venerdì 21 novembre 2025

La salvezza delle anime è ancora l'obiettivo della nuova chiesa sinodale?




“Nella Chiesa cattolica stessa, bisogna porre tutta la cura possibile affinché si mantenga quella fede che è stata creduta ovunque, sempre e da tutti”.

San Vincenzo di Lerino, “Commonitorium”, cap. 23



La missione secondo la teologa del sinodo. È ancora religione cattolica?


di Aldo Maria Valli, 21nov 2025

Quando dico che la gerarchia cattolica ormai da molto tempo, dopo il Concilio Vaticano II, attraverso il grimaldello dell’”aggiornamento” ha progressivamente dato forma a una nuova religione, c’è chi mi dà dell’esagerato, se non del complottista. Ma la realtà, se vogliamo vederla, è sotto i nostri occhi.

Anche Leone, nel quale inizialmente avevo posto qualche speranza (perché volevo sperare, non perché ci fossero dati oggettivi ai quali legare la speranza) non si sta dimostrando altro che un Francesco. Un po’ meno brutale nei modi, ma identico nei contenuti. E forse più pericoloso perché più suadente. Il suo modello di Chiesa è il solito: sinodale, ambientalista, ecumenico, “inclusivo”, ormai sfacciatamente relativista.

Onestamente, chi ancora crede che “extra ecclesiam nulla salus” non può riconoscersi in questo modello, più vicino a una copia dell’ideologia targata Onu che non al sacro deposito della fede cattolica.

I dati sono di fronte a noi e “Duc in altum” non manca di mostrarveli quotidianamente.

In proposito, ecco una sintesi del pensiero di colei che viene presentata come una delle donne più influenti in Vaticano e, secondo la rivista “Forbes”, addirittura nel mondo: la suora e teologa francese Nathalie Becquart, sottosegretario della Segreteria generale del sinodo.

Le viene chiesto: papa Leone XIV ha fatto riferimento alle “differenze culturali” nel processo di attuazione [della sinodalità]. Come si può vivere la sinodalità in contesti così diversi senza compromettere l’unità della Chiesa?

Becquart: “Il papa è stato molto chiaro quando ha affermato che la Chiesa non cerca un modello standardizzato. La sinodalità non consisterà in un modello in cui tutti e ogni Paese dicono: ecco come si deve fare. Nella sua risposta al segretario generale del Secam [Sinodo delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar, N.d.R.] ha sottolineato che la rispettiva realtà locale deve essere rispettata. Ci sono molti modi di essere Chiesa e non si dovrebbe imporre un unico modello di vita ecclesiale”.

Vedete il metodo. Le parole suonano bene all’orecchio del mondo, tanto da apparire del tutto condivisibili. Ma riflettiamo. L’affermazione secondo cui “esistono molti modi di essere Chiesa e non si dovrebbe imporre un unico modello di vita ecclesiale” è in netto contrasto con il perenne insegnamento della Chiesa sull’unità, l’universalità e la costituzione divina. La Chiesa cattolica ha sempre inteso sé stessa non come una federazione di comunità, né tanto meno come una democrazia assembleare, ma come un’unica società visibile e gerarchicamente ordinata, istituita da Cristo. L’unità è uno dei suoi tratti essenziali: unità di fede, di sacramenti e di governo sotto il romano pontefice. Papi come Leone XIII (“Satis cognitum”) e Pio XII (“Mystici Corporis”) hanno costantemente insegnato che la Chiesa possiede una forma, una struttura e una missione ben solide e determinate, in modo che non debbano fluttuare a seconda del contesto sociologico. Sostenere che nessun modello di vita ecclesiale debba guidare la Chiesa (e dopo che il papa stesso ha detto che “nessuno possiede la verità tutta intera”!) suggerisce che la natura stessa della Chiesa sia malleabile, qualcosa che si evolve costantemente dal basso. Non più, quindi, una Chiesa che vive in virtù del disegno nato nel cuore del Padre ed è stata istituita da Gesù Cristo per realizzare il piano di salvezza del Padre.

Certo, la Chiesa sa bene che c’è una diversità di culture, usi, costumi, devozioni, perfino di espressioni liturgiche, ma dire che ci sono “molti modi di essere Chiesa” è confondere le acque, è mettere il dato sociologico al posto dell’essenza divina della Chiesa. Il Corpo mistico di Cristo non può essere spezzettato in nome delle differenze culturali locali. Quando Gesù manda a insegnare a tutte le nazioni non propone soluzioni diverse a seconda dei casi, ma un contenuto vincolante per tutti.

Le affermazioni di suor Becquart spingono verso il relativismo e introducono l’idea che il contenuto dottrinale e liturgico possa essere ad assetto variabile.

La stessa idea di sinodalità è usata strumentalmente non per favorire l’adesione all’unica fede, ma per legittimare la frammentazione.

Alla domanda su che cosa significhi effettivamente sinodalità, suor Becquart risponde che essa “va di pari passo con l’ecumenismo, ma anche con il dialogo interreligioso, il dialogo con la società e con tutte le persone, e sottolinea l’importanza di ascoltare tutti, specialmente i poveri e gli emarginati. Papa Leone XIII chiarisce che la sinodalità – come ha sottolineato anche il Sinodo – è sempre orientata alla missione”.

Anche in questo caso, siamo di fronte a un’interpretazione tutta sociologica e orizzontale. Ridurre la sinodalità all’“ascoltare tutti” e al dialogo con le altre fedi e con la società significa stravolgere l’idea di missione: non più proposta in vista della conversione all’unica Verità ricevuta da Cristo, ma semplice consultazione fra diverse posizioni tutte sullo stesso piano. Cristo ha comandato non di dialogare, ma di convertire.

La Chiesa esiste per salvare le anime, non per promuovere un vago benessere. Il dialogo elevato a fine sfocia nel relativismo, contro ogni pretesa di verità dottrinale.

La nuova chiesa sinodale, interprete della nuova religione, che cosa vuole esattamente? La salvezza delle anime è ancora il suo obiettivo? Ascoltando la teologa Becquart sembrerebbe di no.

Inevitabile, a questo punto, è la domanda sulla missione, ed ecco la risposta: “Essere missionari significa annunciare il Vangelo. Non è una campagna, ma uno stile di vita e un modo di essere Chiesa. Come dice papa Leone, promuove un atteggiamento che inizia con l’ascolto reciproco”.

Ecco il solito metodo modernista. La parola (missione) esiste ancora, ma svuotata. Ancora si dice che occorre annunciare il Vangelo, ma niente più conversione. Solo un “atteggiamento che inizia con l’ascolto reciproco”. Ma per andare dove?

La sinodalità, spiega la teologa Becquart, va di pari passo con il discernimento. Ma che significa? Risposta: “Nella sua omelia al Giubileo, papa Leone XIV ha sottolineato che il discernimento richiede libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca e apertura al nuovo”.

Se state pensando che in questo elenco manca una parola, che è poi quella che andrebbe al primo posto, avete lo stesso mio pensiero. La parola che manca è fedeltà. A che serve la libertà interiore se non la lego alla fedeltà? A che serve l’umiltà se non la metto in relazione con la Verità? E perché l’apertura al nuovo, di per sé, dovrebbe essere un valore?

Il concetto espresso dalla teologa può essere tradotto così: “Sinodalità e discernimento consistono nell’inventare soluzioni strada facendo, a seconda delle richieste che salgono dal basso”. C’è un capovolgimento: non si guarda più verso l’alto per conformarsi alla volontà divina, ma verso il basso per cogliere le richieste e i famosi “segni dei tempi”.

Così insegnava papa Pio IX nella costituzione dogmatica “Dei Filius” (24 aprile 1870): “La dottrina della fede che Dio ha rivelato non è stata proposta come un’invenzione filosofica da perfezionare con l’ingegno umano, ma è stata affidata come deposito divino alla Sposa di Cristo, perché la custodisca fedelmente e la dichiari infallibilmente”. Vedete come tutto è stato ribaltato?

L’insegnamento dei papi pre-conciliari, secondo cui la Chiesa è custode delle verità depositate da Cristo e non vi può aggiungere né togliere nulla, è stato trasformato nel suo contrario: mediante la sinodalità ci deve essere un continuo adattamento al “nuovo”.

Con tutto il rispetto per suor Becquart, mi chiedo: è ancora religione cattolica? È ancora Chiesa cattolica?






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