Parlando di dialogo interreligioso con i giovani a Singapore, papa Francesco mette tutte le religioni sullo stesso piano. Di fatto è la negazione della pretesa di Cristo di essere "la via, la verità, la vita", l'azzeramento del senso dell'Incarnazione e della Redenzione.
Un rovesciamento di 180 gradi rispetto al suo predecessore, un passo indietro di oltre duemila anni nella storia delle religioni, e – inaccettabile dalla bocca di un qualsiasi cristiano – l’azzeramento del cuore dell’evento cristiano. Le esternazioni di Francesco in occasione dell’incontro con i giovani al Catholic Junior College di Singapore non lasciano spazio a fraintendimenti: per Francesco tutte le religioni portano a Dio, un po’ come tutte le strade che portano a Roma, senza concedere nemmeno un piccolo vantaggio di favore e di simpatia al cristianesimo.
L’esortazione al dialogo interreligioso di ieri, 13 settembre, è in realtà la pietra tombale non solo dello stesso dialogo interreligioso, così come concepito dalla Chiesa cattolica, ma del senso stesso del cristianesimo: «Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “la mia religione è più importante della tua…”, “la mia è quella vera, la tua non è vera…”. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?».
Parole che suonerebbero come una disarmante banalità sulla bocca di chiunque, ma che lasciano interdetti se pronunciate dal successore dell’Apostolo Pietro, il cui ministero esiste per confermare i fratelli nella fede, non per disorientarli. Francesco invece lo reinterpreta a modo suo, quasi che San Pietro abbia iniziato a dialogare con giudei e pagani, dicendo loro che la morte e risurrezione di Cristo non hanno portato nulla di sostanzialmente decisivo nella storia dell’umanità, se non una nuova strada alternativa per arrivare a Dio, ma pur sempre facoltativa e senza la pretesa di essere l’unica vera. Come la variante di un’autostrada.
Forse il Papa ritiene che l’affermazione uscita dalla bocca stessa di Gesù Cristo – «io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6) – sia stato il refuso di qualche copista; oppure una reinterpretazione dei discepoli del Signore, che ancora non avevano capito niente del dialogo interreligioso; o ancora un delirio di onnipotenza di tale Gesù Cristo, che si era montato la testa pensando di essere Dio. «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre» (Gv 14, 6-7): una “prospettiva” decisamente opposta a quella del Papa.
Non si esagera affatto affermando che negare che la religione cristiana sia l’unica vera, l’unica in grado di portare a Dio, ponendola allo stesso livello di ogni altro cammino religioso degli uomini, significa semplicemente rinnegare l’autorivelazione che Cristo fa di se stesso nei santi Vangeli, insegnata dalla Chiesa fin dalla sua fondazione; significa rifiutare che gli uomini non possono in alcun modo giungere a Dio, sebbene lo cerchino, se non per mezzo di Gesù Cristo e della sua Chiesa; significa non aver capito nulla della necessità di essere redenti dal sangue di Gesù Cristo mediante il battesimo, e incorporati nella sua Chiesa. Significa appunto apostatare dall’intera fede cattolica e non errare in qualche suo punto.
Incomprensibile poi la superficialità con cui egli liquidi la questione della verità della religione. Per secoli, la preoccupazione principale dei Padri, dei Dottori, dei teologi è stata quella di mostrare come il cristianesimo sia l’adempimento della religio vera. Il cardinale Ratzinger, richiamando il confronto tra Sant’Agostino e Varrone, aveva spiegato con estrema chiarezza che nel cristianesimo è avvenuto qualcosa di «stupefacente»: «i due princìpi fondamentali del cristianesimo apparentemente in contrasto, il legame alla metafisica e il legame alla storia, si condizionano e si rapportano l'uno all'altro; costituiscono insieme l'apologia del cristianesimo in quanto religio vera» (La vittoria dell’intelligenza sul mondo delle religioni, «30 giorni», gennaio 2000). Tradotto: la verità, il Logos eterno e primordiale, è entrata nella storia, creando l’abbraccio tra la religione e la filosofia; la forma storica assunta dal Verbo costituisce lo svelarsi definitivo del vero, stabilendo così definitivamente il cristianesimo come la religione vera, non semplicemente nei suoi principi o, come si dice oggi, nei suoi “valori”, ma precisamente nella sua forma storica che è la Chiesa cattolica. La buona novella sta proprio qui: gli uomini non sono più lasciati a loro stessi nella loro ricerca della verità, e neppure nel loro anelito al divino, anelito destinato sistematicamente al fallimento, finché Dio non si fa loro incontro. E Dio si è fatto incontro all’uomo nella persona di Gesù Cristo, Dio fatto uomo perché gli uomini potessero essere partecipi della vita divina.
Con le sue sciagurate esternazioni, Francesco azzera il senso del cristianesimo, il senso dell’incarnazione del Verbo e della sua Passione, riducendo il cristianesimo ad una religione tra le altre e vanificando persino la ricerca della verità su Dio da parte dell’uomo. Si tratta di affermazioni gravi che vanificano il senso dell’Incarnazione e della Redenzione e non possono perciò passare inosservate agli occhi del collegio cardinalizio e di tutti i vescovi cattolici.
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