Gesù è il perseguitato per eccellenza, poiché la sua identità e il suo messaggio non sono facilmente accettati dal mondo. Per i suoi discepoli vale lo stesso. Le cause della crisi ecclesiale e il suo rimedio: Maria. La necessaria unione di misericordia e dottrina. Ecco il testo integralle della meditazione che ha aperto la Giornata della Bussola.
Di seguito il testo integrale della meditazione preparata da monsignor Nicola Bux, teologo e docente di liturgia orientale, per la Giornata della Bussola tenutasi sabato 28 settembre 2024 a Palazzolo sull’Oglio (Brescia), presso la Comunità Shalom, e incentrata sul tema “Perseverare nella fede”.
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Ecclesia
Nicola Bux, 30-09-2024
1. Battaglie all’esterno, timori al di dentro
Scrive il papa san Gregorio Magno: «Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell'errore. Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all'arte veramente insuperabile della fortezza. All'interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l'insegnamento illuminato, all'esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione. Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male. A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri. Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine. Vediamo il soldato degli accampamenti di Dio che combatte contro entrambi i mali: “Battaglie all’esterno, timori al di dentro” (2 Cor 7,5)».[1]
«Ma chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvo» (Mc 13,13). Perseverare, verbo che si coniuga con fedeltà, fiducia, pazienza, soprattutto persecuzione e martirio.
È Gesù il perseguitato per eccellenza, dalla nascita alla morte; la fase finale di quella persecuzione è cruenta e carica di sofferenza, sì da essere definita “Passione”. Infatti, san Pietro, nella Prima Epistola, dice che Egli ha patito per noi, perché ne seguiamo le orme (cfr. 2,21). La Passione di Gesù, inoltre, è un dono fatto a ogni uomo; come mirabilmente constata san Paolo nell’Epistola ai Galati (2,20): «Ha dato se stesso per me». La Passione di Gesù è per me, per la mia vita, per la mia salvezza; la Passione di Gesù è una grazia e un esempio, è il “metodo” per vivere la vita.
Dunque la Passione è il metodo per capire come essere membra del corpo di Cristo che è la Chiesa; perciò dobbiamo ricordare che a noi non può essere riservato un trattamento diverso da quello che è stato riservato a Gesù, che ha profetizzato: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).
Bisogna perseverare fino alla fine. Il momento culminante della tribolazione sembra essere costituito dall’apparizione di falsi messia e profeti, dai quali Gesù mette in guardia (cfr. Mt 24,23s; Mc 13,21s; Lc 21,23s). Al di là del momento storico in cui si è realizzata questa profezia, cioè l’impero di Caligola e Nerone, il richiamo mira a rendere avvertiti i cristiani dinanzi al periodico riapparire di Anticristi. Come resistere a tali tentativi di ricorrente mistificazione del Cristo? È la costituzione stessa del collegio apostolico a fare da antemurale; ma il punto di maggiore resistenza è costituito dal conferimento dell’incarico pastorale a Pietro, congiunto alla chiara predizione del suo martirio (cfr. Gv 21,18) a cui Gesù aveva alluso in Giovanni (13,36). L’incarico che egli dovrà assumersi “più di costoro” sarà oggetto di persecuzione. Il primato, dunque, riceve una struttura martirologica*, come già del resto aveva indirettamente prefigurato Gesù nella risposta alla madre dei figli di Zebedeo circa i posti d’onore accanto a Lui. Le persecuzioni, a cominciare da quelle del sinedrio e di Nerone, ebbero come obbiettivo primario Pietro, il principe degli apostoli. Ma dopo la morte dei due Giacomo, anche Giovanni “bevve lo stesso calice” come Gesù stesso aveva promesso (cfr. Mc 10,39).
Dunque la persecuzione è il destino dei discepoli: l’identità di Gesù non può essere accettata facilmente dal mondo, perché se così fosse, non costituirebbe la novità e il mondo non riceverebbe nulla di più di quel che già possiede. Il contrasto invece dimostra che la realtà di Gesù è tutt’altra cosa da quella del mondo. Perciò, anche la missione dei discepoli porta in sé questo contrasto.
Gesù, poi, mette in guardia proprio da quanti, esperti di religione e di legge, ritengono di avere la
chiave dell’interpretazione e non permettono ad altri di entrare; così uccidono i profeti, veri portatori dello Spirito che rinnova. Quando sono in vita, li si vitupera e li si manda a morte: successivamente si ergono monumenti in loro memoria (cfr. Lc 11,47-53). Colpisce il fatto che la persecuzione prenda avvio proprio dall’interno della comunità (cfr. Mt 10,21)! Dunque, seguire Gesù significa seguirlo nel dolore, prendendo la croce e perdendo la vita (cfr. Mt 10,38s; 16,24-28; Mc 8,34-35; 9,1; Lc 9,23-27; 14,27; 17,33; Gv 12,25). Non era facile comprenderlo per i discepoli, anzi era fonte di turbamento; perciò Gesù reiterava la profezia della Passione (cfr. Mt 17,22s; Mc 9,30-32; Lc 9,43b-45).
Le persecuzioni devono essere accettate per amore del Vangelo. Chi persevererà sino alla fine sarà salvato. L’atteggiamento da tenere nella persecuzione, dunque, è la perseveranza che nella missione cristiana permette non già di vincere, bensì di resistere al male. In fin dei conti, i discepoli di Cristo non sono chiamati a conseguire delle vittorie su questa terra, ma ad opporsi alla mentalità mortifera anticristiana, che spegne con l’aborto la vita nascente e con l’eutanasia quella morente: perché il mondo, in apparenza indifferente, si oppone a Cristo. Pertanto il cristiano è chiamato a opporre resistenza con la testimonianza, che gli consentirà alla fine di vincere: perché i modi di pensare del mondo passano, come le mode, ma la Parola di Dio resta in eterno.
San Paolo ha mirabilmente tracciato le linee di una “teologia della persecuzione”, in particolare quando afferma nella Prima Lettera ai Corinzi: «Insultati, benediciamo; perseguitati: sopportiamo; calunniati: confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti: fino a oggi» (4,12-13). Che sia cruenta o meno, la persecuzione costituisce lo statuto ordinario della Chiesa*. Il Martirologio è dunque il necessario vademecum del cristiano. Dal primo avvento di Cristo fino al suo ritorno, la suprema beatitudine rimane la persecuzione (Mt 5,11-12).
2. L’attuale stato della Chiesa e le sue cause
È significativa un’intervista di mons. Sergio Pagano sul Corriere della Sera del 13 luglio 2024, a coronamento di 27 anni da prefetto dell’Archivio apostolico vaticano. Alla domanda se nella Chiesa d’oggi egli veda una decadenza o una rinascita, Pagano ha così risposto: «Tristemente, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale: troppe aspettative. Si è creato disordine nella disciplina, nei seminari e negli atenei pontifici. In dottrina si è registrata una crisi sempre più profonda. E in questo clima di incertezza a prevalere è stata una vistosa confusione. Registro il disorientamento dei fedeli e una certa decadenza del pensiero teologico. La stessa pastorale è ridotta a carità per la carità, senza un’ispirazione verticale, di fede».
La causa? Con sant’Agostino, possiamo dire che «i pastori pascolano sé stessi», badando ai propri interessi e non alla salvezza delle anime. Oggi, la larga maggioranza dei battezzati, semplici fedeli, sacerdoti, vescovi, vivono, senza saperlo, immersi nell’eresia (che significa scelta tra verità da credere o tra sue parti), e pochi sono in grado di distinguere tra la verità e l’errore penetrati all’interno della Chiesa. Quando la società era ancora cattolica, il sensus fidei era sviluppato ed era facile discernere l’eresia di un prete, di un vescovo o addirittura di un Papa. Oggi la gran maggioranza dei cattolici, inclusi non pochi vescovi, prende per buone tutte le parole e i gesti del Papa, né pensa che possa aver perduto la fede o che perseveri nell’errore. D’altro canto c’è chi ha deciso che Bergoglio non è Papa, perché non ha la grazia di stato. Ma qualsiasi ministro della Chiesa, che pecca con parole e azioni, non perde il ministero. Da Fazio ha detto che l’Inferno è vuoto, ma ha aggiunto subito che era una sua opinione. Premesso che il ministero petrino non è un sacramento, fin quando non farà una dichiarazione solenne dogmatica falsa, non è privo del ministero petrino (la decadenza automatica implica poi una rilevazione o constatazione da parte anche di un solo fedele competente e quindi la denuncia che dovrà essere raccolta e presa in esame da una istanza ecclesiale prima o dopo la morte, collegio cardinalizio o parte di essi, maxime un Concilio). I Dubia dei Cardinali sono il metodo giusto per obiettare al Papa, che rispettiamo per il suo ruolo, ma al quale ci opponiamo, quando va contro la Rivelazione.
Joseph Ratzinger settant’anni fa scriveva: «L’immagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo»[2].
L’abbé Claude Barthe[3] ritiene che, andando indietro nel tempo, sembra avverarsi quello che alcuni, come Michel de Certeau (1925-1986, gesuita eterodosso, linguista e storico francese, autore preferito da papa Francesco), diagnosticarono negli anni Settanta: uno strappo, si può dire uno scisma, si è prodotto dopo il Vaticano II, dividendo la Chiesa in due correnti, entrambe piuttosto composite ma ben identificabili: la prima, per la quale bisognava almeno arginare il Concilio, l’altra per la quale esso non era altro che un punto di partenza.
Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, nel noto discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, distingueva due interpretazioni della riforma conciliare, «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», che riteneva nefasta, e «l’ermeneutica della riforma o del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa che il Signore ci ha donato», che faceva sua; destinata, disse, a impedire «una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare».
È certezza di fede che la Chiesa non cambia, cresce nel tempo, si sviluppa rimanendo sempre lo stesso popolo in cammino. Tutti conoscono san Vincenzo di Lerins: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur: questo è cattolico. Dal post-Concilio, è proprio l’idea di Chiesa il perno della crisi cattolica[4]: si tende a scinderla dal popolo di Dio e a sostituirla con altri enti mondani, allorché si devono affrontare i problemi della giustizia e della pace; attraverso il malinteso dialogo interreligioso, la si vuol far diventare una Onu delle religioni, non un vessillo elevato tra le nazioni.
Nel discorso in oggetto, papa Benedetto addita un paradosso: siamo arrivati a teorizzare e praticare la rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. In tal modo è stata fraintesa «in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo esso viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la Costituente deve servire. I padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso». Dunque, la discontinuità va contro la fedeltà dinamica che caratterizza la Tradizione. Questo passaggio è decisivo per capire l’utopia di chi rifiuta il Concilio, come di chi sogna la Chiesa sinodale.
Benedetto XVI, nel discorso alla Curia, attribuisce a Giovanni XXIII e a Paolo VI l’idea di Concilio come «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa», perché affermarono, nelle Allocuzioni di apertura e di chiusura, che la Chiesa «vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamento»; e che il rispetto fedele e l’approfondimento della dottrina «certa e immutabile» non deve ignorare le esigenze contemporanee, ma senza travisare il senso e la portata della dottrina stessa.
Nel discorso, papa Benedetto accenna pure all’altra questione: il rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo e il mondo di oggi – ovvero l’età moderna – dall’altra, per il quale la discontinuità potrebbe sembrare convincente, se non fosse che l’età moderna ha cercato di eliminare Dio dall’orizzonte dell’uomo. Tuttavia, talune evoluzioni positive successive alla fase di contrapposizione tra Chiesa ed età moderna – come un tipo di Stato moderno, laico ma non neutro riguardo ai valori – avevano portato, in specie dopo la Seconda Guerra Mondiale, a reciproche aperture; per non parlare dell’apporto della dottrina sociale cattolica e dell’apertura delle scienze naturali a Dio. Pertanto, tre domande erano come davanti al Concilio e attendevano risposta: la relazione tra fede e scienze moderne, il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, in specie quanto al comportamento verso le religioni; il problema della tolleranza religiosa, che portava a ridefinire il rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo, e al suo interno quello tra Chiesa e fede di Israele. Su tutto ciò abbiamo come chiarissimo maestro il professor Stefano Fontana[5].
Benedetto non nasconde che “l’apertura verso il mondo” non ha trasformato tutto in pura armonia – per taluni, mettendo fine anche al sacro – sottovalutando le tensioni e le contraddizioni, come pure la fragilità dell’umana natura che costituisce la minaccia permanente per il camino dell’uomo. Non c’è ancora tanta parte di mondo che si sottrae al Vangelo e che, invece, ha bisogno di essere raggiunta da esso? Ce ne siamo accorti all’inaugurazione delle Olimpiadi. Ai nostri giorni, poi, i pericoli sono aumentati, in specie a motivo del potere della tecnica, divenuta quasi un nuovo idolo. E allora la Chiesa si dovrebbe dissolvere nelle religioni del mondo, vecchie e nuove? Non si dovrebbe più predicare la conversione e il perdono dei peccati? Si è giunti a postulare che le religioni siano vie parallele di salvezze, quasi che Cristo non sia più l’unico Salvatore.
In conclusione, papa Benedetto era convinto che «il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme». San Luigi Maria Grignion de Montfort ricordava che la Chiesa ha sempre unito la carità più compassionevole e l’intransigenza dottrinale più ferma, nell’ardore di un medesimo amore, che è lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. La Chiesa sa di non poter fare il bene senza combattere il male, di non poter evangelizzare senza lottare contro l’eresia. Per questo è importante la formazione apologetica, come sta cercando di fare la Bussola mensile. Chi non sa difendere la fede, non la può diffondere.
Misericordia e dottrina – per dottrina s’intende la Rivelazione – non possono sussistere che unendosi. La Chiesa – è stato detto – è intransigente per principio, perché crede; è tollerante nella pratica, perché ama. Invece, i nemici della Chiesa sono tolleranti per principio, perché non credono, e intransigenti nella pratica, perché non amano.
Come sappiamo, il conclave del 2013 ha voluto provare l’altra opzione, l’ermeneutica del Vaticano II opposta, alla quale si è raccordato Jorge Bergoglio. Il nuovo papa, che in un discorso alle riviste gesuite nel 2022 si è detto in lotta contro il “restaurazionismo”, che vuole “imbavagliare” il Concilio, e contro il “tradizionalismo”, che lo vuole svuotare, si è dunque impegnato ad “abbattere i muri”, secondo l’espressione da lui preferita:quello dell’Humanae vitae e dell’insieme dei testi che seguirono quest’enciclica che aveva preservato la morale coniugale dalla liberalizzazione che il Vaticano II aveva fatto subire all’ecclesiologia. Amoris laetitia ha dichiarato nel 2016 che le persone che vivono in pubblico adulterio potevano continuare a farlo senza commettere peccato grave (AL 301).
quello del Summorum Pontificum, che aveva riconosciuto un diritto a quel patrimonio della Chiesa che è la liturgia antica con la sua catechesi e i suoi chierici. Traditionis Custodes (2021) e Desiderio desideravi (2022) hanno bloccato questo tentativo di “ritorno”: i nuovi libri liturgici sono l’unica espressione della lex orandi del Rito romano (TC, art. 1).
Con l’opzione Bergoglio l’istituzione ecclesiastica ha continuato ad affondare e la missione a spegnersi. Per non dire del tema di un governo invadente, confusionario e dispotico (malgrado la parola d’ordine della sinodalità) su cui i critici si pronunciano. Francesco finora si era guardato dall’oltrepassare il Concilio, a rischio di far esplodere qualche struttura istituzionale: per esempio, malgrado tutte le dichiarazioni contro il clericalismo, non ha mai veramente messo in questione il celibato sacerdotale né aperto il sacerdozio alle donne. Con la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, l’Enciclica Fratelli tutti e, soprattutto, il Discorso nel recente viaggio a Singapore, è sembrato voler andare oltre il Concilio, se solo si consulta Dignitatis Humanae 1, dove si enuncia che la vera religione sussiste nella Chiesa Cattolica.
3. Cosa può ormai accadere
Sarà difficile che nel futuro conclave non si elevi una forte richiesta di mutamento di rotta, se davvero la Chiesa d’oggi si trova in questa “vistosa confusione”. Inevitabilmente – osserva Barthe – si dovrà pervenire a un ricentramento dottrinale e spirituale accentuato in rapporto alla rottura che si è verificata. In tempi più o meno lunghi, come accaduto nella storia della Chiesa semper reformanda, ciò non può verificarsi che come un ritorno alle radici evangeliche. Sarà necessario, per capovolgere la formula del Gattopardo, che nulla cambi (il dogma, la morale) perché tutto cambi (l’insieme della vita concreta della Chiesa). Tale opera avrà bisogno di uomini riformatori, uomini di Chiesa santi e forti, con un progetto teologico, e dunque magisteriale e spirituale solido, guidati dalla Provvidenza divina. Gesù ha fondato la Santa Chiesa e la fa crescere in mezzo alle tribolazioni all’interno, e all’esterno con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere.
A breve e medio termine, si può ipotizzare un periodo di transizione in cui una personalità ecclesiastica, formata sul modello conciliare ma che non vuole veder perire il cattolicesimo, concederà suo malgrado, o magari di buon grado, piena libertà a tutte le forze vive – come hanno fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – quelle che producono frutti di trasmissione della fede di generazione in generazione, di vocazioni e di missione. Allora, in ragione delle promesse di Cristo, comincerà ad essere attuata una vera riforma della Chiesa.
A Benedetto XVI interessava la fede e come saldare il Concilio a tutta la storia della Chiesa – cosa che non sembra interessare a Francesco – altrimenti finisce per prevalere la visione politica.
A mio sommesso avviso, Benedetto XVI ha insegnato il principio forse più sano del cattolicesimo: non trasportare in blocco il passato nel presente, ma preservarne e tramandarne soltanto il meglio (in senso morale, ideale, spirituale) e abbandonare il resto, senza rimpianti, al proprio destino effimero. Il cristianesimo ha affermato che il tempo non è ripetizione (come sostenevano gran parte delle concezioni antiche), bensì novità. Insomma è il rapporto tra nova et vetera istituito da Gesù, tra tradizione e innovazione. Questo è cattolico.
Ecco allora la sua proposta, avanzata nel discorso a Subiaco, l’1 aprile 2005: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini»[6].
Il pensiero e “la riforma di Benedetto” sono come un fiume carsico di cui affiorano in superficie i segni: diffusione della liturgia Vetus Ordo e influsso sul Novus Ordo dove viene ben celebrato, Comunione in bocca, vocazioni sacerdotali e religiose ancorate al soprannaturale: tutto ciò contribuisce alla formazione della coscienza (corrisponde al ‘cuore’, nelle Sacre Scritture): perciò la rinascita del sacro comincia nei cuori. La partecipazione alla sacra liturgia, purché rispecchi l’ordine rituale autentico della Chiesa, come papa Benedetto ha insegnato, plasma lentamente e radicalmente la nostra coscienza in modo puro e luminoso. La Chiesa deve formare la coscienza dell’uomo, per fermare e prevenire la deriva immorale delle generazioni di giovani.
4. Cosa dobbiamo fare
Benedetto XVI ha posto l’interrogativo e ha dato la risposta: «Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è fallito».[7]
Dobbiamo “rimanere” in Gesù Cristo per essere uno con Lui e tra noi, e cercando l’unità con quanti nella Chiesa vivono la fede come giudizio (Gv 9,39). Bisogna rimanere nell’unità del tutto, cioè nella Chiesa cattolica. Dobbiamo essere un movimento di resistenza alla “dittatura del relativismo” mediante la formazione dottrinale e morale dei giovani, in particolare quanti hanno la vocazione sacerdotale o religiosa. Si deve resistere, soffrire, come ha fatto Cristo nella Passione. Commentando Chesterton, Don Giussani diceva: «Dobbiamo dissentire, opporci, resistere giustamente alle forme dispotiche, in sostanza a una vita non ecclesiale nella Chiesa. Non dobbiamo però fare l’errore di collocarci fuori di essa, psicologicamente e metodologicamente. Il grande insegnamento di Cristo in croce è che morendo dentro la Chiesa, si possono cambiare le cose, non al di fuori».
Dobbiamo sapere distinguere Chiesa e uomini di Chiesa.[8]
L’Apostolo scrive al suo collaboratore Timoteo: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Dobbiamo essere fedeli! Come conservare la fede? Scrive san Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere con dolcezza, rispetto e buona coscienza, a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Osserva san Gregorio di Nissa: «Questo fu l'atteggiamento di tutti coloro che i tiranni costringevano a rinnegare la fede: essi dimostrarono di non temere le sofferenze fisiche e la condanna a morte; queste sofferenze non le avrebbero affrontate se non avessero avuto in sé chiara la dimostrazione della presenza di Dio».[9] Il cristiano deve fare missione con la parola e la testimonianza personale, ma quando «la parola non ha convertito, il sangue convertirà»[10], assicura Karol Wojtyła.
Se si legge attentamente la vita di san Benedetto, si deduce che solo quando si è veramente pronti a perdere tutto, si può ricevere, e ciò che si riceve non è sempre ciò che si vuole. Unendo le nostre sofferenze a quelle dei primi discepoli, le cui speranze in un trionfo mondano sono state tutte apparentemente stroncate, possiamo imparare a riporre la nostra fiducia non negli uomini, ma in Dio. Solo Lui può far risorgere la Chiesa, ma forse solo da quando accettiamo di aver perso tutto.
Il rimedio alla crisi ecclesiale è la Santa Madre di Dio, Maria: lo insegna la Tradizione, come afferma Ratzinger in Rapporto sulla fede[11], per sei motivi: 1. Maria garantisce uno sguardo di fede sulla divinità di Gesù, legata com’è all’altissimo mistero dell’Incarnazione del Verbo; 2. I quattro dogmi mariani della Maternità divina, della Verginità perpetua, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione al Cielo in corpo e anima, esprimono l’integrazione tra Scrittura e Tradizione che si esprime nella liturgia, nel sensus fidei dei fedeli, nella riflessione teologica guidata dal Magistero; 3. Maria tiene insieme antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo. In Lei possiamo vivere la Scrittura intera; 4. Maria garantisce alla fede la convivenza dell’indispensabile “ragione” con le altrettanto indispensabili “ragioni del cuore”, come direbbe Pascal. 5. Guardando a Maria, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre, non può degenerare in un’organizzazione a servizio di interessi umani; così, è un antidoto all'astrattismo della fede; 6. Maria è una luce per uscire dalla crisi della donna causata dalla verginità ignorata o disprezzata, e dalla maternità temuta e marginalizzata.
Grazie a Lei, al suo assenso, il Verbo eterno si è fatto carne, cioè è potuto entrare nella storia umana. Ogni uomo, in certo senso, è chiamato ad offrire la propria carne a Dio per entrare nel cuore degli uomini, come Maria Vergine. Ma bisogna essere vergini, cioè non contaminati, non succubi della mentalità mondana. Solo così si può collaborare alla redenzione del mondo, sull’esempio della Madonna.
In ragione di quanto appena descritto e al fine di rendere sicuro il percorso di perseveranza nella fede, mi sia consentito di ricorrere al commento di Joseph Ratzinger su Fatima: «Vorrei alla fine riprendere un’altra parola chiave del “segreto” divenuta giustamente famosa: “Il mio cuore immacolato trionferà”. Che cosa significa? Il cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore, perché grazie a questo “sì” Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre. Il maligno ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa».[12]
[1] S.GREGORIO MAGNO, Dal Commento sul Libro di Giobbe, Lib. 3, 39; PL 75, 619.
[2] Traduzione da: J.RATZINGER, Die neuen Heiden und die Kirche, in Hochland, LV, n. 51, Kempten, 1958-1959, p. 2.
[3] C.BARTHE, Trouvera-t-Il encore la foi sur la terre? Crise de l’Église: histoire et questions, Le Chesnay, Via Romana 2023, pp.168.
[4] J.RATZINGER/V.MESSORI, Rapporto sulla fede, Ed.Paoline, Cinisello B. 1985, p.45-54.
[5] Ad esempio: S.FONTANA, La dottrina politica cattolica, Fede&Cultura, Verona 2023.
[6] J.RATZINGER, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p.63-64.
[7] Papa Ratzinger: la Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, Corriere della Sera, 11 aprile 2019, III.
[8] Cfr. N.BUX con V.PALMIOTTI, Salute o salvezza? La Chiesa al bivio, Fede &Cultura, Verona 2021, p.94.
[9] S.GREGORIO DI NISSA, La grande catechesi, 18; Opere, a cura di C. Moreschini, Utet, Torino 1992, p 92.
[10] GIOVANNI PAOLO II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori, Milano 2004, p 152.
[11] Op.cit., pp.107-109.
[12] J.RATZINGER, Commento teologico alla terza parte del “segreto”, in Memorie di Suor Lucia, I, Grafica Almondina, Fatima 2000, p.233-234.
Le persecuzioni devono essere accettate per amore del Vangelo. Chi persevererà sino alla fine sarà salvato. L’atteggiamento da tenere nella persecuzione, dunque, è la perseveranza che nella missione cristiana permette non già di vincere, bensì di resistere al male. In fin dei conti, i discepoli di Cristo non sono chiamati a conseguire delle vittorie su questa terra, ma ad opporsi alla mentalità mortifera anticristiana, che spegne con l’aborto la vita nascente e con l’eutanasia quella morente: perché il mondo, in apparenza indifferente, si oppone a Cristo. Pertanto il cristiano è chiamato a opporre resistenza con la testimonianza, che gli consentirà alla fine di vincere: perché i modi di pensare del mondo passano, come le mode, ma la Parola di Dio resta in eterno.
San Paolo ha mirabilmente tracciato le linee di una “teologia della persecuzione”, in particolare quando afferma nella Prima Lettera ai Corinzi: «Insultati, benediciamo; perseguitati: sopportiamo; calunniati: confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti: fino a oggi» (4,12-13). Che sia cruenta o meno, la persecuzione costituisce lo statuto ordinario della Chiesa*. Il Martirologio è dunque il necessario vademecum del cristiano. Dal primo avvento di Cristo fino al suo ritorno, la suprema beatitudine rimane la persecuzione (Mt 5,11-12).
2. L’attuale stato della Chiesa e le sue cause
È significativa un’intervista di mons. Sergio Pagano sul Corriere della Sera del 13 luglio 2024, a coronamento di 27 anni da prefetto dell’Archivio apostolico vaticano. Alla domanda se nella Chiesa d’oggi egli veda una decadenza o una rinascita, Pagano ha così risposto: «Tristemente, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale: troppe aspettative. Si è creato disordine nella disciplina, nei seminari e negli atenei pontifici. In dottrina si è registrata una crisi sempre più profonda. E in questo clima di incertezza a prevalere è stata una vistosa confusione. Registro il disorientamento dei fedeli e una certa decadenza del pensiero teologico. La stessa pastorale è ridotta a carità per la carità, senza un’ispirazione verticale, di fede».
La causa? Con sant’Agostino, possiamo dire che «i pastori pascolano sé stessi», badando ai propri interessi e non alla salvezza delle anime. Oggi, la larga maggioranza dei battezzati, semplici fedeli, sacerdoti, vescovi, vivono, senza saperlo, immersi nell’eresia (che significa scelta tra verità da credere o tra sue parti), e pochi sono in grado di distinguere tra la verità e l’errore penetrati all’interno della Chiesa. Quando la società era ancora cattolica, il sensus fidei era sviluppato ed era facile discernere l’eresia di un prete, di un vescovo o addirittura di un Papa. Oggi la gran maggioranza dei cattolici, inclusi non pochi vescovi, prende per buone tutte le parole e i gesti del Papa, né pensa che possa aver perduto la fede o che perseveri nell’errore. D’altro canto c’è chi ha deciso che Bergoglio non è Papa, perché non ha la grazia di stato. Ma qualsiasi ministro della Chiesa, che pecca con parole e azioni, non perde il ministero. Da Fazio ha detto che l’Inferno è vuoto, ma ha aggiunto subito che era una sua opinione. Premesso che il ministero petrino non è un sacramento, fin quando non farà una dichiarazione solenne dogmatica falsa, non è privo del ministero petrino (la decadenza automatica implica poi una rilevazione o constatazione da parte anche di un solo fedele competente e quindi la denuncia che dovrà essere raccolta e presa in esame da una istanza ecclesiale prima o dopo la morte, collegio cardinalizio o parte di essi, maxime un Concilio). I Dubia dei Cardinali sono il metodo giusto per obiettare al Papa, che rispettiamo per il suo ruolo, ma al quale ci opponiamo, quando va contro la Rivelazione.
Joseph Ratzinger settant’anni fa scriveva: «L’immagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo»[2].
L’abbé Claude Barthe[3] ritiene che, andando indietro nel tempo, sembra avverarsi quello che alcuni, come Michel de Certeau (1925-1986, gesuita eterodosso, linguista e storico francese, autore preferito da papa Francesco), diagnosticarono negli anni Settanta: uno strappo, si può dire uno scisma, si è prodotto dopo il Vaticano II, dividendo la Chiesa in due correnti, entrambe piuttosto composite ma ben identificabili: la prima, per la quale bisognava almeno arginare il Concilio, l’altra per la quale esso non era altro che un punto di partenza.
Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, nel noto discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, distingueva due interpretazioni della riforma conciliare, «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», che riteneva nefasta, e «l’ermeneutica della riforma o del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa che il Signore ci ha donato», che faceva sua; destinata, disse, a impedire «una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare».
È certezza di fede che la Chiesa non cambia, cresce nel tempo, si sviluppa rimanendo sempre lo stesso popolo in cammino. Tutti conoscono san Vincenzo di Lerins: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur: questo è cattolico. Dal post-Concilio, è proprio l’idea di Chiesa il perno della crisi cattolica[4]: si tende a scinderla dal popolo di Dio e a sostituirla con altri enti mondani, allorché si devono affrontare i problemi della giustizia e della pace; attraverso il malinteso dialogo interreligioso, la si vuol far diventare una Onu delle religioni, non un vessillo elevato tra le nazioni.
Nel discorso in oggetto, papa Benedetto addita un paradosso: siamo arrivati a teorizzare e praticare la rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. In tal modo è stata fraintesa «in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo esso viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la Costituente deve servire. I padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso». Dunque, la discontinuità va contro la fedeltà dinamica che caratterizza la Tradizione. Questo passaggio è decisivo per capire l’utopia di chi rifiuta il Concilio, come di chi sogna la Chiesa sinodale.
Benedetto XVI, nel discorso alla Curia, attribuisce a Giovanni XXIII e a Paolo VI l’idea di Concilio come «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa», perché affermarono, nelle Allocuzioni di apertura e di chiusura, che la Chiesa «vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamento»; e che il rispetto fedele e l’approfondimento della dottrina «certa e immutabile» non deve ignorare le esigenze contemporanee, ma senza travisare il senso e la portata della dottrina stessa.
Nel discorso, papa Benedetto accenna pure all’altra questione: il rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo e il mondo di oggi – ovvero l’età moderna – dall’altra, per il quale la discontinuità potrebbe sembrare convincente, se non fosse che l’età moderna ha cercato di eliminare Dio dall’orizzonte dell’uomo. Tuttavia, talune evoluzioni positive successive alla fase di contrapposizione tra Chiesa ed età moderna – come un tipo di Stato moderno, laico ma non neutro riguardo ai valori – avevano portato, in specie dopo la Seconda Guerra Mondiale, a reciproche aperture; per non parlare dell’apporto della dottrina sociale cattolica e dell’apertura delle scienze naturali a Dio. Pertanto, tre domande erano come davanti al Concilio e attendevano risposta: la relazione tra fede e scienze moderne, il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, in specie quanto al comportamento verso le religioni; il problema della tolleranza religiosa, che portava a ridefinire il rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo, e al suo interno quello tra Chiesa e fede di Israele. Su tutto ciò abbiamo come chiarissimo maestro il professor Stefano Fontana[5].
Benedetto non nasconde che “l’apertura verso il mondo” non ha trasformato tutto in pura armonia – per taluni, mettendo fine anche al sacro – sottovalutando le tensioni e le contraddizioni, come pure la fragilità dell’umana natura che costituisce la minaccia permanente per il camino dell’uomo. Non c’è ancora tanta parte di mondo che si sottrae al Vangelo e che, invece, ha bisogno di essere raggiunta da esso? Ce ne siamo accorti all’inaugurazione delle Olimpiadi. Ai nostri giorni, poi, i pericoli sono aumentati, in specie a motivo del potere della tecnica, divenuta quasi un nuovo idolo. E allora la Chiesa si dovrebbe dissolvere nelle religioni del mondo, vecchie e nuove? Non si dovrebbe più predicare la conversione e il perdono dei peccati? Si è giunti a postulare che le religioni siano vie parallele di salvezze, quasi che Cristo non sia più l’unico Salvatore.
In conclusione, papa Benedetto era convinto che «il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme». San Luigi Maria Grignion de Montfort ricordava che la Chiesa ha sempre unito la carità più compassionevole e l’intransigenza dottrinale più ferma, nell’ardore di un medesimo amore, che è lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. La Chiesa sa di non poter fare il bene senza combattere il male, di non poter evangelizzare senza lottare contro l’eresia. Per questo è importante la formazione apologetica, come sta cercando di fare la Bussola mensile. Chi non sa difendere la fede, non la può diffondere.
Misericordia e dottrina – per dottrina s’intende la Rivelazione – non possono sussistere che unendosi. La Chiesa – è stato detto – è intransigente per principio, perché crede; è tollerante nella pratica, perché ama. Invece, i nemici della Chiesa sono tolleranti per principio, perché non credono, e intransigenti nella pratica, perché non amano.
Come sappiamo, il conclave del 2013 ha voluto provare l’altra opzione, l’ermeneutica del Vaticano II opposta, alla quale si è raccordato Jorge Bergoglio. Il nuovo papa, che in un discorso alle riviste gesuite nel 2022 si è detto in lotta contro il “restaurazionismo”, che vuole “imbavagliare” il Concilio, e contro il “tradizionalismo”, che lo vuole svuotare, si è dunque impegnato ad “abbattere i muri”, secondo l’espressione da lui preferita:quello dell’Humanae vitae e dell’insieme dei testi che seguirono quest’enciclica che aveva preservato la morale coniugale dalla liberalizzazione che il Vaticano II aveva fatto subire all’ecclesiologia. Amoris laetitia ha dichiarato nel 2016 che le persone che vivono in pubblico adulterio potevano continuare a farlo senza commettere peccato grave (AL 301).
quello del Summorum Pontificum, che aveva riconosciuto un diritto a quel patrimonio della Chiesa che è la liturgia antica con la sua catechesi e i suoi chierici. Traditionis Custodes (2021) e Desiderio desideravi (2022) hanno bloccato questo tentativo di “ritorno”: i nuovi libri liturgici sono l’unica espressione della lex orandi del Rito romano (TC, art. 1).
Con l’opzione Bergoglio l’istituzione ecclesiastica ha continuato ad affondare e la missione a spegnersi. Per non dire del tema di un governo invadente, confusionario e dispotico (malgrado la parola d’ordine della sinodalità) su cui i critici si pronunciano. Francesco finora si era guardato dall’oltrepassare il Concilio, a rischio di far esplodere qualche struttura istituzionale: per esempio, malgrado tutte le dichiarazioni contro il clericalismo, non ha mai veramente messo in questione il celibato sacerdotale né aperto il sacerdozio alle donne. Con la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, l’Enciclica Fratelli tutti e, soprattutto, il Discorso nel recente viaggio a Singapore, è sembrato voler andare oltre il Concilio, se solo si consulta Dignitatis Humanae 1, dove si enuncia che la vera religione sussiste nella Chiesa Cattolica.
3. Cosa può ormai accadere
Sarà difficile che nel futuro conclave non si elevi una forte richiesta di mutamento di rotta, se davvero la Chiesa d’oggi si trova in questa “vistosa confusione”. Inevitabilmente – osserva Barthe – si dovrà pervenire a un ricentramento dottrinale e spirituale accentuato in rapporto alla rottura che si è verificata. In tempi più o meno lunghi, come accaduto nella storia della Chiesa semper reformanda, ciò non può verificarsi che come un ritorno alle radici evangeliche. Sarà necessario, per capovolgere la formula del Gattopardo, che nulla cambi (il dogma, la morale) perché tutto cambi (l’insieme della vita concreta della Chiesa). Tale opera avrà bisogno di uomini riformatori, uomini di Chiesa santi e forti, con un progetto teologico, e dunque magisteriale e spirituale solido, guidati dalla Provvidenza divina. Gesù ha fondato la Santa Chiesa e la fa crescere in mezzo alle tribolazioni all’interno, e all’esterno con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere.
A breve e medio termine, si può ipotizzare un periodo di transizione in cui una personalità ecclesiastica, formata sul modello conciliare ma che non vuole veder perire il cattolicesimo, concederà suo malgrado, o magari di buon grado, piena libertà a tutte le forze vive – come hanno fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – quelle che producono frutti di trasmissione della fede di generazione in generazione, di vocazioni e di missione. Allora, in ragione delle promesse di Cristo, comincerà ad essere attuata una vera riforma della Chiesa.
A Benedetto XVI interessava la fede e come saldare il Concilio a tutta la storia della Chiesa – cosa che non sembra interessare a Francesco – altrimenti finisce per prevalere la visione politica.
A mio sommesso avviso, Benedetto XVI ha insegnato il principio forse più sano del cattolicesimo: non trasportare in blocco il passato nel presente, ma preservarne e tramandarne soltanto il meglio (in senso morale, ideale, spirituale) e abbandonare il resto, senza rimpianti, al proprio destino effimero. Il cristianesimo ha affermato che il tempo non è ripetizione (come sostenevano gran parte delle concezioni antiche), bensì novità. Insomma è il rapporto tra nova et vetera istituito da Gesù, tra tradizione e innovazione. Questo è cattolico.
Ecco allora la sua proposta, avanzata nel discorso a Subiaco, l’1 aprile 2005: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini»[6].
Il pensiero e “la riforma di Benedetto” sono come un fiume carsico di cui affiorano in superficie i segni: diffusione della liturgia Vetus Ordo e influsso sul Novus Ordo dove viene ben celebrato, Comunione in bocca, vocazioni sacerdotali e religiose ancorate al soprannaturale: tutto ciò contribuisce alla formazione della coscienza (corrisponde al ‘cuore’, nelle Sacre Scritture): perciò la rinascita del sacro comincia nei cuori. La partecipazione alla sacra liturgia, purché rispecchi l’ordine rituale autentico della Chiesa, come papa Benedetto ha insegnato, plasma lentamente e radicalmente la nostra coscienza in modo puro e luminoso. La Chiesa deve formare la coscienza dell’uomo, per fermare e prevenire la deriva immorale delle generazioni di giovani.
4. Cosa dobbiamo fare
Benedetto XVI ha posto l’interrogativo e ha dato la risposta: «Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è fallito».[7]
Dobbiamo “rimanere” in Gesù Cristo per essere uno con Lui e tra noi, e cercando l’unità con quanti nella Chiesa vivono la fede come giudizio (Gv 9,39). Bisogna rimanere nell’unità del tutto, cioè nella Chiesa cattolica. Dobbiamo essere un movimento di resistenza alla “dittatura del relativismo” mediante la formazione dottrinale e morale dei giovani, in particolare quanti hanno la vocazione sacerdotale o religiosa. Si deve resistere, soffrire, come ha fatto Cristo nella Passione. Commentando Chesterton, Don Giussani diceva: «Dobbiamo dissentire, opporci, resistere giustamente alle forme dispotiche, in sostanza a una vita non ecclesiale nella Chiesa. Non dobbiamo però fare l’errore di collocarci fuori di essa, psicologicamente e metodologicamente. Il grande insegnamento di Cristo in croce è che morendo dentro la Chiesa, si possono cambiare le cose, non al di fuori».
Dobbiamo sapere distinguere Chiesa e uomini di Chiesa.[8]
L’Apostolo scrive al suo collaboratore Timoteo: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Dobbiamo essere fedeli! Come conservare la fede? Scrive san Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere con dolcezza, rispetto e buona coscienza, a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Osserva san Gregorio di Nissa: «Questo fu l'atteggiamento di tutti coloro che i tiranni costringevano a rinnegare la fede: essi dimostrarono di non temere le sofferenze fisiche e la condanna a morte; queste sofferenze non le avrebbero affrontate se non avessero avuto in sé chiara la dimostrazione della presenza di Dio».[9] Il cristiano deve fare missione con la parola e la testimonianza personale, ma quando «la parola non ha convertito, il sangue convertirà»[10], assicura Karol Wojtyła.
Se si legge attentamente la vita di san Benedetto, si deduce che solo quando si è veramente pronti a perdere tutto, si può ricevere, e ciò che si riceve non è sempre ciò che si vuole. Unendo le nostre sofferenze a quelle dei primi discepoli, le cui speranze in un trionfo mondano sono state tutte apparentemente stroncate, possiamo imparare a riporre la nostra fiducia non negli uomini, ma in Dio. Solo Lui può far risorgere la Chiesa, ma forse solo da quando accettiamo di aver perso tutto.
Il rimedio alla crisi ecclesiale è la Santa Madre di Dio, Maria: lo insegna la Tradizione, come afferma Ratzinger in Rapporto sulla fede[11], per sei motivi: 1. Maria garantisce uno sguardo di fede sulla divinità di Gesù, legata com’è all’altissimo mistero dell’Incarnazione del Verbo; 2. I quattro dogmi mariani della Maternità divina, della Verginità perpetua, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione al Cielo in corpo e anima, esprimono l’integrazione tra Scrittura e Tradizione che si esprime nella liturgia, nel sensus fidei dei fedeli, nella riflessione teologica guidata dal Magistero; 3. Maria tiene insieme antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo. In Lei possiamo vivere la Scrittura intera; 4. Maria garantisce alla fede la convivenza dell’indispensabile “ragione” con le altrettanto indispensabili “ragioni del cuore”, come direbbe Pascal. 5. Guardando a Maria, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre, non può degenerare in un’organizzazione a servizio di interessi umani; così, è un antidoto all'astrattismo della fede; 6. Maria è una luce per uscire dalla crisi della donna causata dalla verginità ignorata o disprezzata, e dalla maternità temuta e marginalizzata.
Grazie a Lei, al suo assenso, il Verbo eterno si è fatto carne, cioè è potuto entrare nella storia umana. Ogni uomo, in certo senso, è chiamato ad offrire la propria carne a Dio per entrare nel cuore degli uomini, come Maria Vergine. Ma bisogna essere vergini, cioè non contaminati, non succubi della mentalità mondana. Solo così si può collaborare alla redenzione del mondo, sull’esempio della Madonna.
In ragione di quanto appena descritto e al fine di rendere sicuro il percorso di perseveranza nella fede, mi sia consentito di ricorrere al commento di Joseph Ratzinger su Fatima: «Vorrei alla fine riprendere un’altra parola chiave del “segreto” divenuta giustamente famosa: “Il mio cuore immacolato trionferà”. Che cosa significa? Il cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore, perché grazie a questo “sì” Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre. Il maligno ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa».[12]
[1] S.GREGORIO MAGNO, Dal Commento sul Libro di Giobbe, Lib. 3, 39; PL 75, 619.
[2] Traduzione da: J.RATZINGER, Die neuen Heiden und die Kirche, in Hochland, LV, n. 51, Kempten, 1958-1959, p. 2.
[3] C.BARTHE, Trouvera-t-Il encore la foi sur la terre? Crise de l’Église: histoire et questions, Le Chesnay, Via Romana 2023, pp.168.
[4] J.RATZINGER/V.MESSORI, Rapporto sulla fede, Ed.Paoline, Cinisello B. 1985, p.45-54.
[5] Ad esempio: S.FONTANA, La dottrina politica cattolica, Fede&Cultura, Verona 2023.
[6] J.RATZINGER, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p.63-64.
[7] Papa Ratzinger: la Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, Corriere della Sera, 11 aprile 2019, III.
[8] Cfr. N.BUX con V.PALMIOTTI, Salute o salvezza? La Chiesa al bivio, Fede &Cultura, Verona 2021, p.94.
[9] S.GREGORIO DI NISSA, La grande catechesi, 18; Opere, a cura di C. Moreschini, Utet, Torino 1992, p 92.
[10] GIOVANNI PAOLO II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori, Milano 2004, p 152.
[11] Op.cit., pp.107-109.
[12] J.RATZINGER, Commento teologico alla terza parte del “segreto”, in Memorie di Suor Lucia, I, Grafica Almondina, Fatima 2000, p.233-234.