lunedì 16 settembre 2024

Come cambia (purtroppo) la teologia morale cattolica








Di Stefano Fontana, 16 Set 2024


Nei suoi Appunti sulla Chiesa e gli abusi dell’11 aprile 2019, Joseph Ratzinger aveva indicato la causa principale di questo triste fenomeno nel “collasso della teologia morale” che da tempo avrebbe perso il rapporto con il diritto naturale. A seguito del sinodo sulla famiglia del 2014-2015 e della successiva Esortazione apostolica Amoris laetitia si ritiene possibile l’ammissione alla Comunione dei divorziati conviventi o risposati, modificando così la dottrina tradizionale sull’adulterio. Nella Chiesa è anche in atto un ripensamento radicale della dottrina morale cattolica su omosessualità e transessualità. La benedizione delle coppie omosessuali è già in corso da tempo con una posizione sostanzialmente aperturista del supremo magistero, il quale appoggia spesso con i fatti una nuova morale sessuale alternativa. L’illiceità morale della contraccezione stabilita dall’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, finora considerata irriformabile, viene rimessa in discussione. L’Istituto Giovanni Paolo II, fondato da papa Wojtyla per promuovere gli studi su matrimonio e famiglia, la più importante istituzione accademica della Chiesa per la morale coniugale, è stato demolito e ristrutturato secondo linee opposte alla sua storia. In applicazione del principio di inclusione generalizzata, la fase attualmente in corso del sinodo sulla sinodalità potrebbe confermare le nuove prassi alternative viste sopra che sono comunque già in atto.

Da questi pochi esempi emerge che nella Chiesa è in corso una sostanziale trasformazione della morale naturale e cattolica. Non si tratta di cosa nuova. Rahner, Häring, Fuchs, Demmer, Küng l’hanno impostata e portata avanti da tempo. Per l’Italia, Chiavacci, Piana, Angelini, Fumagalli, Chiodi l’hanno sviluppata. Naturalmente insieme a tanti altri. Ma quali sono le principali novità della nuova morale cattolica? Esse riguardano non i dettagli ma l’impianto stesso della teologia morale, per questo si può parlare di una “nuova” teologia morale cattolica.

Un primo punto importante riguarda la conoscibilità della norma morale. L’oggetto dell’azione da cui l’atto riceve la specie e il fine che determina formalmente l’azione stessa sono sempre stati ritenuti conoscibili. Come l’intelletto è in grado di conoscere intenzionalmente l’essenza di una cosa, l’uomo o l’albero che sia, così è capace di cogliere la forma di una azione e dire per esempio cosa è il furto (impossessarsi di una cosa non propria) o cosa è l’omicidio (l’uccisione di una persona innocente). La ragione pratica, che guida l’azione, è una estensione della ragione teoretica, quella che conosce l’essere e, quindi, il bene. Ora, la nuova morale ritiene, invece, che ciò sia impossibile e accusa la precedente morale di razionalismo e astrattezza. L’uomo ora è pensato sempre dentro un contesto che lo condiziona, influenzato da vari elementi portati alla luce dalle scienze umane, strutturalmente limitato nel conoscere e addirittura incapace di sapere con chiarezza quando sia in peccato. Questo rovesciamento di prospettiva colloca la morale nella storia e rifiuta il riferimento ad un piano naturale della norma morale. Per farlo deve riferirsi ad una nuova visione dell’uomo, per esempio deve rivedere il primato dell’intelletto nel campo della conoscenza. Deve anche riferirsi ad un nuovo paradigma filosofico complessivo, rifiutando l’approccio metafisico alla realtà e sostituendolo con quello esistenziale, storico, processuale o addirittura vitalista. Dato che l’uomo che si interroga sul bene e sul male è parte di quel suo domandare, non è fuori o sopra, egli sarà sempre coinvolto nella risposta che quindi non sarà mai oggettiva ma sempre anche soggettiva. Per la nuova teologia morale non si può definire la natura morale o immorale di un’azione senza rapporto ad una esperienza. Essa assume la prospettiva filosofica (nominalista) del caso per caso.

Da questa impostazione della conoscenza deriva la nuova concezione della coscienza morale. Il termine coscienza ha due significati connessi tra loro: indica la consapevolezza del soggetto, la presenza di sé a se stessi, e poi, quando compiamo un’azione, indica la consapevolezza che siamo noi ad agire e, quindi, la responsabilità morale di compiere (o non compiere) quella azione. Per la morale cattolica tradizionale, la coscienza è un atto della ragione pratica che applica la norma morale universale ad una situazione particolare con l’intento di fare il massimo di bene. Essa non contribuisce alla formulazione della norma, ma solo la applica, il che non vuol dire che non sia creativa: la coscienza è creativa, nel senso che deve trovare la via per trarre da quella azione il massimo bene, dato che il bene si può fare in molti modi. Per la nuova teologia morale, invece, la coscienza contribuisce alla formulazione della norma e quindi è da ritenersi creativa in ben altro senso. Come visto sopra, una norma non situata e solo da applicare viene accusata di riferirsi ad un pensiero astratto e ideologico. Tutte le norme morali, secondo la nuova prospettiva, vanno intese come storicamente contestualizzate, e quindi la coscienza non solo le applica ma anche le co-produce dall’interno della storia stessa.

Questa visione della coscienza ha una conseguenza molto importante nel negare la dottrina morale circa le azioni intrinsecamente cattive. Per la tradizione ci sono azioni (intrinsece mala) che non sono ordinabili al fine ultimo quindi non si devono mai compiere in nessuna circostanza. Non esiste una intenzione dell’agente o una circostanza capace di trasformarle in bene. Questa dottrina morale fonda poi l’altra, detta dei “principi non negoziabili”, che ne illustra le conseguenze in campo politico e che pure è stata abbandonata o negata. La dottrina circa l'esistenza di azioni cattive per essenza era presente anche prima del cristianesimo (Socrate, Antigone), essa appartiene al patrimonio della legge morale naturale ed è confermata dalla Rivelazione cristiana. La legge nuova del Vangelo non elimina questa dottrina ma la perfeziona. La nuova impostazione della morale non può però ammettere questo tipo di azioni, perché il lavoro della coscienza non è mai pensato solo come ricettivo, ma come attivo e spetterà sempre alla coscienza, o perlomeno “anche” alla coscienza, stabilire la gravità dell’azione, che non è più data solo da oggetto e fine. Se prima si pensava che la coscienza avesse discrezionalità solo davanti ad azioni buone e non ad azione intrinsecamente cattive, ora si ritiene che essa abbia discrezionalità davanti a tutte le azioni, buone o cattive che siano.

Proprio qui emerge il nuovo concetto di “discernimento”, oggi tanto usato quanto abusato. Il caso più noto a questo proposito è la possibilità, stabilita da Francesco nientemeno che come magistero autentico, che dopo una fase di discernimento il divorziato e convivente possa accedere alla Comunione. Il discernimento in questo caso assume un nuovo volto. Non è più l’esercizio della virtù della prudenza con cui la coscienza cerca di capire la strada migliore per fare il bene nella situazione particolare e concreta, anche consigliandosi con i saggi, ma diventa l’esame della nuova situazione (di convivenza senza matrimonio) per vedere se sia voluta da Dio come il bene da compiere in quel momento. Il discernimento, così, comporta che il giudizio finale sia affidato comunque sempre alla coscienza soggettiva, che si ritiene in dovere di cambiare la valutazione morale oggettiva tramite una soggettiva. Ritornano il caso per caso e il mix di oggettivo e soggettivo, però alla fine con una prevalenza del secondo.

Abbiamo appena parlato delle circostanze che diventano eccezioni. Questo è un altro aspetto importante del cambiamento in atto nella teologia morale cattolica. Le circostanze (chi, che cosa, dove, con quali mezzi, in che modo, quando) sono gli accidenti individuanti dell’atto umano. Indicano le situazioni concrete e contingenti in cui avviene l’azione. Esse sono accidentali e non sostanziali, ossia non cambiano la natura dell’azione. Se si uccide qui piuttosto che lì, se ad uccidere sia tu oppure io, sempre di omicidio si tratterebbe. Le circostanze possono avere un peso nel valutare la responsabilità di chi agisce, ma non per stabilire la natura buona o cattiva dell’azione. In qualche caso esse possono anche aggravare l’azione compiuta: rubare in una chiesa è più grave che rubare in altro luogo perché chi lo fa non è solo ladro ma soprattutto un sacrilego, uccidere per legittima difesa non è come farlo per aggressione, ma non hanno il potere di trasformare in buona un’azione cattiva. Per la nuova teologia morale, invece, le circostanze possono creare un’altra norma, diversa dalla precedente. Le circostanze così possono fare dell’adulterio una prassi moralmente corretta e, anzi, dovuta. Questo rientra nella nuova impostazione storicistica segnalata sopra, per la quale tutto è processo e le situazioni di vita del soggetto costituiscono il punto di partenza per il giudizio morale, contribuendo così a costituire la norma etica.

Ritengo che queste siano i principali caratteri della nuova teologia morale, Nessun dubbio sulla loro novità rispetto alla tradizione, dato che su questi punti la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II dice esattamente il contrario.








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