La conferenza episcopale tedesca è quella più ricca del mondo grazie alla Kirchensteuer, una tassa che lo Stato devolve alla Chiesa, trattenendo dal reddito dei cattolici tedeschi, una cifra che ammonta all’8-9% del loro carico fiscale complessivo. Il prelievo fiscale però è obbligatorio, a differenza di altri paesi, dove le chiese sono finanziate dalla generosità dei fedeli che scelgono liberamente di versare ad esse una parte del loro reddito.
di Roberto de Mattei (29-01-2020)
«Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!»: ha esclamato papa Francesco (L’Osservatore Romano, 17 marzo 2013). L’antitesi del suo ideale è rappresentata però proprio dalla chiesa a lui più vicina, quella tedesca. La Conferenza Episcopale tedesca, che ha sponsorizzato ideologicamente ed economicamente il recente Sinodo di ottobre sull’Amazzonia, è infatti l’azienda più ricca e privilegiata di tutta la Germania. Questa ricchezza deriva dalla Kirchensteuer, una tassa che lo Stato devolve alla Chiesa, trattenendo dal reddito dei cattolici tedeschi, una cifra che ammonta all’8-9% del loro carico fiscale complessivo. Il prelievo fiscale però è obbligatorio, a differenza di altri paesi, dove le chiese sono finanziate dalla generosità dei fedeli che scelgono liberamente di versare ad esse una parte del loro reddito.
In Germania, chi vuole essere esentato dalla Kirchensteuer deve firmare una dichiarazione di abbandono della Chiesa (Kirchenaustritt) che, come conseguenza, lo priva dei sacramenti. Il 20 settembre 2012, i vescovi tedeschi hanno decretato che quanti hanno chiesto di non essere più registrati per evitare di pagare la tassa ecclesiastica, non potranno più confessarsi, fare la comunione o la cresima e, al momento della morte, non potranno ricevere un funerale cattolico; non potranno nemmeno fare volontariato in un’associazione cattolica, né tanto meno lavorare in un’istituzione della Chiesa come una scuola o un ospedale. In un’intervista sulla Schwäbische Zeitung del 17 luglio 2016, l’arcivescovo Georg Gänswein, ha denunciato in questi termini tale clamorosa contraddizione: «Come reagisce la Chiesa cattolica in Germania con chi non paga la tassa per la Chiesa? Con l’automatica esclusione dalla comunità ecclesiale, il che significa: scomunica. Ciò è eccessivo, incomprensibile. Si possono mettere in dubbio i dogmi e nessuno viene cacciato fuori. Forse che il non pagamento della Kirchensteuer è un’infrazione più grave che non le trasgressioni contro le verità di fede? L’impressione è che, finché c’è in gioco la fede, non sia così tragico, quando però entra in gioco il denaro, allora non si scherza più». Se lo slogan dei coloni americani nel XVIII secolo era: «No taxation without representation», lo slogan dei vescovi tedeschi oggi è “No Sacraments without taxation”. Se paghi ricevi i sacramenti, se non paghi ne sei privato. La ricchezza della Chiesa tedesca è fondata, in una parola, sulla simonia.
La simonia è un peccato che ha accompagnato la storia della Chiesa nel corso dei secoli, associandosi spesso al cosiddetto “nicolaismo”, il concubinato dei preti. I primi sinodi di san Gregorio VII (1073-1085), il grande papa riformatore del Medioevo, furono proprio dedicati alla lotta contro i vescovi tedeschi simoniaci e trasgressori del celibato ecclesiastico. Una piaga molto più grave della vendita delle indulgenze che offrì il pretesto alla Rivoluzione di Lutero.
Il termine simonia deriva da Simon Mago del quale si legge che «offrì denaro agli apostoli» (At 8, 18) per acquistare un potere spirituale. San Tommaso d’Aquino, che dedica un’intera questione della Summa Theologica alla simonia (q. 100, II-II), spiega che simoniaci sono sia quelli che comprano, sia quelli che vendono le cose spirituali: «Quelli che vendono le cose spirituali assomigliano a Simon Mago nelle intenzioni, mentre quelli che le comprano gli assomigliano nelle azioni» (q. 100, a. 1). Secondo san Tommaso «ricevere il denaro per la grazia spirituale dei sacramenti è un peccato di simonia che non può essere giustificato da alcuna consuetudine: poiché “la consuetudine non può mai pregiudicare la legge naturale o divina”» (q. 100, art. 2, resp.). «Se quindi per consuetudine si esigesse qualcosa come compenso di un bene spirituale, con l’intenzione di comprare o di vendere, si commetterebbe simonia; specialmente poi se lo si esigesse contro la volontà del contribuente» (art. 2, ad 4). Essendo la Kirchensteuer estorta contro la volontà del contribuente, la dichiarazione di uscita dalla chiesa tedesca (Kirchenaustritt) sottoscritta da chi vuole evitare il pagamento, è priva di valore di fronte alla Chiesa. Il Pontificio Consiglio per i testi legislativi della Santa Sede, in un documento del 13 marzo 2006, ha spiegato che l’abbandono della Chiesa cattolica, perché possa essere validamente configurato come un vero actus formalis defectionis ab Ecclesia deve concretizzarsi nei seguenti elementi: «a) decisione interna di uscire dalla Chiesa cattolica; b) l’attuazione e manifestazione esterna di questa decisione; c) recezione diretta da parte dell’autorità ecclesiastica competente di tale decisione».
Ogni atto che non nasca da una motivazione interna, ma sia obbligato, non può essere considerato come una libera decisione interna di uscire dalla Chiesa cattolica ed è invalido. Inoltre, il parroco dovrebbe constatare se c’è veramente la volontà di abbandonare la Chiesa, il che mai avviene in Germania. Il cattolico tedesco che firma la Kirchenaustritt non deve dunque temere di essere scismatico, se non ha la reale intenzione di abbandonare la Chiesa, ma vuole solo separarsi dal perverso sistema finanziario che lo lega alla Conferenza Episcopale, oltretutto diretta da vescovi non solo simoniaci, ma anche eretici e scismatici. Il processo sinodale avviato in Germania dal cardinale Marx mira infatti a capovolgere la morale sessuale della Chiesa e a sovvertire la sua struttura gerarchica. È un processo di autodissoluzione, a cui i cattolici non possono in coscienza collaborare.
Molti cattolici tedeschi criticano la Kirchensteuer, ma affermano di non potere fare a meno di pagarla per non essere privati dei sacramenti. Ma con ciò si fanno complici della simonia dei vescovi. San Tommaso spiega, ad esempio, che «poiché non si deve peccare per nessun motivo, nel caso in cui il sacerdote non volesse battezzare gratuitamente si deve agire come se egli non ci fosse. Per cui in questo caso potrebbe battezzare il bambino o il suo tutore, o un’altra persona qualunque. (…) E se non potesse ricorrere ad altri, in nessun modo dovrebbe pagare per il battesimo, ma piuttosto morire senza battesimo: poiché la mancanza del sacramento sarebbe supplita dal battesimo di desiderio» (q. 100, art. 2, ad 1).
Ma sarà veramente impossibile in Germania e fuori di essa trovare sacerdoti e vescovi disposti ad amministrare i sacramenti agli obiettori di coscienza della Kirchensteueur? Non lo crediamo, anche perché nulla è impossibile a chi cerca prima di tutto il Regno di Dio e la sua Giustizia (Mt 6, 33). Lo scrittore francese Ernst Hello (1828-1885) afferma che la rinunzia è la parola del diavolo. «Dio non rinunzia mai. Il diavolo rinunzia sempre, anche quando pare che agisca. Egli è colui che rinunzia. L’uomo che rinunzia non può niente e impedisce tutti. L’uomo che non rinunzia solleva le montagne» (L’uomo, Edizioni Paoline, 1958, p. 287). Ciò che io oggi temo di più sono i cattolici rassegnati e rinunciatari. Chi sono i cattolici rinunciatari? Quelli che sono convinti che c’è una sproporzione di forze tra noi e i nostri avversari (il che è vero) e che non possiamo far altro che accettare la situazione de facto (il che non è vero). I cattolici rinunciatari criticano in privato la Kirchensteuer, ma pensano che sia inutile criticarla pubblicamente, perché tanto nulla cambierà.
Il 21 gennaio il cardinale Gerhard Müller, nella sua omelia per la festa di sant’Agnese, ha detto che «con il sangue della sua giovane vita, sant’Agnese ha testimoniato Cristo, Figlio di Dio e unico Salvatore del mondo. E così ella incoraggia anche noi qui a Roma e in Europa, a professare la nostra fede cattolica pubblicamente e senza aver paura degli uomini». In Germania chi critica pubblicamente la Conferenza episcopale tedesca e rifiuta conseguentemente di pagare la Kirchensteuer non rischia la morte, come sant’Agnese, ma rischia di essere privato dei sacramenti e soprattutto di essere socialmente censurato. È una dura prova certo, ma forse dovremmo prendere esempio da quei cattolici che in Inghilterra, ai tempi di Elisabetta I, o in Francia, sotto la Rivoluzione francese, furono privati dei sacramenti e perseguitati, ma rimasero fedeli alla fede cattolica. L’Europa secolarizzata ha bisogno di eroismo, non di rassegnazione.
(Fonte: CorrispondenzaRomana)
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