma da sempre nella Chiesa latina esistono riti diversi, anche molto diversi, tra loro: il romano, l'ambrosiano, il bracarense, il mozarabico, il rito domenicano e carmelitano.... Calendari parzialmente diversi, santorali molto diversi, ordinario della messa con variazioni di grande rilievo: eppure convivevano e convivono pacificamente.

Guardiamo in casa d'altri. Probabilmente non vale per noi, ma non possiamo esimerci dal costatare che la liturgia bizantina offre da sempre una forte duplicità rituale, attraverso le liturgie di San Giovanni Crisostomo (ordinaria, nel senso che è celebrata più spesso) e quella di San Basilio Magno (straordinaria, solo perchè più rara) - alle quali, per la verità, si dovrebbe anche aggiungere la rarissima Liturgia di San Giacomo (da cui le precedenti derivano). Certo non sono "fasi evolutive" dello stesso rito, eppure sono liturgie diverse, pur dello stesso ceppo, e convivono pacificamente.
Ma che dire, invece, dei nostri "fratelli" anglicani e luterani. La Chiesa d'Inghilterra ha avuto anche lei, dopo la nostra, una riforma liturgica dell'"Ordo Missae", con il risultato di aver ora "giustapposti" nel suo libro liturgico per la Holy Communion due "Orders": quello nuovo, con un linguaggio moderno, con varie preghiere eucaristiche, in tutto simile alla messa romana di Paolo VI, e quello "antico", cioè del Book of Common prayer, con il suo linguaggio seicentesco e la sua struttura "anglicanamente" tradizionale.
Lo stesso dicasi per i Luterani. Hanno un rito "nuovo", ma non per questo hanno ripudiato la Deutsche Messe che rimonta al loro stesso capostipite riformatore: Martin Lutero (il quale, prima della versione in tedesco, aveva riformato la "santa cena" in lingua latina!).


Possiamo perciò dire che, buoni ultimi, siamo arrivati anche noi cattolici d'Occidente a cogliere nella pluralità dei testi per la celebrazione eucaristica, una occasione per osservare il mistero inesauribile da più punti di vista. Quelli più "moderni", che ci aprono ad una visione discendente della liturgica, e quelli più antichi, che conservano il senso "ascendente" del sacrificio conviviale. Tenendoli insieme abbiamo un arricchimento. Chi vede contrapposizione e parla di "rito non più vigente" che sarebbe stato rianimato, purtroppo, non riesce a cogliere che: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso". Queste righe del "Summorum Pontificum" di Papa Benedetto sono la bussola che deve guidare la riflessione e l'approccio al Messale del 1962.
Il rito "tridentino" non è obbligatorio, ma non per questo non è "vigente", visto che la Suprema Autorità della Chiesa così ha stabilito, ricollocandolo come "forma extra-ordinaria" accanto alla vigente forma ordinaria.

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