lunedì 30 settembre 2024

Mons. Nicola Bux: seguire Gesù sulla via della croce, la perseveranza che salva



Gesù è il perseguitato per eccellenza, poiché la sua identità e il suo messaggio non sono facilmente accettati dal mondo. Per i suoi discepoli vale lo stesso. Le cause della crisi ecclesiale e il suo rimedio: Maria. La necessaria unione di misericordia e dottrina. Ecco il testo integralle della meditazione che ha aperto la Giornata della Bussola.

Di seguito il testo integrale della meditazione preparata da monsignor Nicola Bux, teologo e docente di liturgia orientale, per la Giornata della Bussola tenutasi sabato 28 settembre 2024 a Palazzolo sull’Oglio (Brescia), presso la Comunità Shalom, e incentrata sul tema “Perseverare nella fede”.

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Ecclesia 



Nicola Bux, 30-09-2024

1. Battaglie all’esterno, timori al di dentro

Scrive il papa san Gregorio Magno: «Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell'errore. Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all'arte veramente insuperabile della fortezza. All'interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l'insegnamento illuminato, all'esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione. Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male. A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri. Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine. Vediamo il soldato degli accampamenti di Dio che combatte contro entrambi i mali: “Battaglie all’esterno, timori al di dentro” (2 Cor 7,5)».[1]

«Ma chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvo» (Mc 13,13). Perseverare, verbo che si coniuga con fedeltà, fiducia, pazienza, soprattutto persecuzione e martirio.

È Gesù il perseguitato per eccellenza, dalla nascita alla morte; la fase finale di quella persecuzione è cruenta e carica di sofferenza, sì da essere definita “Passione”. Infatti, san Pietro, nella Prima Epistola, dice che Egli ha patito per noi, perché ne seguiamo le orme (cfr. 2,21). La Passione di Gesù, inoltre, è un dono fatto a ogni uomo; come mirabilmente constata san Paolo nell’Epistola ai Galati (2,20): «Ha dato se stesso per me». La Passione di Gesù è per me, per la mia vita, per la mia salvezza; la Passione di Gesù è una grazia e un esempio, è il “metodo” per vivere la vita.

Dunque la Passione è il metodo per capire come essere membra del corpo di Cristo che è la Chiesa; perciò dobbiamo ricordare che a noi non può essere riservato un trattamento diverso da quello che è stato riservato a Gesù, che ha profetizzato: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).

Bisogna perseverare fino alla fine. Il momento culminante della tribolazione sembra essere costituito dall’apparizione di falsi messia e profeti, dai quali Gesù mette in guardia (cfr. Mt 24,23s; Mc 13,21s; Lc 21,23s). Al di là del momento storico in cui si è realizzata questa profezia, cioè l’impero di Caligola e Nerone, il richiamo mira a rendere avvertiti i cristiani dinanzi al periodico riapparire di Anticristi. Come resistere a tali tentativi di ricorrente mistificazione del Cristo? È la costituzione stessa del collegio apostolico a fare da antemurale; ma il punto di maggiore resistenza è costituito dal conferimento dell’incarico pastorale a Pietro, congiunto alla chiara predizione del suo martirio (cfr. Gv 21,18) a cui Gesù aveva alluso in Giovanni (13,36). L’incarico che egli dovrà assumersi “più di costoro” sarà oggetto di persecuzione. Il primato, dunque, riceve una struttura martirologica*, come già del resto aveva indirettamente prefigurato Gesù nella risposta alla madre dei figli di Zebedeo circa i posti d’onore accanto a Lui. Le persecuzioni, a cominciare da quelle del sinedrio e di Nerone, ebbero come obbiettivo primario Pietro, il principe degli apostoli. Ma dopo la morte dei due Giacomo, anche Giovanni “bevve lo stesso calice” come Gesù stesso aveva promesso (cfr. Mc 10,39).

Dunque la persecuzione è il destino dei discepoli: l’identità di Gesù non può essere accettata facilmente dal mondo, perché se così fosse, non costituirebbe la novità e il mondo non riceverebbe nulla di più di quel che già possiede. Il contrasto invece dimostra che la realtà di Gesù è tutt’altra cosa da quella del mondo. Perciò, anche la missione dei discepoli porta in sé questo contrasto.

Gesù, poi, mette in guardia proprio da quanti, esperti di religione e di legge, ritengono di avere la
  

chiave dell’interpretazione e non permettono ad altri di entrare; così uccidono i profeti, veri portatori dello Spirito che rinnova. Quando sono in vita, li si vitupera e li si manda a morte: successivamente si ergono monumenti in loro memoria (cfr. Lc 11,47-53). Colpisce il fatto che la persecuzione prenda avvio proprio dall’interno della comunità (cfr. Mt 10,21)! Dunque, seguire Gesù significa seguirlo nel dolore, prendendo la croce e perdendo la vita (cfr. Mt 10,38s; 16,24-28; Mc 8,34-35; 9,1; Lc 9,23-27; 14,27; 17,33; Gv 12,25). Non era facile comprenderlo per i discepoli, anzi era fonte di turbamento; perciò Gesù reiterava la profezia della Passione (cfr. Mt 17,22s; Mc 9,30-32; Lc 9,43b-45).

Le persecuzioni devono essere accettate per amore del Vangelo. Chi persevererà sino alla fine sarà salvato. L’atteggiamento da tenere nella persecuzione, dunque, è la perseveranza che nella missione cristiana permette non già di vincere, bensì di resistere al male. In fin dei conti, i discepoli di Cristo non sono chiamati a conseguire delle vittorie su questa terra, ma ad opporsi alla mentalità mortifera anticristiana, che spegne con l’aborto la vita nascente e con l’eutanasia quella morente: perché il mondo, in apparenza indifferente, si oppone a Cristo. Pertanto il cristiano è chiamato a opporre resistenza con la testimonianza, che gli consentirà alla fine di vincere: perché i modi di pensare del mondo passano, come le mode, ma la Parola di Dio resta in eterno.

San Paolo ha mirabilmente tracciato le linee di una “teologia della persecuzione”, in particolare quando afferma nella Prima Lettera ai Corinzi: «Insultati, benediciamo; perseguitati: sopportiamo; calunniati: confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti: fino a oggi» (4,12-13). Che sia cruenta o meno, la persecuzione costituisce lo statuto ordinario della Chiesa*. Il Martirologio è dunque il necessario vademecum del cristiano. Dal primo avvento di Cristo fino al suo ritorno, la suprema beatitudine rimane la persecuzione (Mt 5,11-12).

2. L’attuale stato della Chiesa e le sue cause


È significativa un’intervista di mons. Sergio Pagano sul Corriere della Sera del 13 luglio 2024, a coronamento di 27 anni da prefetto dell’Archivio apostolico vaticano. Alla domanda se nella Chiesa d’oggi egli veda una decadenza o una rinascita, Pagano ha così risposto: «Tristemente, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale: troppe aspettative. Si è creato disordine nella disciplina, nei seminari e negli atenei pontifici. In dottrina si è registrata una crisi sempre più profonda. E in questo clima di incertezza a prevalere è stata una vistosa confusione. Registro il disorientamento dei fedeli e una certa decadenza del pensiero teologico. La stessa pastorale è ridotta a carità per la carità, senza un’ispirazione verticale, di fede».

La causa? Con sant’Agostino, possiamo dire che «i pastori pascolano sé stessi», badando ai propri interessi e non alla salvezza delle anime. Oggi, la larga maggioranza dei battezzati, semplici fedeli, sacerdoti, vescovi, vivono, senza saperlo, immersi nell’eresia (che significa scelta tra verità da credere o tra sue parti), e pochi sono in grado di distinguere tra la verità e l’errore penetrati all’interno della Chiesa. Quando la società era ancora cattolica, il sensus fidei era sviluppato ed era facile discernere l’eresia di un prete, di un vescovo o addirittura di un Papa. Oggi la gran maggioranza dei cattolici, inclusi non pochi vescovi, prende per buone tutte le parole e i gesti del Papa, né pensa che possa aver perduto la fede o che perseveri nell’errore. D’altro canto c’è chi ha deciso che Bergoglio non è Papa, perché non ha la grazia di stato. Ma qualsiasi ministro della Chiesa, che pecca con parole e azioni, non perde il ministero. Da Fazio ha detto che l’Inferno è vuoto, ma ha aggiunto subito che era una sua opinione. Premesso che il ministero petrino non è un sacramento, fin quando non farà una dichiarazione solenne dogmatica falsa, non è privo del ministero petrino (la decadenza automatica implica poi una rilevazione o constatazione da parte anche di un solo fedele competente e quindi la denuncia che dovrà essere raccolta e presa in esame da una istanza ecclesiale prima o dopo la morte, collegio cardinalizio o parte di essi, maxime un Concilio). I Dubia dei Cardinali sono il metodo giusto per obiettare al Papa, che rispettiamo per il suo ruolo, ma al quale ci opponiamo, quando va contro la Rivelazione.

Joseph Ratzinger settant’anni fa scriveva: «L’immagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo»[2].

L’abbé Claude Barthe[3] ritiene che, andando indietro nel tempo, sembra avverarsi quello che alcuni, come Michel de Certeau (1925-1986, gesuita eterodosso, linguista e storico francese, autore preferito da papa Francesco), diagnosticarono negli anni Settanta: uno strappo, si può dire uno scisma, si è prodotto dopo il Vaticano II, dividendo la Chiesa in due correnti, entrambe piuttosto composite ma ben identificabili: la prima, per la quale bisognava almeno arginare il Concilio, l’altra per la quale esso non era altro che un punto di partenza.

Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, nel noto discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, distingueva due interpretazioni della riforma conciliare, «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», che riteneva nefasta, e «l’ermeneutica della riforma o del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa che il Signore ci ha donato», che faceva sua; destinata, disse, a impedire «una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare».

È certezza di fede che la Chiesa non cambia, cresce nel tempo, si sviluppa rimanendo sempre lo stesso popolo in cammino. Tutti conoscono san Vincenzo di Lerins: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur: questo è cattolico. Dal post-Concilio, è proprio l’idea di Chiesa il perno della crisi cattolica[4]: si tende a scinderla dal popolo di Dio e a sostituirla con altri enti mondani, allorché si devono affrontare i problemi della giustizia e della pace; attraverso il malinteso dialogo interreligioso, la si vuol far diventare una Onu delle religioni, non un vessillo elevato tra le nazioni.

Nel discorso in oggetto, papa Benedetto addita un paradosso: siamo arrivati a teorizzare e praticare la rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. In tal modo è stata fraintesa «in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo esso viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la Costituente deve servire. I padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso». Dunque, la discontinuità va contro la fedeltà dinamica che caratterizza la Tradizione. Questo passaggio è decisivo per capire l’utopia di chi rifiuta il Concilio, come di chi sogna la Chiesa sinodale.

Benedetto XVI, nel discorso alla Curia, attribuisce a Giovanni XXIII e a Paolo VI l’idea di Concilio come «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa», perché affermarono, nelle Allocuzioni di apertura e di chiusura, che la Chiesa «vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamento»; e che il rispetto fedele e l’approfondimento della dottrina «certa e immutabile» non deve ignorare le esigenze contemporanee, ma senza travisare il senso e la portata della dottrina stessa.

Nel discorso, papa Benedetto accenna pure all’altra questione: il rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo e il mondo di oggi – ovvero l’età moderna – dall’altra, per il quale la discontinuità potrebbe sembrare convincente, se non fosse che l’età moderna ha cercato di eliminare Dio dall’orizzonte dell’uomo. Tuttavia, talune evoluzioni positive successive alla fase di contrapposizione tra Chiesa ed età moderna – come un tipo di Stato moderno, laico ma non neutro riguardo ai valori – avevano portato, in specie dopo la Seconda Guerra Mondiale, a reciproche aperture; per non parlare dell’apporto della dottrina sociale cattolica e dell’apertura delle scienze naturali a Dio. Pertanto, tre domande erano come davanti al Concilio e attendevano risposta: la relazione tra fede e scienze moderne, il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, in specie quanto al comportamento verso le religioni; il problema della tolleranza religiosa, che portava a ridefinire il rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo, e al suo interno quello tra Chiesa e fede di Israele. Su tutto ciò abbiamo come chiarissimo maestro il professor Stefano Fontana[5].

Benedetto non nasconde che “l’apertura verso il mondo” non ha trasformato tutto in pura armonia – per taluni, mettendo fine anche al sacro – sottovalutando le tensioni e le contraddizioni, come pure la fragilità dell’umana natura che costituisce la minaccia permanente per il camino dell’uomo. Non c’è ancora tanta parte di mondo che si sottrae al Vangelo e che, invece, ha bisogno di essere raggiunta da esso? Ce ne siamo accorti all’inaugurazione delle Olimpiadi. Ai nostri giorni, poi, i pericoli sono aumentati, in specie a motivo del potere della tecnica, divenuta quasi un nuovo idolo. E allora la Chiesa si dovrebbe dissolvere nelle religioni del mondo, vecchie e nuove? Non si dovrebbe più predicare la conversione e il perdono dei peccati? Si è giunti a postulare che le religioni siano vie parallele di salvezze, quasi che Cristo non sia più l’unico Salvatore.

In conclusione, papa Benedetto era convinto che «il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme». San Luigi Maria Grignion de Montfort ricordava che la Chiesa ha sempre unito la carità più compassionevole e l’intransigenza dottrinale più ferma, nell’ardore di un medesimo amore, che è lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. La Chiesa sa di non poter fare il bene senza combattere il male, di non poter evangelizzare senza lottare contro l’eresia. Per questo è importante la formazione apologetica, come sta cercando di fare la Bussola mensile. Chi non sa difendere la fede, non la può diffondere.

Misericordia e dottrina – per dottrina s’intende la Rivelazione – non possono sussistere che unendosi. La Chiesa – è stato detto – è intransigente per principio, perché crede; è tollerante nella pratica, perché ama. Invece, i nemici della Chiesa sono tolleranti per principio, perché non credono, e intransigenti nella pratica, perché non amano.

Come sappiamo, il conclave del 2013 ha voluto provare l’altra opzione, l’ermeneutica del Vaticano II opposta, alla quale si è raccordato Jorge Bergoglio. Il nuovo papa, che in un discorso alle riviste gesuite nel 2022 si è detto in lotta contro il “restaurazionismo”, che vuole “imbavagliare” il Concilio, e contro il “tradizionalismo”, che lo vuole svuotare, si è dunque impegnato ad “abbattere i muri”, secondo l’espressione da lui preferita:quello dell’Humanae vitae e dell’insieme dei testi che seguirono quest’enciclica che aveva preservato la morale coniugale dalla liberalizzazione che il Vaticano II aveva fatto subire all’ecclesiologia. Amoris laetitia ha dichiarato nel 2016 che le persone che vivono in pubblico adulterio potevano continuare a farlo senza commettere peccato grave (AL 301).
quello del Summorum Pontificum, che aveva riconosciuto un diritto a quel patrimonio della Chiesa che è la liturgia antica con la sua catechesi e i suoi chierici. Traditionis Custodes (2021) e Desiderio desideravi (2022) hanno bloccato questo tentativo di “ritorno”: i nuovi libri liturgici sono l’unica espressione della lex orandi del Rito romano (TC, art. 1).

Con l’opzione Bergoglio l’istituzione ecclesiastica ha continuato ad affondare e la missione a spegnersi. Per non dire del tema di un governo invadente, confusionario e dispotico (malgrado la parola d’ordine della sinodalità) su cui i critici si pronunciano. Francesco finora si era guardato dall’oltrepassare il Concilio, a rischio di far esplodere qualche struttura istituzionale: per esempio, malgrado tutte le dichiarazioni contro il clericalismo, non ha mai veramente messo in questione il celibato sacerdotale né aperto il sacerdozio alle donne. Con la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, l’Enciclica Fratelli tutti e, soprattutto, il Discorso nel recente viaggio a Singapore, è sembrato voler andare oltre il Concilio, se solo si consulta Dignitatis Humanae 1, dove si enuncia che la vera religione sussiste nella Chiesa Cattolica.

3. Cosa può ormai accadere

Sarà difficile che nel futuro conclave non si elevi una forte richiesta di mutamento di rotta, se davvero la Chiesa d’oggi si trova in questa “vistosa confusione”. Inevitabilmente – osserva Barthe – si dovrà pervenire a un ricentramento dottrinale e spirituale accentuato in rapporto alla rottura che si è verificata. In tempi più o meno lunghi, come accaduto nella storia della Chiesa semper reformanda, ciò non può verificarsi che come un ritorno alle radici evangeliche. Sarà necessario, per capovolgere la formula del Gattopardo, che nulla cambi (il dogma, la morale) perché tutto cambi (l’insieme della vita concreta della Chiesa). Tale opera avrà bisogno di uomini riformatori, uomini di Chiesa santi e forti, con un progetto teologico, e dunque magisteriale e spirituale solido, guidati dalla Provvidenza divina. Gesù ha fondato la Santa Chiesa e la fa crescere in mezzo alle tribolazioni all’interno, e all’esterno con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere.

A breve e medio termine, si può ipotizzare un periodo di transizione in cui una personalità ecclesiastica, formata sul modello conciliare ma che non vuole veder perire il cattolicesimo, concederà suo malgrado, o magari di buon grado, piena libertà a tutte le forze vive – come hanno fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – quelle che producono frutti di trasmissione della fede di generazione in generazione, di vocazioni e di missione. Allora, in ragione delle promesse di Cristo, comincerà ad essere attuata una vera riforma della Chiesa.

A Benedetto XVI interessava la fede e come saldare il Concilio a tutta la storia della Chiesa – cosa che non sembra interessare a Francesco – altrimenti finisce per prevalere la visione politica.

A mio sommesso avviso, Benedetto XVI ha insegnato il principio forse più sano del cattolicesimo: non trasportare in blocco il passato nel presente, ma preservarne e tramandarne soltanto il meglio (in senso morale, ideale, spirituale) e abbandonare il resto, senza rimpianti, al proprio destino effimero. Il cristianesimo ha affermato che il tempo non è ripetizione (come sostenevano gran parte delle concezioni antiche), bensì novità. Insomma è il rapporto tra nova et vetera istituito da Gesù, tra tradizione e innovazione. Questo è cattolico.

Ecco allora la sua proposta, avanzata nel discorso a Subiaco, l’1 aprile 2005: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini»[6].

Il pensiero e “la riforma di Benedetto” sono come un fiume carsico di cui affiorano in superficie i segni: diffusione della liturgia Vetus Ordo e influsso sul Novus Ordo dove viene ben celebrato, Comunione in bocca, vocazioni sacerdotali e religiose ancorate al soprannaturale: tutto ciò contribuisce alla formazione della coscienza (corrisponde al ‘cuore’, nelle Sacre Scritture): perciò la rinascita del sacro comincia nei cuori. La partecipazione alla sacra liturgia, purché rispecchi l’ordine rituale autentico della Chiesa, come papa Benedetto ha insegnato, plasma lentamente e radicalmente la nostra coscienza in modo puro e luminoso. La Chiesa deve formare la coscienza dell’uomo, per fermare e prevenire la deriva immorale delle generazioni di giovani.

4. Cosa dobbiamo fare


Benedetto XVI ha posto l’interrogativo e ha dato la risposta: «Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è fallito».[7]

Dobbiamo “rimanere” in Gesù Cristo per essere uno con Lui e tra noi, e cercando l’unità con quanti nella Chiesa vivono la fede come giudizio (Gv 9,39). Bisogna rimanere nell’unità del tutto, cioè nella Chiesa cattolica. Dobbiamo essere un movimento di resistenza alla “dittatura del relativismo” mediante la formazione dottrinale e morale dei giovani, in particolare quanti hanno la vocazione sacerdotale o religiosa. Si deve resistere, soffrire, come ha fatto Cristo nella Passione. Commentando Chesterton, Don Giussani diceva: «Dobbiamo dissentire, opporci, resistere giustamente alle forme dispotiche, in sostanza a una vita non ecclesiale nella Chiesa. Non dobbiamo però fare l’errore di collocarci fuori di essa, psicologicamente e metodologicamente. Il grande insegnamento di Cristo in croce è che morendo dentro la Chiesa, si possono cambiare le cose, non al di fuori».

Dobbiamo sapere distinguere Chiesa e uomini di Chiesa.[8]

L’Apostolo scrive al suo collaboratore Timoteo: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Dobbiamo essere fedeli! Come conservare la fede? Scrive san Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere con dolcezza, rispetto e buona coscienza, a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Osserva san Gregorio di Nissa: «Questo fu l'atteggiamento di tutti coloro che i tiranni costringevano a rinnegare la fede: essi dimostrarono di non temere le sofferenze fisiche e la condanna a morte; queste sofferenze non le avrebbero affrontate se non avessero avuto in sé chiara la dimostrazione della presenza di Dio».[9] Il cristiano deve fare missione con la parola e la testimonianza personale, ma quando «la parola non ha convertito, il sangue convertirà»[10], assicura Karol Wojtyła.

Se si legge attentamente la vita di san Benedetto, si deduce che solo quando si è veramente pronti a perdere tutto, si può ricevere, e ciò che si riceve non è sempre ciò che si vuole. Unendo le nostre sofferenze a quelle dei primi discepoli, le cui speranze in un trionfo mondano sono state tutte apparentemente stroncate, possiamo imparare a riporre la nostra fiducia non negli uomini, ma in Dio. Solo Lui può far risorgere la Chiesa, ma forse solo da quando accettiamo di aver perso tutto.

Il rimedio alla crisi ecclesiale è la Santa Madre di Dio, Maria: lo insegna la Tradizione, come afferma Ratzinger in Rapporto sulla fede[11], per sei motivi: 1. Maria garantisce uno sguardo di fede sulla divinità di Gesù, legata com’è all’altissimo mistero dell’Incarnazione del Verbo; 2. I quattro dogmi mariani della Maternità divina, della Verginità perpetua, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione al Cielo in corpo e anima, esprimono l’integrazione tra Scrittura e Tradizione che si esprime nella liturgia, nel sensus fidei dei fedeli, nella riflessione teologica guidata dal Magistero; 3. Maria tiene insieme antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo. In Lei possiamo vivere la Scrittura intera; 4. Maria garantisce alla fede la convivenza dell’indispensabile “ragione” con le altrettanto indispensabili “ragioni del cuore”, come direbbe Pascal. 5. Guardando a Maria, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre, non può degenerare in un’organizzazione a servizio di interessi umani; così, è un antidoto all'astrattismo della fede; 6. Maria è una luce per uscire dalla crisi della donna causata dalla verginità ignorata o disprezzata, e dalla maternità temuta e marginalizzata.

Grazie a Lei, al suo assenso, il Verbo eterno si è fatto carne, cioè è potuto entrare nella storia umana. Ogni uomo, in certo senso, è chiamato ad offrire la propria carne a Dio per entrare nel cuore degli uomini, come Maria Vergine. Ma bisogna essere vergini, cioè non contaminati, non succubi della mentalità mondana. Solo così si può collaborare alla redenzione del mondo, sull’esempio della Madonna.

In ragione di quanto appena descritto e al fine di rendere sicuro il percorso di perseveranza nella fede, mi sia consentito di ricorrere al commento di Joseph Ratzinger su Fatima: «Vorrei alla fine riprendere un’altra parola chiave del “segreto” divenuta giustamente famosa: “Il mio cuore immacolato trionferà”. Che cosa significa? Il cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore, perché grazie a questo “sì” Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre. Il maligno ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa».[12]




[1] S.GREGORIO MAGNO, Dal Commento sul Libro di Giobbe, Lib. 3, 39; PL 75, 619.

[2] Traduzione da: J.RATZINGER, Die neuen Heiden und die Kirche, in Hochland, LV, n. 51, Kempten, 1958-1959, p. 2.

[3] C.BARTHE, Trouvera-t-Il encore la foi sur la terre? Crise de l’Église: histoire et questions, Le Chesnay, Via Romana 2023, pp.168.

[4] J.RATZINGER/V.MESSORI, Rapporto sulla fede, Ed.Paoline, Cinisello B. 1985, p.45-54.

[5] Ad esempio: S.FONTANA, La dottrina politica cattolica, Fede&Cultura, Verona 2023.

[6] J.RATZINGER, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p.63-64.

[7] Papa Ratzinger: la Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, Corriere della Sera, 11 aprile 2019, III.


[8] Cfr. N.BUX con V.PALMIOTTI, Salute o salvezza? La Chiesa al bivio, Fede &Cultura, Verona 2021, p.94.

[9] S.GREGORIO DI NISSA, La grande catechesi, 18; Opere, a cura di C. Moreschini, Utet, Torino 1992, p 92.

[10] GIOVANNI PAOLO II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori, Milano 2004, p 152.

[11] Op.cit., pp.107-109.

[12] J.RATZINGER, Commento teologico alla terza parte del “segreto”, in Memorie di Suor Lucia, I, Grafica Almondina, Fatima 2000, p.233-234.








domenica 29 settembre 2024

San Michele Arcangelo: quale spiegazione dare alla misteriosa Linea di alcuni suoi santuari?







29 settembre

Pochi sanno che i santuari più importanti dedicati a San Michele Arcangelo sono misteriosamente posizionati su una via retta che arriva fino in Terra Santa. Il tracciato comincia in Irlanda, su un’isola deserta, dove l’Arcangelo Michele sarebbe apparso a San Patrizio per aiutarlo a liberare il suo Paese dal demonio. E’ qui che sorge il primo monastero: quello di Skellig Michael (“roccia di Michele”). 

La linea si dirige verso Sud e si ferma in Inghilterra, a Saint Michael’s Mount, un isolotto della Cornovaglia che con la bassa marea si unisce alla terraferma. Qui San Michele avrebbe parlato a un gruppo di pescatori. 

La linea sacra prosegue poi in Francia, in Normandia, a Mont Saint-Michel, anch’esso tra i luoghi di apparizione dell’Arcangelo Michele. Si tratta di uno dei siti turistici più visitati di tutta la Francia ed è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1979. Questo luogo, abitato dai Galli, era intriso di forte misticismo, poi, nel 709, l’Arcangelo apparve al vescovo Sant’Auberto chiedendogli che gli venisse costruita una Chiesa nella roccia. Iniziarono i lavori, ma furono successivamente i monaci benedettini, a partire dal 900, ad edificare l’Abbazia. 

Sempre in linea retta, a ben 1000 chilometri di distanza, in Val di Susa, in Piemonte, sorge il quarto santuario: la Sacra di San Michele. La costruzione dell’Abbazia iniziò intorno all’anno Mille. 

Spostandosi di altri 1000 chilometri in linea retta si arriva in Puglia, sul Gargano, dove una caverna inaccessibile è diventata un luogo sacro: il Santuario di San Michele Arcangelo. Il Santuario fu iniziato intorno al 490 anno della prima apparizione dell’Arcangelo Michele a San Lorenzo Maiorano. 

Dall’Italia si prosegue verso la Grecia, sull’isola di Symi: qui il monastero custodisce un’effigie del San Michele alta 3 metri, una delle più grandi esistenti al mondo. 

La linea sacra termina in Israele, al Monastero del Monte Carmelo ad Haifa. Questo luogo è venerato fin dall’antichità e la sua costruzione come santuario cristiano e cattolico risale al XII secolo.

Questa Linea non può essere una semplice coincidenza. Sono venute fuori almeno tre spiegazioni a riguardo. Alcuni dicono che si tratterebbe del colpo di spada che San Michele inflisse a Lucifero per farlo sprofondare nell’Inferno. Un’altra spiegazione afferma che questa Linea sarebbe un monito di San Michele affinché vengano rispettate le leggi di Dio ed i fedeli vivano nella rettitudine.

Ma c’è un’altra spiegazione ancora. Questa linea è in perfetto allineamento con il tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate. Il che potrebbe significare l’importanza che San Michele Arcangelo rivestirà nel giorno in cui tutta la storia si ricapitolerà: il tramonto della storia e l’alba dell’eternità. 

Ogni spiegazione ha la sua credibilità; ed è possibile che tutte e tre dicano qualcosa di vero. Una cosa però è certa e cioè che anche un segno come questo dimostra quanto il Dio Cattolico (che è l’unico vero Dio) con i suoi Santi voglia accompagnarci nel cammino del tempo, offrendoci la straordinarietà del mistero in esso. 

Dinanzi ad una meraviglia come la Linea di San Michele, così come dinanzi a tante altre meraviglie, l’intelligenza umana, se vuole davvero rimanere “intelligenza”, deve inchinarsi e contemplare, per riconoscere come tutto sia sotto il controllo della Provvidenza. Per riconoscere che non siamo soli. Per riconoscere che tutto è al suo posto. E che se sembra alle volte trionfare il caos, è perché siamo nella prova. In quella prova che, prima di dissolversi, è il campo di battaglia per ognuno. Un campo di battaglia che potrà essere palcoscenico di gloria o di dannazione. Spetta ad ognuno di noi decidere.







sabato 28 settembre 2024

Aborto sicuro, la macabra "festa" tra fake news e scienza censurata



Oggi è la giornata dell'aborto sicuro, ma se c'è una cosa sicura è che l'aborto chimico è più dannoso di quello chirurgico e che tutti gli aborti espongono la donna alla sindrome post abortiva. Cosa che invece gli ultimi interventi politici vorrebbero non solo silenziare, ma ribaltare. I ginecologi cattolici mettono in guardia sulle strategie menzognere utilizzate.


Appello dei ginecologi

Vita e bioetica 



Oggi gli abortisti di tutto il mondo celebrano la Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro. L’associazione dei Ginecologi e Ostetrici cattolici italiani (A.I.G.O.C.) in un comunicato stampa si domanda: «Aborto sicuro per chi?».

Il comunicato mette a fuoco con pregevole sintesi il momento critico che la difesa della vita sta attraversando attualmente a motivo degli attacchi da parte dell’ideologia libertaria. L’A.I.G.O.C. mette sull’avviso in merito ad una particolare deriva: il singolare “diritto” all’aborto che si vuole inserire in qualsiasi carta costituzionale nazionale «sta producendo un nuovo filone di interventi pubblici che tendono ad enfatizzare in senso critico alcuni aspetti normativi contenuti nella L. 194/78 ritenendoli “ostacoli” all’applicazione della stessa legge».

Insomma il paradosso è il seguente: la spinta abortista si è così accentuata che si fa guerra alla 194 perché non sarebbe sufficientemente abortista. E così non ci deve essere «più la ricerca e la rimozione delle cause che inducono la donna all’aborto, secondo l’art. 2 comma d e l’art. 5 (“l’ingerenza degli antiabortisti nei consultori”); non più i 7 giorni di riflessione precedenti l’IVG, secondo l’art. 5 (“l’attesa forzata”); non più entro le 9 settimane di gravidanza, secondo le linee guida del Ministro della salute nel 2020, ma fino alla 12° per l’aborto farmacologico e non più in regime di ricovero ospedaliero, ma a casa e con la telemedicina; non più medici e personale sanitario che pongano obiezione di coscienza, ai sensi dell’art. 9». In particolare si vorrebbe eliminare l’obiezione di coscienza perché l’aborto verrebbe considerato solo come atto medico. Ma l’A.I.G.O.C. risponde correttamente che «con l’IVG si agisce non solo sul corpo della donna, ma su un altro corpo umano vivente al suo interno […]. Si interrompe pertanto, non lo sviluppo di un’appendice del corpo della donna, bensì il corso della vita umana di un figlio».

Il comunicato cita poi un report dell’associazione Medici del mondo, supportato anche da esponenti del M5S, il quale indica un significativo rischio di «ripercussioni sulla salute mentale delle donne che non riuscirebbero ad effettuare l’aborto nei tempi e nei modi desiderati a causa di carenze di Consultori pubblici e di medici “non obiettori”». I Ginecologi cattolici rispondono così: «Questi dati non trovano conferma nell’ultima Relazione del Ministero della Salute al Parlamento del 2023». È una vecchia menzogna: le donne non riuscirebbero ad abortire a causa della presenza dei medici obiettori.

Su un primo versante bisognerebbe rispondere: volesse il Cielo che fossi così. Su altro fronte purtroppo dobbiamo ammettere che la mattanza di Stato continua indisturbata nonostante l’obiezione di coscienza. Scrivevamo nel 2019: «Come è emerso da uno studio del 2012 del Comitato Nazionale di Bioetica, organo consultivo del governo, e come confermato da un’indagine conoscitiva voluta dal Ministero della Salute nel 2016, laddove ci sono più medici obiettori i tempi di attesa all’aborto diminuiscono e viceversa».

Infatti, come annotavamo in un articolo precedente, «I tempi di attesa sono dunque connessi all’organizzazione dell’ospedale e non al numero di obiettori. Inoltre negli anni il numero di medici obiettori è aumentato, ma è rimasto invariato quello dei medici non obiettori. E dato che il numero di aborti chirurgici legali è diminuito, questo ci porta a dire che il carico di lavoro per i medici non obiettori è diminuito anch’esso negli anni».

L’ultima Relazione del Ministero della Salute sullo stato di attuazione della 194, relazione datata 2023 sull’anno 2021, oltre ad informarci che «esistono più punti IVG che punti nascita» (5,3 su 1000 aborti contro 1 su mille nascite), aggiunge che «nel 2021 il carico di lavoro medio settimanale di ogni ginecologo non obiettore continua a diminuire rispetto agli anni precedenti [e che] il numero di IVG psicer ogni ginecologo non obiettore è pari a 0,9 IVG a settimana a livello nazionale» (p. 9).

Torniamo al comunicato dei Ginecologi cattolici il quale così prosegue: «Vengono anche giudicati inutili e dannosi sulla psiche delle donne gli interventi degli “antiabortisti” nei Consultori e nelle strutture sanitarie pubbliche». Ma prove scientifiche di questo assunto non vengono fornite (anzi, lo studio presentato da Medici del mondo afferma l’opposto). «Restano invece inconfutabili le numerose reviews internazionali con metanalisi  effettuate in questi anni [si rintraccino nel sito le fonti bibliografiche], nelle quali emergono con evidenza le problematiche psichiche nelle donne che hanno abortito, soprattutto a distanza di tempo (9-12 mesi) dall’evento». 

L’ A.I.G.O.C., poi, oltre a ricordare l’aumento dell’assunzione di pillole post-coitali con possibili effetti abortivi «(762.796 confezioni totali di Norlevo ed ellaOne vendute nel 2023)» e la persistenza del fenomeno dell’aborto clandestino (10-13mila aborti ogni anno, secondo un report del 2017), critica giustamente la campagna di disinformazione in merito all’aborto tramite RU486.

Citando la più recente Relazione del Ministero della Salute sulla 194 ricorda che le complicazioni dovute all’assunzione di queste pillole sono «4 volte superiori a quella dell’aborto chirurgico» e che le «statistiche nazionali ed internazionali documentano una mortalità materna di 10 volte superiore per l’aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico». Si evidenziano questi dati non certo per suggerire l’aborto chirurgico rispetto a quello chimico, ma per dar prova che l’aborto in pillole non è così sicuro come si vorrebbe dare ad intendere.

Dunque nella Giornata per l’aborto sicuro si dovrebbe ricordare che le uniche cose sicure sono il fatto che l’aborto chimico è più dannoso di quello chirurgico e che ogni forma di aborto espone alla sindrome post-abortiva. Inoltre, nella prospettiva del nascituro, ogni aborto, sicuro o insicuro che sia, è per lui letale.

Da dove deriva questa inestinguibile sete di aborto? La risposta dei Ginecologi cattolici: «L’origine di questo “assedio ideologico” alla politica italiana e all’opinione pubblica nasce da un atteggiamento culturale gravemente menzognero. Si vuole far prevalere il principio dell’autodeterminazione della donna […] sul riconoscimento della vita umana degna di rispetto e di accoglienza fin dal suo inizio. […] Il diritto all’autodeterminazione, il mantra del “pensiero unico” moderno, che sottende il “diritto all’aborto”, non riesce più a fermarsi neanche di fronte all’evidenza scientifica, ormai acclarata con tanti strumenti biotecnologici, dell’esistenza di un essere umano, vivo, in pieno sviluppo nell’utero di sua madre».








venerdì 27 settembre 2024

A Roma il pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum e l’incontro Pax liturgica




26 Set 2024

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by Aldo Maria Valli

Si terrà a Roma dal 25 al 27 ottobre 2024 il tredicesimo pellegrinaggio internazionale Populus Summorum Pontificum, che anche quest’anno sarà preceduto, venerdì 25 ottobre, dall’incontro Pax liturgica, dalle ore 9 alle 16 presso il Pontificio istituto patristico Augustinianum (via Paolo VI, 25).

Ecco il programma.

Venerdì 25 ottobre 2024ore 17:30: Vespri pontificali presieduti da monsignor Marian Eleganti O.S.B., vescovo ausiliare emerito di Coira, presso la Basilica collegiata di Santa Maria ad Martyres (a cura dell’Istituto del Buon Pastore).

Sabato 26 ottobre 2024ore 9: Santo Rosario presso la Basilica minore dei Santi Celso e Giuliano;
ore 9:30: Santa Messa presso la Basilica minore dei Santi Celso e Giuliano (a cura dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote);
ore 10:30: processione verso l’Arcibasilica patriarcale maggiore di San Pietro in Vaticano con il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede;
ore 12: canto del Credo e venerazione delle reliquie di san Pietro apostolo presso l’Altare della Confessione;
ore 12:30: adorazione e benedizione eucaristica presso l’Altare della Cattedra di San Pietro.

Domenica 27 ottobre 2024ore 10: Santa Messa presso la Basilica minore dei Santi Celso e Giuliano (a cura dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote);
ore 11: Santa Messa pontificale celebrata da monsignor Marian Eleganti presso la Chiesa parrocchiale della Santissima Trinità dei Pellegrini (a cura della Fraternità sacerdotale di San Pietro);
ore 16: Santa Messa celebrata da monsignor Marco Agostini, cerimoniere pontificio, presso la Chiesa di Sant’Anna al Laterano.

* * *

Incontro Pax liturgica al Pontificio istituto patristico Augustinianum, 25 ottobre 2024

I partecipanti saranno accolti dalle ore 9. L’incontro inizierà alle ore 9:45.

RelatoriRubén Peretó Rivas (direttore dell’associazione Centre international d’Études liturgiques): Introduzione
don Claude Barthe (cappellano del Coetus internationalis Summorum Pontificum): Benvenuto ai partecipanti
suor Trinitat Cabrero O. V. (Santuario Santa María de Refet, Lleida): Ho aperto gli occhi. La scoperta della Tradizione della Chiesa
Jean-Pierre Maugendre (presidente dell’associazione Renaissance Catholique): La resistenza alla lettera apostolica “Traditionis custodes”: preghiere, istanze, dichiarazioni
cardinale Gerhard Ludwig Müller (prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede): Europa e cristianesimo. Bilancio e prospettive
professor John Rao (St. John’s University, New York): Il «Foro romano» e il Regno sociale di Cristo
Yen Ping Chan (Londra): Casa dolce casa. Il ritorno a casa attraverso la bellezza della liturgia
Christian Marquant (presidente dell’associazione Oremus-Paix Liturgique): Anche se noi non abbiamo ancora vinto, loro hanno perso.

Fine dei lavori, ore 16.

Sarà chiesta ai laici la partecipazione volontaria alle spese con un contributo di almeno dieci euro a persona per il pranzo a buffet.

Gli interventi saranno tradotti simultaneamente in francese, inglese, italiano e spagnolo.

Per le iscrizioni: qui.









CANCELLATO il demonio dalle Bibbie CEI 74 e 2008. Una omissione imperdonabile.






 27 settembre 2024

 Il caso del Salmo 109,6”


INVESTIGATORE BIBLICO, 6-9-24

E’ inutile girarci attorno. Se per molti versi la Bibbia Cei 74 resta la traduzione “meno peggio”, in certi casi devo ammettere che gli errori compiuti in essa sono alla pari della Cei 2008. Credo che il problema sia stata proprio la mentalità post-conciliare. Il Concilio Vaticano II non c’entra nulla. Ma è la deriva post-conciliare il problema. Tutte le filosofie e le ideologie che sono nate da una cattiva ed errata interpretazione del Vaticano II. Un esempio per tutti: la mentalità abbastanza diffusa che il demonio non esiste. Che è solo un simbolo. Ma che non esiste come persona. Questa mentalità, questa ideologia, si è fatta spazio da una errata interpretazione della teologia del Concilio Vaticano II. Dire che il diavolo non esiste, è una eresia. Che il Concilio non ha mai pronunciato. Il caso del Salmo 109,6 che analizzeremo oggi, è proprio un esempio di questa “nouvelle theologie” marcatasi ampiamente negli ultimi decenni.

Faccio notare che anche la Nuova Vulgata (traduzione latina completata nel 1979) in questo caso ha commesso un errore, ed anche la traduzione del Ricciotti (che è del 1940) come vedremo, in questo caso ha commesso un errore di traduzione.

Andiamo subito a vederlo.

CEI 1974: “Suscita un empio contro di lui, e un accusatore stia alla sua destra” (Sal 109,6)

CEI 2008: “Suscita un malvagio contro di lui, e un accusatore stia alla sua destra” (Sal 109,6)

Nuova Vulgata: “Constitue super eum peccatorem,
et adversarius stet a dextris eius” (Sal 109,6)

Ricciotti: “Metti al disopra di lui, [del mio avversario], un empio, e un accusatore stia alla sua destra!” (Sal 109,6)

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Vulgata: “Constitue super eum peccatorem,
et diabolus stet a dextris ejus » (Sal 109,6)

Martini: «Soggetta colui al peccatore, e il diavolo gli stia alla destra” (Sal 109,6)

La Bibbia LXX (traduzione greca vetero testamentaria), utilizza il termine “diabolos”, quindi “il diavolo”.

Il testo ebraico riporta il termine “satan”, facilmente comprensibile questa volta.

Quindi abbiamo: la CEI 74, CEI 2008, la Nuova Vulgatae la Bibbia Ricciotti che traducono con “un accusatore”. Mentre Vulgata, Martini la LXX e il Testo Masoretico traducono con “diavolo o satana”.

Naturalmente va detto che la Bibbia LXX e il Testo Masoretico sono quelli che fanno più testo, essendo i testi originali greco ed ebraico. Le altre rimangono tutte traduzioni, occorre capire quale traduzione è la più attinente ai testi originali.

Il Samo 109 è un Salmo imprecatorio. Il Salmista augura al suo nemico (considerato un cattivo, un empio) che il diavolo (o satana) stia alla sua destra. E’ vero che il demonio nella Scrittura è chiamato anche “l’accusatore”. Ma le traduzioni che utilizzano il termine “accusatore” avrebbero dovuto tradurre “l’accusatore”, intendendo il diavolo, accusatore per eccellenza, e non “un accusatore” qualsiasi.

In realtà il testo ebraico traduce con “satana” , quindi si capisce chi sia e la LXX traduce con “il diavolo” e non “un diavolo” (che non cambierebbe comunque il senso). La Vulgata traduce con “il diavolo” e così anche la Bibbia Martini. Insomma, si capisce chi è. Se si traduce con “un accusatore” può sembrare una persona qualsiasi, mentre il Salmista intendeva proprio il demonio.

Ecco. La differenza può essere sottile, ma a parer mio è sostanziale, perché nel Salmo si parla di demonio e le neo traduzioni lo hanno cancellato.

Spero di essere stato comprensibile.

In sintesi torno sulla mia richiesta: sia utilizzata nuovamente la Vulgata di San Girolamo. Quella traduzione è un dono preziosissimo che non possiamo perdere. In modo più assoluto.





giovedì 26 settembre 2024





I (nuovi) peccati del Sinodo sulla sinodalità. Questo genere di cose fa sembrare la Chiesa sciocca.







Articolo scritto da Jayd Henricks, pubblicato su What We Need Now. Ecco l’articolo nella traduzione curata da Sabino Paciolla (26 Settembre 2024).




Jayd Henricks

Un amico mi ha recentemente inviato un documento del Vaticano che all’inizio ho pensato fosse una parodia del Sinodo sulla sinodalità. Era troppo sciocco per essere serio, così ho pensato. Ormai, però, dovrei saperlo bene. Non era una parodia. La carta intestata del Segretario Generale del Sinodo e della Diocesi di Roma è ufficiale e il documento è ospitato su un URL del Vaticano.

Il documento delinea una celebrazione penitenziale che farà parte dell’apertura dell’ultima tappa dell’ormai estenuante esercizio del Sinodo sulla sinodalità. La celebrazione, presieduta da Papa Francesco, “intende orientare i lavori del Sinodo verso l’inizio di un nuovo modo di essere Chiesa”. Un obiettivo della celebrazione è che ci sia l’esperienza di “provare dolore e persino vergogna” per i nostri peccati e forse per i peccati degli altri. Si chiude con l’ammonimento che “la richiesta di perdono è il primo passo di una credibilità piena di fede e missionaria che deve essere ristabilita”. (Ci si chiede quando si sia persa la credibilità missionaria).

Altri hanno scritto sul tema, spesso presente negli sforzi sinodali e ripreso in questo documento sinodale, di “un nuovo modo di essere Chiesa”. Questo tema è un rompicapo. Che cos’è esattamente “un nuovo modo di essere Chiesa”? È qualcosa di diverso da quello che lo Spirito Santo ha stabilito 2.000 anni fa? Se è così, cosa dobbiamo fare con il modo tradizionale di “essere Chiesa”? E che cos’è, innanzitutto, l’“essere Chiesa”? Sembra uno slogan di un gruppo di discussione pensato per includere i contributi di tutti, senza però fornire una vera e propria definizione di nulla. I leader sinodali farebbero bene a definire cosa significa “un nuovo modo di essere Chiesa”. Se non ci riescono, allora sembra che dovrebbero eliminare questo linguaggio dai documenti futuri.

E per quanto riguarda il “provare dolore e persino vergogna” per i nostri peccati, questo sembra essere qualcosa di più appropriato per il santuario di un confessionale, per la direzione spirituale o persino per la consulenza che per una celebrazione liturgica. E se non provassimo dolore o vergogna per il nostro peccato, ma sapessimo di aver peccato e cercassimo la riconciliazione? E se la risposta al peccato degli altri è la rabbia? L’obiettivo dovrebbe essere la vergogna piuttosto che la rabbia? Sono sinceramente curioso di sapere cosa intendano i leader sinodali con tutto questo.

Queste idee, che dovreste leggere da soli, portano all’annuncio che la celebrazione penitenziale nominerà i peccati che devono essere confessati, sottintendendo che questi sono i più grandi peccati del nostro tempo e ci impediscono “un nuovo modo di essere Chiesa”. Si tratta di un elenco di sette peccati, tutti molto generici nella loro descrizione (che non è il modo in cui i peccati vengono confessati correttamente, o almeno così mi è stato insegnato). Tra quelli nominati: Peccato di usare la dottrina come pietra da scagliare. Peccato contro la sinodalità / mancanza di ascolto, comunione e partecipazione di tutti.

È qui che il documento diventa una parodia di se stesso. “Peccato di usare la dottrina come pietre da scagliare”? In nome dei santi Tommaso d’Aquino e Bonaventura, che cos’è? Chi è che usa la dottrina come pietra da scagliare? Sembra che abbiano in mente delle persone. È il catechista che assegna la lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica? È il continente dei vescovi che ha respinto un documento del Vaticano che, secondo la lettura popolare, sanziona il peccato? È un vescovo che, per il bene delle anime sotto la sua autorità, nega la Comunione a un pubblico ufficiale che sta creando grave scandalo? È il genitore che insegna ai propri figli i dieci comandamenti?

Per quanto mi riguarda, ho fatto un esame di coscienza e non ho bisogno di confessare questo peccato, e sospetto che non ci siano delegati sinodali (che parteciperanno a questa celebrazione penitenziale) che abbiano bisogno di confessare un simile peccato. Forse c’è bisogno di confessare il fallimento nel sostenere l’insegnamento della Chiesa (che è un’altra descrizione della dottrina della Chiesa). Secondo quasi tutti gli standard, questo sembra essere il problema più grave oggi. La dottrina non è una cosa negativa. Anzi, è un grande dono della Chiesa per i fedeli. Certo, può essere usata male dal punto di vista pastorale, ma quanto spesso accade? Ciò che è esponenzialmente più comune è il disconoscimento o l’ambiguità dell’insegnamento della Chiesa in un modo che è spiritualmente pericoloso; si potrebbe anche dire eternamente pericoloso. Sembra che valga la pena di confessarlo.

Un tema ricorrente che proviene da questo Vaticano è l’implicazione che l’insegnamento della Chiesa non sia di per sé pastorale, come se la verità non fosse per il bene della persona umana. Sì, certo, l’insegnamento della Chiesa può essere usato in modo pastoralmente insensibile o inefficace, ma questa è una critica al metodo, non all’insegnamento. Tutta la verità, per riprendere una frase della Scrittura, è “utile per l’insegnamento, per la riprovazione, per la correzione e per la formazione alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, attrezzato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16). L’insegnamento della Chiesa non è qualcosa da minimizzare o ignorare, ma da affermare per vivere nella verità di Cristo, per essere felici. Questo è un principio fondamentale della nostra fede che oggi si sta perdendo.

E poi c’è il “peccato contro la sinodalità / mancanza di ascolto, comunione e partecipazione di tutti”. Anche in questo caso, la parodia è fitta.

Non ci è ancora chiaro cosa sia la “sinodalità”, quindi come possiamo pentirci di aver peccato contro di essa? Forse si intende la mancanza di un adeguato ascolto dei fedeli da parte dei delegati sinodali e della leadership sinodale quando, ad esempio, l’ufficio comunicazioni del Vaticano cancella un sondaggio online in cui l’88% risponde negativamente alla domanda: “Credi che la sinodalità come percorso di conversione e riforma possa valorizzare la missione e la partecipazione di tutti i battezzati?”. Mi sembra un fallimento dell’ascolto. Non sono sicuro che debba essere confessato, ma lo lascio alla coscienza di chi ha cancellato il sondaggio.

E, naturalmente, c’è l’ovvio modo in cui la Santa Sede non ascolta coloro che sono critici nei confronti del Cammino Sinodale, o che preferiscono la Messa tradizionale, o che esprimono preoccupazione per la confusione che emana dal Vaticano in questi giorni. Se vogliamo essere una Chiesa “in ascolto”, allora sarebbe bene che questo fosse modellato da coloro che sostengono un modello di “Chiesa che vuole camminare insieme”, come apre la lettera.

Dopo l’elenco dei peccati, la lettera precisa che “il Santo Padre rivolgerà, a nome di tutti i fedeli, la richiesta di perdono a Dio e alle sorelle e ai fratelli di tutta l’umanità”. Qui il Segretario generale del Sinodo passa dalla sciocchezza alla, beh, scorretta teologia. Nell’economia sacramentale cattolica, non possiamo chiedere perdono per un’altra persona. Possiamo pregare affinché l’altro si penta, ma chiedere il perdono è qualcosa di diverso e non accessorio. Forse la lettera intendeva qualcos’altro, ma le parole hanno un significato e il Vaticano, tra tutti gli enti, dovrebbe stare molto attento all’uso delle parole.
Io definisco tutto questo una parodia del modo sinodale ma, pur essendo divertente, è anche molto serio. Questo genere di cose fa sembrare la Chiesa sciocca. Distrae dal vero bene di insegnare la fede con la chiarezza e la gravità che merita. Mina l’autorità del Santo Padre e dei Vescovi, sotto il cui manto tutto questo avviene, rendendo il lavoro della Chiesa un affare poco serio. Inoltre, non riesce a rivelare la bellezza della fede attraverso i santi e gli altri uomini e donne santi che testimoniano l’indescrivibile bellezza della tradizione cattolica, delle Scritture e della visione escatologica a cui Cristo si è dedicato per la Chiesa e i fedeli.

Ciò di cui abbiamo bisogno ora non è un gergo poco chiaro e aperto al ridicolo, ma una chiarezza di insegnamento e una serietà consona al Vangelo. È possibile.

Un rito penitenziale prima dell’inizio delle riunioni sinodali sembra una buona cosa. Abbiamo tutti bisogno della grazia di un cuore pulito per ascoltare meglio lo Spirito Santo. Quello di cui non abbiamo bisogno è una celebrazione quasi sacramentale che utilizza i riti della Chiesa per portare avanti un’agenda che ha sfumature ideologiche.

Non siamo una Chiesa che ha bisogno di essere riformata con una nuova identità alimentata da un processo che invita alla confusione. Ciò di cui abbiamo bisogno ora e sempre è di essere rinnovati dalla vita di Cristo, che ci chiama a vivere nella sua verità. Quando prenderemo sul serio questa chiamata, il mondo prenderà sul serio la fede.






La lezione del bambino inglese che si rifiuta di morire



A NR, 4 anni, erano stati tolti i sostegni vitali ad aprile per decisione di medici e giudici. Ma ha continuato a vivere e anzi le sue condizioni sono migliorate. Il giudice revoca la sentenza ma non capisce la morale della storia, ovvero cosa significano amore e "miglior interesse".

FINE VITA

Editoriali 



Riccardo Cascioli. 26-09-2024

«È un caso molto insolito e solleva alcune domande scomode che meritano una risposta aperta e obiettiva». Queste parole sono del giudice britannico Nigel David Poole e il caso cui si riferisce è quello di NR, un bambino disabile di 4 anni a cui lo scorso aprile lo stesso giudice aveva deciso di far togliere i sostegni vitali ma che è sopravvissuto e sta addirittura migliorando.

Si tratta di un caso che riporta immediatamente di attualità tutti i casi precedenti – da Charlie Gard a Indi Gregory, passando per Alfie Evans, Archie Battersbee e altri – in cui medici e giudici sono intervenuti contro la volontà delle famiglie per accelerare la morte dei bambini. E si presta ad alcune considerazioni.

NR (il tribunale ha vietato la diffusione del nome) è nato senza occhi e probabilmente sordo, ma nel 2023 è stato colpito da una infezione cerebrale che ha provocato due infarti: da quel momento ha vissuto solo grazie a un ventilatore polmonare, almeno fino ad aprile. Il copione era già scritto: i medici del King’s College Hospital decidono di interrompere l’ausilio dei sostegni vitali, i genitori – cattolici e che già avevano rifiutato l’aborto quando un’ecografia aveva rivelato la grave disabilità – si oppongono; e si finisce in tribunale. E qui il giudice Poole, dopo aver visitato il bambino, decide che è nel suo miglior interesse morire, perché «le difficoltà che deve affrontare sono di gran lunga maggiori dei benefici». I genitori avevano tentato anche la carta del ricovero in Italia, all’ospedale Bambin Gesù di Roma: invano.

Senonché, a sorpresa, NR si rifiuta di morire malgrado non sia più attaccato al ventilatore polmonare; di più, le sue condizioni lentamente migliorano: niente più catetere, viene nutrito con un sondino, respira normalmente. Così lo stesso giudice Poole, su istanza dei genitori, torna a visitare il bambino, prende atto della situazione e il 23 settembre ritira la sua sentenza precedente, intimando ai medici di prestare tutte le cure necessarie, e riconoscendo che questo caso dimostra che «la medicina è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità». D’altro canto Poole, che in passato aveva già fatto staccare i sostegni vitali in altri casi analoghi, ha difeso la sua sentenza di aprile affermando che era giustificata date le circostanze in cui è stata presa.

Si capisce allora che le possibili risposte alle «domande scomode» poste dal caso NR probabilmente si limiteranno in futuro a una maggiore prudenza nel decidere per il distacco dei sostegni vitali e magari a maggiori esami clinici per stabilire le reali possibilità di ripresa.

Il fatto è che il giudice Poole, giustificando la sentenza di aprile, conferma due criteri fondamentali profondamente erronei.
Il primo riguarda il significato dell’amore dei genitori per un figlio (ma vale per l’amore in generale). Nella sentenza di aprile, il giudice riconosceva il grande amore dei genitori per NR: «Come genitori di un bambino gravemente disabile sono consapevoli che non potranno offrirgli quella quantità di esperienze che potrebbero dare a un bambino senza le sue disabilità, ma possono dargli un amore incondizionato e la certezza che saranno sempre con lui. (…) NR continua a beneficiare dell’amore incondizionato e del sostegno dei suoi genitori. La loro devozione nei suoi confronti è davvero commovente». Ma sostenendo la decisione dei medici, confermata dalla sua stessa visita, il giudice Poole afferma che l’amore, per quanto edificante, è un ostacolo a giudicare lucidamente cosa sia meglio per la persona amata. Come a dire che l’amore è un ostacolo alla ragione e l’unico modo di giudicare obiettivamente sia l’indifferenza rispetto al soggetto che si giudica. Si tratta di una pretesa assurda: l’indifferenza, l’assenza di un sentimento o di un coinvolgimento in realtà impedisce di conoscere l’altro e quindi di poter giudicare cosa sia bene per lui.

Altrimenti sarebbe come dire, ad esempio, che due persone sposate non sono in grado di capirsi reciprocamente e di riconoscere il bene dell’altro per il solo fatto di essere innamorate o coinvolte affettivamente. Certo che si può dare anche un rapporto affettivo vissuto in modo distorto, ma la soluzione non può essere l’indifferenza, è disumano. Disumano come la sentenza di aprile.

C’è un secondo criterio affermato dal giudice Poole che non può essere condivisibile. Per giudicare quale sia «il miglior interesse» egli infatti usa il metro della “qualità della vita”. Il ripensamento su NR è davanti all’evidenza che le sue condizioni sono migliorate e che quindi il parere dei medici si è rivelato frettoloso e inaccurato. Ma resta dell’idea che davanti alla prospettiva di un progressivo peggioramento delle condizioni sia comunque giusto forzare la morte, proprio perché una vita così non è più degna di essere vissuta.

Questo è però proprio il criterio contro cui hanno combattuto i genitori di NR così come quelli di Alfie, Charlie, Archie e gli altri: non si facevano illusioni sulla guarigione dei propri figli, né contavano su una lunga aspettativa di vita, ma chiedevano che la morte arrivasse naturalmente, che fosse Dio a decidere e non un medico o un giudice. Chiedevano che non venisse spezzato artificialmente e brutalmente quell’amore incondizionato e naturale dei genitori che ha nutrito i loro bambini fino all’ultimo istante. E questo «miglior interesse» è esattamente ciò che il Potere di questo mondo non intende riconoscere.






mercoledì 25 settembre 2024

Quando monsignor Lefebvre spiegava: “Ecco perché la Chiesa conciliare è una Chiesa scismatica”




25 Set 2024


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by Aldo Maria Valli

L’arcivescovo Marcel Lefebvre scrisse il 29 giugno 1976, in occasione della sospensione a divinis comminatagli da Paolo VI:

“La Chiesa conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa cattolica quale è sempre stata. Essa ha i suoi nuovi dogmi, il suo nuovo sacerdozio, le sue nuove istituzioni, il suo nuovo culto, tutti già condannati dalla Chiesa in molti documenti, ufficiali e definitivi”.

“Questa Chiesa conciliare è scismatica, perché ha preso per base per il suo aggiornamento principi opposti a quelli della Chiesa cattolica, come la nuova concezione della Messa espressa ai numeri 5 della Prefazione al [decreto] Missale Romanum e 7 del suo primo capitolo, che attribuisce all’assemblea un ruolo sacerdotale che non può esercitare; come similmente il naturale — vale qui a dire divino — diritto di ogni persona e di ogni gruppo di persone alla libertà religiosa”.

“Questo diritto alla libertà religiosa è blasfemo, perché attribuisce a Dio scopi che distruggono la Sua Maestà, la Sua Gloria, la Sua Regalità. Questo diritto implica libertà di coscienza, libertà di pensiero, e tutte le libertà massoniche. La Chiesa che afferma tali errori è al tempo stesso scismatica ed eretica. Questa Chiesa conciliare è, pertanto, non cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti e fedeli aderiscono a questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa cattolica.”

Monsignor Lefebvre, un anno prima della consacrazione di quattro vescovi per la Fraternità San Pio X, in una Lettera ai futuri vescovi del 29 agosto 1987, spiegò:

“Miei cari amici, la Sede di Pietro e i posti di autorità in Roma essendo occupati da anticristi, la distruzione del Regno di Nostro Signore viene condotta rapidamente anche dentro il Suo Corpo Mistico quaggiù, specialmente attraverso la corruzione della Santa Messa che è sia la splendida espressione del trionfo di Nostro Signore sulla Croce — Regnavit a Ligno Deus — sia la sorgente dell’estensione del Suo regno sulle anime e sulle società.”

Monsignor Castro Mayer, in una intervista rilasciata al Jornal da Tarde, affermò:

“La Chiesa che aderisce formalmente e totalmente al Vaticano II con le sue eresie non è, né potrebbe essere, la Chiesa di Gesù Cristo. Per appartenere alla Chiesa cattolica, alla Chiesa di Gesù Cristo, è necessario avere la Fede, cioè non mettere in dubbio o negare alcun articolo della Rivelazione. Orbene, la Chiesa del Vaticano II accetta dottrine che sono eretiche, come abbiamo visto” (The Roman Catholic, agosto 1985).

I veri pastori sono lungimiranti, onesti, chiari. Il loro parlare è “sì sì, no no”.

Fonte: marcellefebvre.blogspot.com










Cambiare la morale: nella squadra di Fernandez solo teologi progressisti



I nuovi Consultori del Dicastero per la dottrina della fede appartengono alla teologia progressista e promettono di cambiare la dottrina della Chiesa su contraccezione, omosessualità, matrimonio, teologia del corpo, per cambiare in modo sostanziale la morale cattolica in generale.


I nuovi consultori

Ecclesia





Stefano Fontana,  25-09-2024

Sono stati nominati i nuovi Consultori del Dicastero per la dottrina della fede e la scelta dei nomi è stata fatta prevalentemente nel senso della teologia progressista. L’ossatura dei nuovi Consultori è costituita dai teologi che hanno sempre contestato l’enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II, hanno preparato ed appoggiato le novità di Amoris laetitia, vogliono cambiare quanto la Chiesa dice sul matrimonio e la sessualità, affermano che la Humanae vitae è riformabile, intendono l’amore in senso ampio e come un processo che accoglie tutti tenendo conto che qualcuno può essere più avanti ed altri più indietro ma nessuno è fuori, sono perfettamente in linea con le esigenze sinodali della neo-Chiesa, parlano molto di coscienza e discernimento assegnandovi la stessa importanza che nella vita morale svolge la legge naturale e divina, rifiutano il concetto di legge naturale pensandolo al massimo come sedimentazione dei molti atti di discernimento storicamente successivi.

Ci sono figure storiche del progressismo teologico soprattutto in teologia morale, come Aristide Fumagalli. Viene nominato anche Maurizio Chiodi che nel 2022 in un articolo pubblicato su una rivista dei Dehoniani aveva detto che l’insegnamento della Humanae vitae poteva essere cambiato. Il nome di Chiodi è molto significativo perché collegato strettamente con le vicende dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, dove egli è passato ad insegnare da Milano a Roma. Si può dire che egli sia come l’emblema di questa operazione di Francesco e Paglia tesa a liquidare definitivamente l’insegnamento di Giovanni Paolo II su questi temi, trasformando alla radice la fisionomia dell’Istituto da lui voluto e che portava il suo nome.

Chi ha seguito queste vicende non è certo stato sorpreso dalla sua nomina a Consultore del Dicastero del prefetto Fernández. Poi seguono i tanti altri, da Pier Davide Guenzi, teologo moralista che presiede l’associazione di categoria, ad Antonio Staglianò che invece presiede la Pontificia Accademia di Teologia, a Giacomo Canobbio che vorrebbe una Chiesa democratica nel senso della democrazia politica, fino a qualche gloria storica come Basilio Petrà. Non intendiamo fare nessuna lista, ma è evidente che la scelta è stata molto accurata. Possiamo sapere già in anticipo che un sostanzioso numero dei Consultori è per cambiare la dottrina della Chiesa sulla contraccezione, sull’omosessualità, sul matrimonio, sull’amore coniugale, sulla teologia del corpo, e per cambiare in modo sostanziale la morale cattolica in generale. Lo sappiamo perché lo hanno già fatto e scritto e proprio per questo sono stati nominati.

Ognuno di noi, sentendo l’espressione Dicastero per la dottrina della fede immagina qualcosa che assomiglia al vecchio Sant’Uffizio. Certo, tutti sappiamo che non si chiama più così e nemmeno si chiama più Congregazione, però ci si immagina che abbia conservato qualcosa che ha a che fare con la tradizione e l’autorità, qualcosa di collegato con la difesa della dottrina, con la denuncia delle deviazioni, con la messa in guardia dei fedeli dalle adulterazioni della verità sia nel campo della legge naturale che in quello della verità rivelata.

Prendiamo per esempio la vita di questo Dicastero durante il pontificato di Giovanni Paolo II e sotto la direzione del cardinale Ratzinger. Le condanne dirette sono state tutto sommato poche rispetto al passato, però sono stati prodotti molti documenti ufficiali di chiarimento su questioni delicate. I fedeli pensano ancora a qualcosa del genere: lasciamo perdere le condanne di teologi e pubblicazioni difformi dalla dottrina, ma almeno le precisazioni dottrinali dovrebbero continuare ad esserci. Ora, invece, non è più così e chi pensa ancora che sia così si sbaglia. È stato cambiato il senso di questa ex Congregazione, ora trasformata in uno stimolo alla ricerca teologica votata al cambiamento.

Lo aveva detto Francesco nella lettera personale inviata al cardinale Victor Manuel Fernández in occasione della sua nomina a Prefetto del Dicastero: bisognava evitare i “metodi immorali” di condanna adoperati in passato, non più perseguire errori dottrinali ma promuovere la ricerca teologica, stimolare il carisma dei teologi non secondo una “teologia da scrivania”, adoperare tutte le filosofie nessuna esclusa. Nessuno, quindi, si deve più attendere dal Dicastero una parola finale su una questione controversa, ma il contrario: la ricusazione delle certezze e l’apertura di questioni controverse. Infatti, se esaminiamo tutti i documenti firmati finora da Fernández (e da Francesco) vediamo che essi vogliono spiazzare e non più confermare, sono provocanti e talvolta scandalosi. ll nuovo Dicastero per la dottrina della fede invita non a credere a quanto dice ma a dissentire e per farlo nomina Consultori quanti fino a ieri erano i teologi del dissenso. Sembra che la contestazione degli anni Settanta sia salita al Palazzo del Sant’Uffizio e da lì pretenda di farsi (contraddittoriamente) norma.

Non crediamo che i Consultori non siano importanti. Essi lo sono più degli stessi Membri, come i teologi lo erano di più dei Padri conciliari al Vaticano II. Certo, non tutti i Consultori, ma chi conosce le segrete stanze sa bene che ci sono i Consultori che non vengono consultati e quelli che invece vengono consultati. Nessun dubbio che questo ultimo sia il caso del drappello dei teologi progressisti appena nominati.








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martedì 24 settembre 2024

L’intelligenza artificiale, le sue promesse e i suoi pericoli







Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’intervista di Francis X. Maier al Rev. Philip Larrey, pubblicata su What We Need Now. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione curata da Sabino Paciolla (23 Settembre 2024).




a cura di Francis X. Maier

Il Rev. Philip Larrey è un sacerdote cattolico e professore di filosofia al Boston College. Prima di Boston, ha ricoperto la cattedra di Logica ed Epistemologia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma ed è stato decano del Dipartimento di Filosofia della Lateranense. Ha pubblicato e tenuto numerose conferenze sulla filosofia della conoscenza e sul pensiero critico, comprese le implicazioni dell’intelligenza artificiale (AI) e gli effetti della nuova era digitale sulla società. Due dei suoi libri più recenti sono incentrati sul tema dell’IA: Artificial Humanity e Connected World. All’inizio di quest’anno Larrey ha moderato un dibattito sul tema “L’IA minaccia la dignità umana?”presso il Massachusetts Institute for Technology (MIT) e ha presentato le sue riflessioni alla conferenza delle Nazioni Unite sull’intelligenza artificiale, esplorando le implicazioni etiche dell’IA e sostenendo la necessità di misure per proteggere la dignità umana. Ha parlato con il redattore di WWNN Francis X. Maier nelle settimane precedenti il suo recente intervento sull’IA alla conferenza estiva 2024 del Napa Institute.

WWNN: Lei è un sacerdote per vocazione e un filosofo per professione. Come mai si è avvicinato al mondo dell’IA?
Larrey: Ho insegnato logica e filosofia della conoscenza alla Lateranense, oltre che filosofia analitica a livello universitario. Negli anni Novanta mi sono interessato all’IA perché pensavo che, studiando ciò che fa l’intelligenza artificiale, avremmo potuto imparare di più su ciò che fa l’intelligenza umana, facendo sempre attenzione a distinguere tra le due cose. Pensavo allora e penso oggi che il termine “intelligenza artificiale” sia un termine improprio. Quello che fa una macchina non è una questione di “intelligenza”. Semplicemente utilizza una serie di algoritmi per calcoli logici per ottenere risultati programmati.
L’argomento era comunque intrigante. L’intelligenza artificiale era una novità assoluta. All’epoca esisteva un forte movimento filosofico chiamato funzionalismo, che considerava l’intelligenza umana e il rapporto tra mente e cervello simile a quello tra software e hardware. Secondo il funzionalismo, la mente è un programma caricato all’interno di un’informazione e il cervello è l’hardware su cui gira. Hilary Putnam è stato probabilmente il filosofo più famoso a sostenere questa tesi, ma molti altri hanno fatto lo stesso. Poi, alla fine degli anni ’90, ha abbandonato questa visione. Ha concluso che non è così che funziona la mente umana. Ma molti programmatori di computer stanno tornando al funzionalismo, a quella metafora, nonostante i suoi difetti.


WWNN: Potrebbe parlare un po’ del motivo per cui i sensi sono un elemento importante nel pensiero umano e dell’impatto della loro assenza nel calcolo automatico? Qual è il significato?
Larrey: Ho studiato questo aspetto per quasi 35 anni. Le macchine non hanno sensazioni. Non hanno percezione. Hanno però dei sensori, alcuni dei quali sono molto migliori dei nostri sensi. L’esercito ha satelliti a quasi 200 miglia nello spazio che possono rilevare la traccia di calore e la pressione dei pneumatici di un camion per determinare che tipo di carico sta trasportando e se è stato spostato di recente. Sono cose che fanno paura. Ma una cosa è avere dei sensori e una cosa è avere un senso fisico come l’occhio, l’orecchio, il naso o il tatto. Esiste una connessione metafisica tra i nostri sensi umani e la realtà empirica che i robot non avranno mai. Questa è una differenza fondamentale tra l’intelligenza artificiale e noi stessi. Anche se i nostri sensi possono essere meno potenti dei sensori di una macchina, sono di gran lunga migliori in termini di conoscenza della realtà. Una macchina ha bisogno di digitalizzare la realtà per poter lavorare con essa in un linguaggio comprensibile: uno e zero. Noi non abbiamo bisogno di farlo. Noi sperimentiamo ed elaboriamo il mondo direttamente, quindi siamo molto più bravi a capire la realtà di quanto non lo siano i sensori”.


WWNN: A volte sembra quasi che non stiamo cercando di creare macchine coscienti, ma piuttosto di ridurre la nostra concezione di umanità al livello delle macchine, al livello utilitaristico.

Larrey: Alcuni transumanisti corrispondono a questo profilo. Tendono a ridurre la mente alle funzioni cerebrali. Ma non funziona. Una macchina può gestire algoritmi molto veloci su enormi database, e gli esseri umani non potrebbero mai farlo da soli. Ma l’intelligenza artificiale utilizza calcoli logici basati su statistiche. Questo non è ragionamento. Per quanto riguarda la “coscienza” delle macchine: il futurista Ray Kurzweil sosterrebbe che quando le macchine mostreranno un comportamento che noi intendiamo come coscienza, le considereremo tali, anche se non lo sono. In pratica, se non si riesce a distinguere, c’è una differenza? Se sembra un’anatra, starnazza come un’anatra e cammina come un’anatra, allora deve essere un’anatra, giusto?
Ma non è così. Se avete mai giocato con ChatGPT, può convincervi che è davvero consapevole, che capisce quello che dite. Ma non lo è, e non lo fa. Le macchine non sono coscienti e non lo saranno mai. Naturalmente, questo non impedirà ad alcune persone della Silicon Valley di cercare di renderle tali. Se si dice agli ingegneri del software che una cosa è impossibile, loro la prendono come una sfida per dimostrare il contrario.


WWNN: Sembra una forma di arroganza, e l’arroganza di solito finisce male. Il che porta alla mia prossima domanda: Lei ha un rapporto di amicizia, tanto per fare un esempio, con Sam Altman, il cofondatore di OpenAI, uno dei principali attori nel campo dell’intelligenza artificiale. Come sono gli uomini come Altman? E perché dovrebbero parlare con un prete?
Larrey:
È una bella domanda. Ho avuto la fortuna di incontrare molte di queste persone: Mark Zuckerberg; Eric Schmidt, che è stato amministratore delegato di Google per molti anni; Sam Altman. Conosco alcuni dei fiduciari del Meta’s Oversight Board e alcune di queste persone hanno visitato le mie classi. La Silicon Valley è molto piccola, il che unisce tutte queste persone in un gruppo piuttosto affiatato. E quindi conoscerne una aiuta a conoscerne molte altre. Secondo la mia esperienza, sono interessati a dialogare con la Chiesa cattolica. Vogliono ascoltare ciò che il Papa ha da dire, e Francesco ha parlato di IA in diversi discorsi importanti negli ultimi mesi.


WWNN: Ma ancora una volta, perché dovrebbero parlare con la Chiesa cattolica? Facendo un passo indietro, una certa prospettiva (negativa) potrebbe sostenere che la Chiesa cattolica è il deposito di tutto ciò che è retrogrado nell’esperienza umana.
Larrey:
Una delle cose che ho imparato negli anni ’90 è che la tradizione cattolica non è riuscita a parlare in modo comprensibile alla gente della Silicon Valley. Era un ostacolo enorme. Quindi, ho sentito che era parte della mia vocazione imparare la loro lingua e poi tradurre la ricchezza della tradizione cattolica in quella lingua. Spero di portare a termine questa sfida. Penso che questo sia ciò che interessa loro.


WWNN: Ma il loro interesse è semplicemente una versione del botanico affascinato da uno strano fiore nuovo? Oppure c’è qualcosa nell’esperienza e nella concezione cattolica della vita umana che spinge queste persone a saperne di più e a dialogare con essa?
Larrey:
Varia. I miei rapporti con le aziende tecnologiche sono un po’ parziali, perché devono essere disposte a parlare con me. Alcuni leader, come Eric Schmidt e Max Tegmark, sono stati straordinariamente aperti. Altri non molto. L’amministratore delegato di Google non è interessato. Dirige una delle più grandi aziende del pianeta, che ha un impatto su miliardi di persone ogni giorno, e non è interessato a parlare della natura della persona umana. Tutti parlano dell’etica dell’IA… e lui non è coinvolto in queste discussioni.


WWNN: Che tipo di impatto avrà l’IAa lungo termine? Soprattutto se lo si paragona alle enormi conseguenze, a tutte le dislocazioni sociali, causate involontariamente dalla stampa nel XVI secolo.
Larrey:
Sarà più grande. Molto più grande. Alcuni nomi molto seri nello sviluppo dell’IA hanno sostenuto che dobbiamo chiudere la ricerca sull’IA in questo momento – non rallentarla, ma chiuderla – sostenendo che nel momento in cui raggiungeremo l’Intelligenza Generale Artificiale (AGI) distruggerà ogni essere umano sul pianeta. Se un luddista dell’Iowa avesse detto qualcosa di così radicale, non avreste prestato attenzione. Ma quando a dirlo è un elenco di esponenti di spicco dell’industria, la cosa è estremamente preoccupante. Potenzialmente, l’IA è molto pericolosa. Porterà via molti posti di lavoro alle persone. L’IA sarà autonoma e in grado di funzionare in modo quasi identico a un essere umano. Al momento, le IA “ristrette” di cui disponiamo sono in grado di fare molto bene un’ampia varietà di singole cose, come giocare a scacchi o al gioco Go, o a Jeopardy. L’Intelligenza Artificiale Generale interagirà con l’ambiente circostante in modo autonomo per ottenere risultati. È simile a ciò che fanno gli esseri umani veri e propri, ma senza un carattere e una coscienza autenticamente umani.


WWNN: Cosa farà l’intelligenza artificiale alla Chiesa cattolica come comunità religiosa? Sembra che possa avere un effetto molto dirompente sull’intera idea di identità e destino umano, sull’idea di soprannaturale e sulla realtà delle verità invisibili.
Larrey:
Non credo che possiamo ancora saperlo. Un eccellente uso cattolico dell’IA è “Magisterium AI”, fondato da Matthew Sanders. Vive in Quebec ed è anche l’amministratore delegato di Humanity 2.0, una fondazione cattolica molto valida. Magisterium AI aiuta gli utenti a comprendere la dottrina cattolica. Ha addestrato l’IA sulla base dell’insegnamento e dei documenti cattolici ufficiali, in modo che non presenti informazioni false. E le fornisce 200 documenti a settimana. Pertanto, sono ottimista. Penso che impareremo a usare questi strumenti di intelligenza artificiale per raggiungere buoni obiettivi. E se il nostro obiettivo è essere una comunità di fede impegnata, questi strumenti ci aiuteranno a farlo.
Dal punto di vista filosofico, l’IA solleva molte domande. Ed è con queste che stiamo lottando ora. Che cos’è la coscienza? Cos’è il libero arbitrio? Che cos’è l’aldilà? Non possiamo semplicemente caricare la mente umana su una chiavetta USB e poi scaricarla in un altro corpo perché, al di là della morte, l’anima e il corpo non possono essere separati; il corpo è una parte unica e determinante della nostra identità. Abbiamo quindi bisogno di un quadro di riferimento adeguato per riflettere su questi temi, e questo è un lavoro in corso.





Padre Pio spiega la Santa Messa





La Messa è la ri-attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo sul Calvario (Video)



Corrado Gnerre

«Il mondo potrebbe reggersi senza il sole, ma non senza la Messa»

«Se la gente sapesse cosa accade sull'altare durante la Messa, dovrebbero mettere i carabinieri dinanzi alle chiese per contenere le folle» Queste due citazioni sono di Padre Pio da Pietrelcina, il Santo del confessionale, del Rosario e della Messa. Una vera e propria icona di risposta alla crisi del sacerdozio del XX secolo.

Chi abbia assistito alla Messa celebrata da san Pio (Messa, che arrivava a durare perfino due ore) riusciva facilmente a penetrare nel Mistero dell'azione liturgica, a capire cioè che la Messa, ogni Messa, è la ri-attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo sul Calvario. San Pio riusciva facilmente e chiaramente, insomma, ad esprimerne l'aspetto sacrificale.

Dal libro L'ultima Messa di Padre Pio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, leggiamo come il Santo del Gargano considerasse la Messa un «completamento sacro con la passione di Gesù», in cui poter leggere «tutto il Calvario»; ma anche come egli stesso soffrisse, celebrandola, «tutto quello che ha sofferto Gesù nella Sua passione, inadeguatamente» per quanto «a umana creatura» sia possibile, «contro ogni mio demerito e per sola Sua bontà», pronunziando un solo fiat, quello «di soffrire e sempre soffrire per i fratelli di esilio e per il suo Divin regno».

L'unico sacerdote stigmatizzato

Prima di tutto va tenuto presente come san Pio da Pietrelcina sia attualmente l'unico sacerdote stigmatizzato. Chi volesse a riguardo obiettare che anche san Francesco d'Assisi ricevette le stigmate, dovrebbe sapere che il Santo di Assisi non fu mai ordinato sacerdote, fermandosi al diaconato. Ma non solo. Mentre il Patrono d'Italia ricevette le stigmate come «ultimo sigillo» (Divina Commedia, Paradiso, XI, Dante Alighieri) cioè al termine della sua vita, padre Pio le ricevette a 31 anni e le portò per ben cinquant'anni, dal 20 settembre del 1918 fino alla morte, avvenuta il 23 settembre del 1968. Cinquant'anni precisi, poiché le stigmate iniziarono a rimarginarsi - senza la cicatrizzazione - pochissimo tempo prima della sua morte: fu proprio per questo che il Santo sacerdote cappuccino capì ch'era ormai arrivata la chiamata al Cielo.

Il sacerdote è un alter Christus sempre; lo è ontologicamente, ma soprattutto nella celebrazione della Messa, laddove in maniera evidente si esprime questa dimensione. Durante la consacrazione eucaristica, misticamente, le mani del celebrante diventano realmente le mani di Cristo, così come il calice utilizzato diventa misticamente il calice, che Gesù stesso utilizzò nell'Ultima Cena al momento dell'istituzione del Sacramento dell'Eucaristia.

Padre Pio con le stigmate, con mani e piedi traforati, con la ferita al costato (piaghe, queste, che diventavano più dolorose e sanguinanti al momento della celebrazione eucaristica) ha rappresentato visivamente cosa sia davvero la Messa, in un tempo in cui questa dimensione sacrificale pare quasi totalmente sparita, soprattutto nella consapevolezza dei fedeli.

Il contrasto con gli abusi liturgici

Certo, fa impressione pensare alla Messa di san Pio da Pietrelcina e vedere certi abusi liturgici al «limite del sopportabile» - come ebbe a definirli papa Benedetto XVI nella lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum -. Sacerdoti che ballano o fanno ballare durante le celebrazioni, altari contornati da palloncini e bolle di sapone, presbiteri con clown e majorettes. Fa impressione vedere la differenza: da una parte il Calvario dall'altra la pantomima, da una parte il Mistero dall'altra la tristezza nell'apparente allegria beota della banalizzazione. Ad una domanda il Santo del Gargano rispose che «solo in Paradiso» potremo vedere gli innumerevoli benefici ricevuti dai fedeli durante la Santa Messa, che è il legame evidente del naturale con il soprannaturale e del soprannaturale con il naturale.

La Provvidenza anche per questo ha donato l'esempio di san Pio da Pietrelcina, per farci capire cosa sia davvero la Messa, per farci capire il suo ineffabile mistero, la sua grandezza. E questo dono è arrivato al momento giusto, proprio allorquando tutti corriamo il rischio di capire, sì, le parole della celebrazione liturgica, ma di non sapere più cosa essa davvero sia.



Fonte: I Tre Sentieri