martedì 7 gennaio 2020

Riedito un commento classico alla Regola -sempre attuale- di San Benedetto





In un libro salutato dal New York Times come “il saggio più importante e più discusso del decennio” – L’Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano (trad. it. San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano] 2018) –, il giornalista Rod Dreher si è posto una domanda diventata cruciale: come essere cristiani in un mondo che non lo è più? 

Dreher propone in risposta una “Opzione Benedetto”, come gli ha suggerito un ritiro effettuato al monastero di Norcia. “L’esempio benedettino – egli scrive – è certamente un segno di speranza, ma è anche una messa in guardia: quale che sia la nostra storia personale, ci è impossibile di vivere pienamente nella fede, se Dio non è che una parte della nostra esistenza, separata dal resto. Occorre scegliere ciò che si mette al centro: se Cristo o il sé e i propri idoli. […] L’‘Opzione Benedetto’ non consiste nel fuggire dal mondo reale, ma a guardare questo mondo in verità” e a “vivere in esso per trasformarlo come ci trasforma lo Spirito Santo […], ispirandosi alle virtù contenute nella Regola di san Benedetto”.

Tale “Opzione Benedetto”, di una vita ispirata alle virtù della Regola, è quella che hanno fatto una moltitudine di sacerdoti e laici, desiderosi di nutrirsi dello spirito della Regola di san Benedetto, unendosi spiritualmente a una comunità benedettina tramite il legame dell’oblatura. Il canonico Georges-Abel Simon (1884-1958) ha avuto l’eccellente idea di comporre un commento alla Regola di san Benedetto rivolto a questi oblati. Egli stesso oblato dell’abbazia di Saint-Wandrille, il canonico Simon era un sacerdote erudito, riconosciuto per la sua competenza in storia ecclesiastica e in liturgia. Il suo libro, scritto verso il 1930 e frutto di un lungo lavoro, ha già conosciuto quattro edizioni: nel 1931, 1935, 1947 e 1982. Conserva oggi tutto il suo valore. Non è proprio dei classici di non invecchiare?

La Regola di san Benedetto, sempre attuale, ne è essa stessa una dimostrazione. Il mondo nel quale san Benedetto è nato verso il 480 somigliava peraltro un poco al nostro: turbato, diviso, in preda all’incertezza. Molti cercavano un senso ai vari drammi che scaturivano dall’inondazione delle invasioni barbare e dalle guerre messe in atto dal potere bizantino per impossessarsi dell’Italia. Anche la Chiesa conosceva delle divisioni teologiche. Fu allora che apparve il santo che costruì un’arca in cui le virtù umane e soprannaturali potevano entrare in coppia per essere conservate nel mezzo del diluvio universale: “[…] benedetto di nome (benedictus) e di grazia”, ci dice il suo primo biografo, Papa san Gregorio Magno. Il suo “libro della vita e dei miracoli del Beato Padre Benedetto” ebbe un grande irradiamento. Ma per conoscere l’anima di san Benedetto, come nota finemente san Gregorio, nulla può sostituire lo studio della sua Regola, così mirabile per la sua forma letteraria e il suo discernimento (discretio): “L’uomo di Dio, oltre ai tanti miracoli che lo resero così conosciuto nel mondo, rifulse anche per una eccezionale esposizione di dottrina. Scrisse infatti anche una Regola per i monaci, Regola caratterizzata da una singolare discrezione ed esposta in chiarissima forma. Veramente se qualcuno vuol conoscere a fondo i costumi e la vita del santo, può scoprire nell’insegnamento della Regola tutti i documenti del suo magistero, perché quest’uomo di Dio certamente non diede nessun insegnamento, senza averlo prima realizzato lui stesso nella sua vita” (Dialoghi II,36).

Guardandosi attorno e leggendo tutta la letteratura monastica disponibile in Occidente, Benedetto ha scoperto vari tipi di vita monastica, con le loro tradizioni e i propri successi (o le loro sconfitte). Ha riunito queste diverse tendenze e ha mostrato una straordinaria abilità nello scegliere e armonizzare i vari elementi, onde pervenire a un capolavoro di equilibrio e di rispetto delle persone.
Tuttavia, la Regola non è solo l’opera di un codificatore di genio. Ciò che scriveva, Benedetto l’aveva vissuto a Subiaco come eremita e superiore, e a Montecassino come abate. La sapienza consumata della Regola non è potuta nascere che dall’assimilazione lunga e in profondità di una vita intera.
L’equilibrio ottenuto è perfetto. San Benedetto assume, certo, l’ideale monastico egiziano. Il monastero è una “scuola [pratica] del servizio del Signore”. Il discepolo impara ad amare il Signore nell’umiltà, l’obbedienza e il silenzio, per correre sulla via dei comandamenti di Dio con un cuore dilatato.

Ciò nonostante, san Benedetto arricchisce questa ricca concezione verticale di una dimensione orizzontale ispirata da sant’Agostino. Se i monaci sono i discepoli venuti in monastero per essere formati, essi sono altresì dei fratelli che l’amore unisce, comunità amante che forma “un cuore solo e un’anima sola”, come la comunità primitiva. Lo stesso abate deve piuttosto cercare di farsi amare che di essere temuto. Il punto culminante di questo ideale è il capitolo 72 sullo zelo buono che conduce a Dio e al quale i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità.

Un tale ideale è fatto proprio per tutti i cristiani. Ma la Regola non è solo maestra di vita nelle sue grandi linee. Tutti i dettagli dei diversi capitoli – anche quando si tratta dei pasti, del lavoro o degli utensili del monastero – sono ricchi di lezioni per la vita quotidiana. La vita spirituale non può essere sconnessa dalla vita quotidiana.
La meditazione dei vari capitoli della Regola, sotto la guida del canonico Simon, è fonte di un grande arricchimento spirituale e umano. Con san Benedetto, i due vanno sempre di pari passo.



[Dom Jean-Charles Nault O.S.B., Abate di Saint-Wandrille, Prefazione, in can. Georges-Abel Simon, La Règle de saint Benoît commentée pour les oblats et les amis des monastères, 5a ed., Éditions de Fontenelle & Éditions Sainte-Madeleine, Saint-Wandrille-Rançon & Le Barroux 2019, pp. V-VIII, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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