martedì 3 maggio 2011

Karol Wojtyla beato. "Guarderanno colui che hanno trafitto"


di Sandro Magister


Oggi quasi tutti lo ammirano. Ma in vita fu osteggiato e irriso da molti, anche dentro la Chiesa. La sua santità è la stessa dei martiri. La sua beatitudine è la stessa di Gesù sulla croce.


ROMA, 1 maggio 2011 – In polacco diceva di sé negli ultimi anni: "Sono un biedaczek, un poveraccio". Un povero vecchio malato e sfinito. Lui così atletico, era diventato l'uomo dei dolori. Eppure la sua santità proprio allora cominciò a splendere, dentro e fuori la Chiesa.

Prima no, papa Karol Wojtyla era ammirato più come eroe che come santo. La sua santità cominciò a conquistare le menti e i cuori di tanti uomini e donne di tutto il mondo quando gli capitò quello che Gesù aveva profetizzato per la vecchiaia dell'apostolo Pietro: "In verità io ti dico: quando eri giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi".

Con l'essere ora proclamato beato, Giovanni Paolo II svela al mondo la verità del detto di Gesù: "Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli".

Egli non irradiò santità nell'ora dei suoi trionfi. Molti degli applausi che raccoglieva quando percorreva il mondo a ritmi mozzafiato erano troppo interessati e selezionati per essere sinceri. Il papa che faceva crollare la cortina di ferro era benedizione agli occhi dell'Occidente. Ma quando si batteva in difesa della vita di ogni uomo che nasce su questa terra, in difesa della vita più fragile, più piccola, la vita di chi è stato appena concepito ma già il suo nome è stato scritto in cielo, allora pochi l'ascoltavano e molti scuotevano il capo.

La storia del suo pontificato è stata per lo più a luci ed ombre, accolta e respinta, con forti contrasti. Ma il suo profilo dominante, per molti anni, non è stato quello del santo, ma del combattente. Quando nel 1981 sfiorò la morte, colpito non si sa ancora bene perché, il mondo si inchinò riverente. Osservò il minuto di silenzio, per riprendere subito dopo la vecchia musica, poco amica.

Di lui molti diffidavano anche dentro la Chiesa. Per tanti era "il papa polacco", rappresentante di un cristianesimo antiquato, antimoderno, di popolo. Di lui guardavano non la santità ma la devozione, che non andava a genio a chi sognava un cattolicesimo interiore ed "adulto", tanto amichevolmente immerso nel mondo da diventare invisibile e silenzioso.

Eppure, a poco a poco, dalla scorza del papa atleta, eroe, combattente, devoto, cominciò a svelarsi anche la santità.

Fu il giubileo, l'anno santo del 2000, il momento di svolta. Papa Wojtyla volle che fosse anno di pentimento e perdono. La prima domenica di Quaresima di quell'anno, il 12 marzo, officiò sotto gli occhi del mondo una liturgia penitenziale senza precedenti. Per sette volte come i sette vizi capitali confessò le colpe commesse dai cristiani secolo dopo secolo, e per tutte chiese perdono a Dio. Sterminio degli eretici, persecuzione degli ebrei, guerre di religione, umiliazione delle donne... Il volto dolente del papa, già segnato dalla malattia, era l'icona di quel pentimento. Il mondo lo guardò con rispetto. Ma anche con derisione. Giovanni Paolo II si espose, inerme, a schiaffi e sberleffi. Si lasciò flagellare. C'era chi da lui pretendeva ogni volta altri pentimenti, per altre colpe ancora. E lui per tutto si batteva il petto.

Di sicuro, però, mai chiese pubblicamente perdono per gli abusi sessuali commessi da sacerdoti su dei bambini. Ma neppure si ricorda che qualcuno sia mai saltato su nel 2000 a rimproverargli questa omissione. Lo scandalo non era ancora tale, per i distratti maestri d'opinione d'allora. Oggi sì, gli stessi che allora tacquero l'accusano di quel silenzio, l'accusano d'essersi lasciato irretire da quel prete indegno che fu Marcial Maciel. Ma sono accuse postume che grondano ipocrisia.

A capire che cosa c'era di vero nella santità di quel papa sono stati i milioni e milioni di uomini e donne che alla sua morte gli hanno tributato il più grandioso "grazie" collettivo mai dato a un uomo nell'ultimo secolo. I capi di stato e di governo di quasi duecento paesi che accorsero a Roma alle sue esequie lo fecero anche perché non potevano sottrarsi a quell'ondata di ammirazione che invadeva il mondo.

Ma quel suo giubileo del 2000, Giovanni Paolo II volle che fosse anche l'anno dei martiri. Gli innumerevoli martiri, molti senza nome, uccisi in odio alla fede in quel "Dominus Iesus" che il papa volle riaffermare come unico salvatore di tutti, per i tanti che se n'erano dimenticati.

E il mondo questo intuì: che nella figura dolente del papa c'era la beatitudine promessa da Dio ai poveri, agli afflitti, agli affamati della giustizia, agli operatori di pace, ai misericordiosi. Il papa irriso, osteggiato, sofferente, il papa che pian piano perdeva l'uso della parola condivideva la sorte che Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia".

Le beatitudini sono la biografia di Gesù e quindi di chi lo segue con cuore puro. Sono l'immagine del mondo nuovo e dell'uomo nuovo che Gesù ha inaugurato, il rovesciamento dei criteri mondani.

"Guarderanno colui che hanno trafitto". Come sotto la croce, molti vedono oggi in Karol Wojtyla beato un anticipo di paradiso.


[Questo commento è stato scritto da Sandro Magister per "La Tercera", il primo quotidiano del Cile, e pubblicato nel giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1 maggio 2011].

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