mercoledì 26 novembre 2025

“Una caro”. A difesa della monogamia? Il matrimonio sotto attacco aveva bisogno della verità cattolica, non di sentimentalismo



“Una caro”. A difesa della monogamia? Il matrimonio sotto attacco aveva bisogno della verità cattolica, non di sentimentalismo




Aldo Maria Valli, 26 nov 2025

“Una caro. Elogio della monogamia”, la “Nota dottrinale sul valore del matrimonio come unione esclusiva e appartenenza reciproca” diffusa dal Dicastero per la dottrina della fede con l’approvazione di papa Prevost, ha una portata ampia ma, com’era prevedibile, soffre di una debolezza caratteristica di tutti i testi modernisti sinodali: tratta una dottrina antica, chiara e divinamente stabilita, come se fosse un tema che richiede una riscoperta moderna piuttosto che la conferma di una verità perenne.

In un’epoca come la nostra, in cui l’idea stessa di matrimonio sta crollando sotto il peso del libertinismo sessuale, dell’ideologia di genere e della glorificazione culturale del non impegno, un documento vaticano sulla monogamia avrebbe dovuto essere dotato della forza di uno squillo di tromba. Ma la Nota non è niente del genere. Al contrario, “Una Caro” sussurra dolci parole e si pavoneggia come un dandy. È una lunga, pomposa, serissima meditazione pastorale, in alcuni punti persino bella ma che si rifiuta di chiamare peccato il peccato, errore l’errore e verità la verità. Ciò di cui la Chiesa aveva bisogno era un martello, ma ha emesso un tip tap modernista.

Fin dai passaggi iniziali, qualsiasi speranza che questo documento potesse essere diverso dalla solita spazzatura postconciliare viene rapidamente infranta. La Nota non inizia con la dottrina, né con la legge divina, né tantomeno con la legge naturale che sostiene l’intera comprensione cattolica del matrimonio. Inizia invece con il linguaggio introspettivo e terapeutico tipico dei documenti sinodali contemporanei. Il legame coniugale, ci viene detto, non nasce da due persone “che stanno l’una di fronte all’altra”, ma da due persone “che stanno l’una accanto all’altra”.

La definizione stessa di unità monogamica non è formulata in termini teologici o giuridici, ma con il vocabolario di un consulente matrimoniale. Non si tratta di una scelta stilistica casuale: rivela l’intera ottica attraverso cui il documento esamina l’argomento. Il matrimonio non è prima di tutto un patto, un vincolo istituito o un’unità ontologica, ma una “relazione”, un “cammino reciproco” e una “comunione di vita”.

Ma cosa ci aspettavamo? Dopotutto, il documento è opera del cardinale Soft Porn in persona, alias Víctor Manuel Tucho Fernández.

Il linguaggio potrebbe essere innocuo in un opuscolo catechetico o in una rubrica di consigli, ma in una nota dottrinale diventa un ostacolo. La Chiesa ha sempre insegnato che l’unità del matrimonio è radicata in qualcosa di molto più solido della vicinanza emotiva o dell’esperienza soggettiva. È radicata nella legge divina stessa: “Diventeranno una sola carne”. Non “diventeranno emotivamente risonanti”, non “cresceranno nella comunione interpersonale”, ma una sola carne. Il legame unitivo è reale, oggettivo, irrevocabile e indipendente dai sentimenti degli sposi. Eppure, in tutta “Una Caro” l’unità è descritta come una sorta di progetto emotivo in corso, un processo dinamico approfondito attraverso la tenerezza, il dialogo e la donazione reciproca. L’enfasi è posta costantemente sull’interiorità e sulla relazionalità, al che viene da chiedersi se gli autori ricordino che il sacramento del matrimonio rimane molto reale anche quando a volte gli sposi cessano di sentirsi in relazione.

Il nauseante sentimentalismo diventa ancora più inquietante quando la Nota, al paragrafo 5, con sorprendente candore annuncia che non affronterà l’argomento “indissolubilità” o “fecondità”. Si fa fatica a credere ai propri occhi. Ecco un documento vaticano sulla monogamia che si rifiuta esplicitamente di discutere i due pilastri che rendono la monogamia comprensibile. Sarebbe come proporre un documento sull’Eucaristia e poi rifiutarsi di parlare di transustanziazione. Mettendo tra parentesi questi elementi essenziali, la Nota priva la monogamia della sua spina dorsale dottrinale e la lascia sospesa nel nulla.

Uno dei più stridenti fallimenti della Nota sta nell’uso acritico dei testi religiosi indù come testimonianze morali della monogamia. In un documento di questo tipo possiamo aspettarci osservazioni antropologiche, ma non citazioni dirette delle scritture indù poste senza riserve accanto alla Genesi, come se il Manusmṛti o il Bhagavatam occupassero un piano morale analogo.

Il documento cita il Manusmṛti – antico testo indù che sancisce anche altre “grandi istituzioni” come la gerarchia di casta, l’impurità rituale e la subordinazione delle donne – come se la sua affermazione sulla fedeltà “fino alla morte” fosse un’intuizione moralmente illuminante. Poi cita il racconto del Bhagavatam di Ramachandra, che “rispettava una sola donna per tutta la vita”, come se questa narrazione “epica” dovesse rafforzare l’insegnamento cattolico. Infine, invoca il Tamil Thirukkural, dichiarando che “l’amore reciproco è l’essenza della coppia”. Tutti testi presentati con ammirazione, come se esprimessero organicamente la stessa verità morale proclamata dalla Chiesa. Ci si aspetta che da un momento all’altro anche Tucho inizi a citare il Kama Sutra!

Questo non è il metodo cattolico. Quando la Chiesa ha storicamente riconosciuto echi di diritto naturale in culture non cristiane, lo ha sempre fatto con attenta distinzione e, aggiungerei, con gusto, proprio per evitare di offuscare l’autorità unica della Rivelazione divina. Ma “Una Caro” non si preoccupa di tali distinzioni. Queste fonti pagane sono presentate semplicemente come “altre prospettive”, inserite in una sequenza retorica con la Scrittura e i Padri. L’effetto cumulativo non è un arricchimento, ma un livellamento sincretistico. La Rivelazione appare semplicemente come la versione cristiana di un modello antropologico universale.

Questa impostazione non nasce da un ingenuo universalismo teologico. Si tratta del tentativo deliberato di collocare il cattolicesimo all’interno di un quadro religioso comparativo, invece di presentarlo come l’unica vera fede che giudica tutte le altre.

A complicare ulteriormente il problema c’è l’abitudine della Nota di trattare le deviazioni morali con studiata delicatezza. Quando nomina il poliamore moderno, lo descrive come un “fenomeno culturale”, non come un peccato grave. Quando discute della poligamia, la definisce un'”usanza del tempo”. Quando esamina le moderne relazioni “multi-partner”, le definisce “situazioni oggettivamente difficili”. I profeti inveirono contro l’adulterio, Cristo condannò il divorzio, san Paolo dichiarò che la fornicazione esclude dal regno di Dio. Ma “Una Caro” preferisce il dolce mormorio della sensibilità pastorale quando il mondo sessualmente peccaminoso ha bisogno di essere risvegliato!

Anche quando affronta dilemmi pastorali concreti – come la gestione dei convertiti poligami – il documento si rifiuta di fornire ai vescovi una guida chiara. Piuttosto, si sofferma sul “dramma” e sulla “complessità” della situazione, fornendo ai pastori empatia ma nessuna indicazione concreta. È esattamente questo tipo di vaghezza che ha spinto così tanti vescovi a rifuggire dalla leadership morale. Quando Roma si limita a borbottare, i pastori inevitabilmente tacciono.

In tutta la Nota si percepisce una deriva antropologica, uno spostamento delle categorie teologiche a favore di quelle psicologiche. Il matrimonio è costantemente inquadrato come un cammino interiore, un processo, un dialogo, un approfondimento del dono reciproco di sé. Questa enfasi, pur non essendo falsa di per sé, oscura il fatto che il matrimonio è prima di tutto un patto istituito da Dio e ratificato dalla coppia attraverso il consenso. Non è principalmente un’esperienza soggettiva. È un legame oggettivo. Ma “Una Caro” si esprime ripetutamente come se l’unità coniugale crescesse o calasse a seconda delle dinamiche interiori della coppia. Questa è l’antropologia della psicologia laica moderna, non è l’insegnamento della Chiesa cattolica.

Ci sono passaggi di autentica bellezza. Ci sono citazioni di Agostino, Tommaso d’Aquino, Leone XIII e Pio XI che richiamano la forza dottrinale delle generazioni precedenti. Ci sono momenti in cui la Nota quasi trova il suo equilibrio e dice la verità con chiarezza. Ma questi momenti galleggiano in un mare più ampio di ambiguità, sentimentalismo e ottimismo antropologico. È chiaro che gli intriganti autori sinodali temevano che troppa chiarezza dottrinale potesse offendere la sensibilità del loro vero dio: l’uomo contemporaneo.

Ciò di cui la Chiesa aveva bisogno era una dichiarazione chiara: la monogamia è legge di Dio, radicata nella natura, difesa da Cristo, essenziale per la società e vincolante per tutti. Ciò di cui aveva bisogno era una ferma denuncia dei peccati sessuali che distruggono anime e società. Ciò di cui aveva bisogno era un’articolazione teologica che restituisse alla procreazione e all’indissolubilità il loro giusto posto. Ciò di cui aveva bisogno era chiarezza senza scuse. Ha ricevuto invece un documento ricco di citazioni, di portata e tono pastorale, ma povero di autorevolezza, giudizio e guida. È un testo che si rifiuta di condannare l’errore, che mette da parte verità essenziali e introduce fonti religiose straniere, poeti laici e filosofi mondani in modi che offuscano l’unicità dell’Apocalisse.

Il mondo perverso aveva bisogno di una tromba d’allarme. Invece “Tucho” e il suo dicastero modernista deviato ci hanno regalato un piccolo flauto impotente.

radicalfidelity





Nessun commento:

Posta un commento