(Roberto de Mattei, 15-01-2020) L’ultima polemica, esplosa dopo la pubblicazione del libro sul sacerdozio del cardinale Sarah e di Benedetto XVI, conferma la situazione di penosa confusione in cui oggi versa la Chiesa.
La notizia di un testo scritto a quattro mani dal Papa emerito e dal cardinale Robert Sarah è scoppiata come una bomba il 12 gennaio. Il libro, curato da Nicolas Diat, uomo di fiducia del cardinale Sarah, è stato pubblicato dall’editore Fayard con il titolo, Des profondeurs des nos coeurs (Dal profondo dei nostri cuori) e contiene una ferma difesa del celibato ecclesiastico. La lobby mediatica progressista è subito partita all’attacco, negando che il Papa emerito avesse mai scritto un libro con il cardinale Sarah e accusando quest’ultimo di avere intrapreso un’ “operazione editoriale” contro papa Francesco. Il cardinale Sarah ha reagito da parte sua con estrema fermezza: «Dichiaro solennemente che Benedetto XVI sapeva che il nostro progetto avrebbe preso la forma di un libro. (…) Alcuni attacchi sembrano insinuare una menzogna da parte mia. Queste diffamazioni sono di una gravità eccezionale».
Il 14 gennaio però monsignor Georg Gänswein, segretario di Joseph Ratzinger e prefetto della Casa Pontificia, ha parzialmente smentito il cardinale Sarah, chiedendo di togliere la firma del Papa emerito come coautore del libro: «Il Papa emerito sapeva che il cardinale stava preparando un libro e aveva inviato un suo testo sul sacerdozio autorizzandolo a farne l’uso che voleva. Ma non aveva approvato alcun progetto per un libro a doppia firma né aveva visto e autorizzato la copertina. Si è trattato di un malinteso senza mettere in dubbio la buona fede del cardinale Sarah».
Il cardinale guineano non ha accettato di essere indicato come il responsabile del malinteso e ha pubblicato tre lettere, con le date del 20 settembre, 12 ottobre e 25 novembre 2019, da cui emerge la piena sintonia tra lui e Benedetto XVI, che dà il via libera alla pubblicazione con queste parole: «Da parte mia il testo può essere pubblicato nella forma da lei prevista». Però la richiesta di mons. Gänswein è stata accettata e nelle prossime edizioni sarà tolta la doppia firma dal volume, il cui autore risulterà il «Card. Sarah con il contributo di Benedetto XVI». D’altro canto «il testo completo resta assolutamente immutato», ha precisato il cardinale Sarah in un tweet. Un vero “pasticcio”, la cui responsabilità sembra essere del collaboratore del Cardinale, Nicolas Diat, che ha probabilmente enfatizzato l’iniziativa più del dovuto, e soprattutto di mons. Gänswein, che ha certamente ceduto alle pressioni di chi ha voluto depotenziare il contenuto del libro, anche con l’obiettivo di squalificare il cardinale guineano, impropriamente presentato come “ultraconservatore”.
Dalla vicenda emerge però un ben più grave pasticcio, che è quello della innaturale coabitazione in Vaticano dei due Papi, soprattutto quando uno di loro, Benedetto XVI, dopo aver rinunciato al pontificato conserva il nome, mantiene la veste bianca, impartisce la Benedizione Apostolica, che spetta solo al Sommo Pontefice e rompe ancora una volta il silenzio a cui si era votato dimettendosi. In una parola si considera Papa, sia pure “emerito”.
Questa situazione è la conseguenza di un grave errore teologico del cardinale Ratzinger. Conservando il titolo di Papa emerito, come avviene per i vescovi, egli sembra ritenere che l’ascesa al Pontificato imprima sull’eletto un carattere indelebile analogo a quello sacerdotale. In realtà i gradi sacramentali del sacerdozio sono solo tre: diaconato, presbiterato ed episcopato. Il pontificato appartiene ad un’altra gerarchia della Chiesa, quella di giurisdizione, o di governo, di cui costituisce l’apice. Quando viene eletto, il Papa riceve l’ufficio della suprema giurisdizione, non un sacramento dal carattere indelebile. Il sacerdozio non si perde neanche con la morte, perché sussiste “in aternum”. Si può invece “perdere” il pontificato, non solo con la morte, ma anche in caso di volontaria rinuncia o di manifesta e notoria eresia. Se rinuncia ad essere pontefice, il Papa cessa di essere tale: non ha diritto a indossare la veste bianca né ad impartire la benedizione apostolica. Egli, dal punto di vista canonico, non è neanche più un cardinale, ma torna ad essere un semplice vescovo. A meno che la sua rinuncia non sia invalida: ma questo, nel caso di Benedetto XVI, dovrebbe essere provato. Di fatto il titolo di Papa oggi viene attribuito sia a Francesco che a Benedetto, ma certamente uno di essi è abusivo, perché uno solo può essere il Papa nella Chiesa.
La storia della Chiesa ha conosciuto Papi e antipapi che si sono combattuti, ma ognuno di essi scomunicava l’altro e la chiarezza imponeva delle scelte, come avvenne nel Grande Scisma d’Occidente, in cui tutta la Cristianità si trovò scomunicata, dall’uno o dall’altro Papa e i fedeli furono costretta a prendere posizione Ciò che non è mai accaduto è che due Papi si riconoscano entrambi come legittimi e manifestino reciprocamente rispetto e riverenza, salvo combattersi dietro le quinte per interposta persona. Cercare di metterli pubblicamente uno contro l’altro, è un’impresa improba, smentita dai fatti e destinata al fallimento. Non c’è un Papa “buono”, e un “papa “cattivo”. Non ci sono due Papi. C’è solo una grande confusione, destinata ad aumentare.
Che cosa accadrà infatti quando il processo di liquidazione del celibato ecclesiastico, avviato ufficialmente dal Sinodo sull’Amazzonia, sarà portato avanti dal “percorso sinodale” della Conferenza episcopale tedesca? Lascerà papa Francesco via libera ai vescovi tedeschi? E cosa dirà Benedetto XVI di fronte al “percorso” dei suoi confratelli tedeschi, che annunciano di voler dare «valore obbligatorio» alle loro decisioni in Germania? Da parte sua il cardinale Sarah confermerà la «filiale obbedienza a papa Francesco» che manifesta nel suo comunicato stampa del 14 gennaio o unirà la sua voce a quella dei cardinali che intendono resistere al processo di autodemolizione della Chiesa, seguendo l’insegnamento apostolico: «si deve obbedire più a Dio che agli uomini» (At 5, 29)? E’ l’ora della chiarezza, non della confusione.
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