In questa nuova puntata della sua riflessione sulla musica sacra il maestro Aurelio Porfiri risponde a tutti coloro i quali, argomentando che “la Messa non è un concerto”, impediscono ai fedeli di pregare con l’ausilio di musica di alta qualità e li condannano a una presunta “musica per il popolo” che, semplicemente, è cattiva musica.
Aldo MariaValli
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Aurelio Porfiri, 04/05/2019
Non esiste forse un singolo musicista di Chiesa che non abbia mai sentito pronunciare la famosa frase “la Messa non è un concerto!”. Che cosa sta a significare un’affermazione del genere? Significa: siccome la Messa non richiede una musica “d’arte”, non è necessario avere cori o organisti fra i piedi, e men che meno è necessario pagare per questo.
Ma è vero che la Messa non richiede una musica “fatta con arte”?
Se ammettiamo che sia così, ci mettiamo contro tutta la tradizione biblica, liturgica ed estetica della Chiesa cattolica e non solo. Anche fra gli ebrei la musica per il Tempio di Gerusalemme era gestita da un gruppo di musicisti di professione e non mi risulta che esistano passaggi della Bibbia in cui si dice che il culto del Tempio di Gerusalemme non era un’occasione per tenere concerti. Certo, a volte ci si scaglia contro coloro che adorano con la lingua e non con il cuore, ma questo problema riguarda l’atteggiamento della preghiera in generale, non solo e non tanto la musica.
Dire che non serve investire risorse nella musica liturgica perché la Messa non è un concerto è una tale castroneria che dovrebbe far vergognare chiunque la pronunci. Nel motu proprio di San Pio X del 1903 era detto chiaramente che la bontà delle forme musicali è una delle caratteristiche fondamentali della musica sacra. E questa bontà delle forme non sorge spontaneamente, ma viene dallo studio. Dunque, se non sosteniamo coloro che si dedicano a questo servizio, come immaginare che la musica nelle nostre chiese possa salire di livello? Al contrario, ci si adatta a scendere sempre più in basso.
Intendiamoci bene: dire che la Messa non deve essere considerata un concerto non è sbagliato in assoluto. La Messa in effetti non è un’esibizione. Quindi usare la Messa per eseguire musica pure bella, ma che non ha niente a che vedere con la celebrazione eucaristica, è sbagliato. Tuttavia eseguire musica sacra di livello artistico elevato, da parte di esecutori preparati professionalmente, non fa della Messa un concerto. La musica a Messa non serve a “far cantare la gente”, ma ad aiutarla ad elevarsi al livello del mistero che viene celebrato.
Chi dice che la Messa non è un concerto quale alternativa offre? Un monologo, un party, una schitarrata, una festa scout? Perché, con tutto il rispetto, se l’alternativa è rappresentata da questo tipo di cose, meglio il concerto!
Anni fa un sacerdote, ora scomparso, responsabile di un’importante manifestazione religiosa e liturgica a Roma, rifiutava categoricamente di avere un coro e lo sostituiva con lui stesso, impegnato a cantare a squarciagola nel microfono. Una vera e propria ostilità nei confronti della musica sacra, sostituita con la cosiddetta “musica del popolo”, che spesso si riduce a produzioni di dubbissima qualità. Non che non si debba sostenere la musica per il popolo: in essa ci sono esempi bellissimi di religiosità popolare, ma il post Concilio, purtroppo, non ci ha regalato questo, bensì musiche melense, corali protestanti, canzoni pop… Una tradizione gettata via.
Pio XII, nella Musicae Sacrae Disciplina (1955) affermava: “(L’)arte religiosa è ancor più vincolata a Dio e diretta a promuovere la sua lode e la sua gloria, perché non ha altro scopo che quello di aiutare potentemente i fedeli a innalzare piamente la loro mente a Dio, agendo per mezzo delle sue manifestazioni sui sensi della vista e dell’udito. Perciò l’artista senza fede o lontano da Dio con il suo animo e con la sua condotta, in nessuna maniera deve occuparsi di arte religiosa; egli, infatti, non possiede quell’occhio interiore che gli permette di scorgere quanto è richiesto dalla maestà di Dio e dal suo culto. Né si può sperare che le sue opere prive di afflato religioso – anche se rivelano la perizia e una certa abilità esteriore dell’autore – possano mai ispirare quella fede e quella pietà che si addicono alla maestà della casa di Dio; e quindi non saranno mai degne di essere ammesse nel tempio dalla chiesa, che è la custode e l’arbitra della vita religiosa. L’artista invece che ha fede profonda e tiene una condotta degna di un cristiano, agendo sotto l’impulso dell’amore di Dio e mettendo le sue doti a servizio della religione, per mezzo dei colori, delle linee e dell’armonia dei suoni farà ogni sforzo per esprimere la sua fede e la sua pietà con tanta perizia, eleganza e soavità, che questo sacro esercizio dell’arte costituirà per lui un atto di culto e di religione, e stimolerà grandemente il popolo a professare la fede e a coltivare la pietà. Tali artisti sono stati e saranno sempre tenuti in onore dalla chiesa; essa aprirà loro le porte dei templi, poiché si compiace del contributo non piccolo che essi con la loro arte e con la loro operosità danno per un più efficace svolgimento del suo ministero apostolico. Queste leggi dell’arte religiosa vincolano con un legame ancora più stretto e più santo la musica sacra, poiché essa è più vicina al culto divino che le altre arti belle, come l’architettura, la pittura e la scultura; queste cercano di preparare una degna sede ai riti divini, quella invece occupa un posto di primaria importanza nello svolgimento stesso delle cerimonie e dei riti sacri. Per questo la chiesa deve con ogni diligenza provvedere a rimuovere dalla musica sacra, appunto perché questa è l’ancella della sacra liturgia, tutto ciò che disdice al culto divino o impedisce ai fedeli di innalzare la mente a Dio”.
Confesso con un poco di imbarazzo: mi fa quasi sorridere leggere questo passaggio. Sembra infatti riferito ad un’altra Chiesa, non a questa di oggi, dove gli artisti non solo non sono benvenuti, ma devono quasi lottare con i pastori per vedersi riconoscere ciò che in realtà dovrebbe essere dovuto loro.
Aurelio Porfiri
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