da redazione Instaurare omnia in Christo
Osservazioni a margine ma non marginali
Il 23 giugno 2015 è stato pubblicato un nuovo
«Instrumentum laboris» come documento di preparazione per i lavori del Sinodo
ordinario sulla famiglia, che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre del corrente anno. Questo Sinodo ordinario,
com’è noto, è stato preceduto dal Sinodo straordinario sulla famiglia, svoltosi
nell’ottobre 2014.
Instaurare
è intervenuto con
opportune analisi ed osservazioni critiche sia quando è stata annunciata la distribuzione
di un questionario (cfr. Instaurare, n. 2/2013), sia quando è stata resa nota la cosiddetta Relazione Kasper (cfr. Instaurare, n.1/2014), sia analizzando
l’«Instrumentum laboris » n. 1 (cfr. Instaurare, n. 2/2014 e n. 3/2014), sia
considerando le conclusioni provvisorie del Sinodo straordinario (cfr. Instaurare, n. 3/2014).
L’«Instrumentum laboris» n. 2 è stato redatto
riportando passi della discussa, anzi contestata, Relatio
finale del Sinodo
straordinario, e «raccogliendo » indicazioni, suggerimenti, istanze (avanzate
dopo la conclusione del Sinodo straordinario) dalle cosiddette «Chiese locali»
(che questo documento chiama ora appropriatamente «Chiese particolari»). Nella Presentazione
dell’«Instrumentum
laboris» n. 2 si dichiara di aver tenuto conto anche di altri pareri,
osservazioni e suggerimenti. In particolare di quelli di
qualificati studiosi.
È di fatto impossibile considerare tutto il materiale
a questo proposito elaborato. Di questo ne siamo consapevoli. Il fatto è che
l’«Instrumentum laboris» n. 2 non tiene conto nemmeno di tutte le osservazioni critiche presentate in sede
sinodale (già «scartate » dalla Relatio finale); non tiene conto degli
argomenti offerti da diversi libri (noti alla Segreteria del Sinodo); non tiene conto di molte critiche avanzate da
qualificati periodici che possono fondatamente dirsi cattolici. Si tratta di
omissioni gravi, perché i contributi critici via via offerti avrebbero meritato
e meritano veramente di essere considerati ponendo essi quasi sempre questioni
fondamentali per il matrimonio e per la famiglia (cristiana). Probabilmente si
tratta di omissioni «volute». Omissioni che rivelano il rifiuto del consiglio
dato da san Paolo ai Tessalonicesi (Prima Lettera ai Tessalonicesi, 5, 21).
Omissioni che manifestano un lavoro incompleto che può «precostituire» un orientamento dei lavori del Sinodo ordinario e può favorire conclusioni preconfezionate. Tutto ciò sorprende. Sorprendono, però, ancora di più la metodologia adottata per la redazione del documento e alcune tesi sostenute nell’«Instrumentum laboris» n. 2. Qui – sia pure molto brevemente- verranno considerate solamente tre e si insisterà sulla questione metodologica già considerata anche nei precedenti numeri di Instaurare (cfr. particolarmente n. 3/2014).
Omissioni che manifestano un lavoro incompleto che può «precostituire» un orientamento dei lavori del Sinodo ordinario e può favorire conclusioni preconfezionate. Tutto ciò sorprende. Sorprendono, però, ancora di più la metodologia adottata per la redazione del documento e alcune tesi sostenute nell’«Instrumentum laboris» n. 2. Qui – sia pure molto brevemente- verranno considerate solamente tre e si insisterà sulla questione metodologica già considerata anche nei precedenti numeri di Instaurare (cfr. particolarmente n. 3/2014).
1)
La questione metodologica
Sul problema metodologico Instaurare
si è soffermato
nel n. 3/2014 con il saggio di Daniele Mattiussi (ripreso in traduzione
spagnola dalla storica rivista Verbo di Madrid, a. LIII, n. 533-534,
marzo-aprile 2015). La questione – è opportuno insistere – è di metodo e di
contenuto ad un tempo, poiché la ratio che ha consigliato la
distribuzione del questionario, prima, e la redazione
dell’«Instrumentum laboris» n. 1, poi, investe la concezione stessa della Chiesa;
è un metodo, quindi, che pone come centrale la questione ecclesiologica; è un
metodo che riguarda la sostanza, non solo il modo di affrontare i problemi. Ciò
è evidenziato anche dall’erroneo linguaggio talvolta usato: le Chiese particolari sono definite (e
trasformate) in Chiese locali dall’«Instrumentum laboris» n. 1 e dalla Relatio
Synodi. Non si
ebbe allora né il «coraggio morale» né la coerenza di pensiero di chiamarle comunità
di base. Tali, però, esse appaiono in questo «Instrumentum laboris» n. 1, quello elaborato per i lavori del
Sinodo straordinario svoltosi nell’ottobre 2014. La Chiesa è trasformata, così,
in associazione che ha titolo e potere di definire le proprie finalità. La
verità, quindi, che la Chiesa è chiamata a custodire e tramandare non sarebbe
quella rivelata da Gesù Cristo in maniera definitiva (anche se
suscettibile di approfondimento, ma eodem sensu, eademque sententia), bensì quella democraticamente elaborata
lungo i secoli della storia (e continuamente rinnovata) dalle comunità locali e
sintetizzata dalla Chiesa universale. La Relatio Synodi
sin dalle sue
parti introduttive usa coerentemente, a questo proposito, un linguaggio nuovo.
La convocazione del Sinodo, per esempio, che è strumento del Papa, non viene
riconosciuta come assemblea di lavoro «sotto» il Papa ma «intorno»
al Papa.
E l’«Instrumentum laboris» n. 2 (che pure parla
correttamente di Chiese particolari e non locali) riprende e conserva questa
impostazione che va oltre la vecchia e di tanto in tanto riproposta «dottrina
della collegialità episcopale», rispecchiando piuttosto la nuova dottrina della
«collegialità popolare»: «tutto il popolo – scrive, infatti, il
cardinale Ballestrieri presentando questo strumento di lavoro – è stato
coinvolto nel processo di riflessione e approfondimento» (Presentazione).
La verità, pertanto, sarebbe storica, non
metastorica; dipenderebbe dal tempo e dai tempi, non sarebbe criterio di giudizio di essi. La Chiesa non
sarebbe depositaria della verità (rivelata) ma strumento per la rivelazione del
contenuto sempre cangiante del pensiero elaborato nella contemporaneità e dalla
contemporaneità. L’«Instrumentum laboris» n. 2 riprende, a questo proposito, le
contraddizioni presenti nella Relatio Synodi già segnalate (cfr. Instaurare n. 3/2014).
2)
La questione del personalismo
Ai paragrafi n. 130 e n. 131 dell’«Instrumentum
laboris» n. 2 viene recepita (e, quindi, fatta propria) un’espressione della Relatio
Synodi dal
significato e dalle conseguenze dirompenti. Si tratta di un’espressione entrata
formalmente nella cultura europeo-occidentale alla fine del secolo scorso, a
partire precisamente dagli anni ‘90 del Novecento. Essa si è imposta
soprattutto per l’effetto irradiante di pronunciamenti di organismi internazionali
e di sentenze sia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sia delle supreme
Corti degli Stati. In Italia, per esempio, è stata accolta e utilizzata in
diverse sentenze soprattutto della Corte di Cassazione. A loro volta Organismi
e Tribunali l’hanno accolta, utilizzata, imposta e divulgata perché essa piano
piano si è diffusa nel modo di pensare generale in virtù di un insistente
bombardamento ideologico che ha favorito «letture» discutibili di norme positive anche molto
anteriori agli anni ‘90 del Novecento, ed ha «aperto» a nuovi costumi.
Si tratta dell’espressione «orientamento sessuale» (che taluni definiscono «identità erotica»), la quale sostituisce il sesso. Essa segna il passaggio dall’ordine naturale all’«ordine» ideologico e rappresenta il tentativo di sostituire le relazioni sociali basate sulla natura con le relazioni meramente antropologiche. In altre parole si passa dal biologico al «culturale». Se tutto è «culturale» in senso antropologico (quindi, non umanistico), tutto è possibile e lecito, perché tutto dipende esclusivamente dalla volontà degli esseri umani. L’«Instrumentum laboris» n.2 recepisce, dunque, acriticamente un’espressione che, sul piano culturale, è «rivoluzionaria» in quanto si pone in aperto contrasto con l’ordine naturale, vale a dire con l’ordine della creazione. E ciò nonostante sia riconosciuta in questa tesi una contraddizione, sottolineata apertamente al n. 8 dello stesso «Instrumentum laboris». Il fatto è che la cultura cattolica è attualmente ipotecata dalla cultura liberale.
Essa è figlia di un’errata concezione della persona che non è quella «classica»; quella, per esempio, proposta da Severino Boezio (Rationalis naturae individua substantia), ma quella elaborata dalle dottrine apparentemente opposte ma sostanzialmente subordinate alle teorie individualistiche proposte dalla Modernità. Anche l’«Instrumentum laboris» n.2 è ipotecato dalla dottrina del personalismo contemporaneo (si vedano, in particolare, i nn. 7, 17, 35, 109), la quale è una forma di radicale individualismo. Questa porta a rivendicare come diritto la piena realizzazione della persona (rectius della sua volontà); a farne il centro di tutta la storia; a sostenere che ogni persona deve essere accolta con la sua «esistenza concreta», vale a dire «così come essa si manifesta»; a erigerla a «entità sacra» inviolabile nella sua sfera nella quale è interdetto ogni intervento fosse anche solamente magisteriale.
Si tratta dell’espressione «orientamento sessuale» (che taluni definiscono «identità erotica»), la quale sostituisce il sesso. Essa segna il passaggio dall’ordine naturale all’«ordine» ideologico e rappresenta il tentativo di sostituire le relazioni sociali basate sulla natura con le relazioni meramente antropologiche. In altre parole si passa dal biologico al «culturale». Se tutto è «culturale» in senso antropologico (quindi, non umanistico), tutto è possibile e lecito, perché tutto dipende esclusivamente dalla volontà degli esseri umani. L’«Instrumentum laboris» n.2 recepisce, dunque, acriticamente un’espressione che, sul piano culturale, è «rivoluzionaria» in quanto si pone in aperto contrasto con l’ordine naturale, vale a dire con l’ordine della creazione. E ciò nonostante sia riconosciuta in questa tesi una contraddizione, sottolineata apertamente al n. 8 dello stesso «Instrumentum laboris». Il fatto è che la cultura cattolica è attualmente ipotecata dalla cultura liberale.
Essa è figlia di un’errata concezione della persona che non è quella «classica»; quella, per esempio, proposta da Severino Boezio (Rationalis naturae individua substantia), ma quella elaborata dalle dottrine apparentemente opposte ma sostanzialmente subordinate alle teorie individualistiche proposte dalla Modernità. Anche l’«Instrumentum laboris» n.2 è ipotecato dalla dottrina del personalismo contemporaneo (si vedano, in particolare, i nn. 7, 17, 35, 109), la quale è una forma di radicale individualismo. Questa porta a rivendicare come diritto la piena realizzazione della persona (rectius della sua volontà); a farne il centro di tutta la storia; a sostenere che ogni persona deve essere accolta con la sua «esistenza concreta», vale a dire «così come essa si manifesta»; a erigerla a «entità sacra» inviolabile nella sua sfera nella quale è interdetto ogni intervento fosse anche solamente magisteriale.
3)
La questione dell’«irreversibilità»
Nella vita molte «cose» sono irreversibili. Irreversibile,
per esempio, è la propria esistenza; irreversibile è la paternità o la
maternità; irreversibile è un’offesa (il famoso «pugno dato» di manzoniana memoria); irreversibile è la morte. Altre
«cose» sono definite tali, ma irreversibili non sono affatto. Non sono affatto
irreversibili, per esempio, le situazioni di ingiustizia e di peccato, dalle
quali non solamente si può uscire, ma si deve uscire. Come si vede la
«irreversibilità» è data dalle «cose», non dalle definizioni, tanto
meno dalle definizioni arbitrarie. Sorprende, pertanto, che la Segreteria del
Sinodo «assuma» come irreversibili stati e condizioni che tali non sono. Chi leggesse l’«Instrumentum
laboris», pubblicato il 23 giugno 2015, troverebbe con sorpresa la rinuncia a considerare la
Chiesa madre e maestra. Meglio, troverebbe una implicita ma reale accettazione
della trasformazione della Chiesa medesima.
Questo «Instrumentum laboris» n. 2 non dovrebbe
limitarsi, infatti, a «registrare» la situazione sociologica della Chiesa
militante. Esso, avendo per titolo e per oggetto «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo
contemporaneo», non dovrebbe accontentarsi di «prendere atto» dell’effettività.
Il titolo e l’oggetto imporrebbero di essere «propositivi», non «riassuntivi»; imporrebbero di presentare il matrimonio
e la famiglia come essi sono secondo il loro ordine naturale e, perciò, come
debbono essere. Invece nel documento si «oscilla» tra effettività e realtà;
spesso si scambia la seconda con la prima,commettendo un errore teoretico e, conseguentemente, metodologico.
Considerando il problema dell’integrazione dei divorziati «risposati» civilmente nella comunità cristiana (n. 121), si afferma che è «opportuno un discernimento da parte dei pastori circa l’irreversibilità della situazione» dei divorziati risposati civilmente. Come dire che ci possono essere casi di adulterio o di adulterio/concubinato dai quali non si può uscire. Spesso, a tal fine, si invocano ragioni di giustizia. Per esempio le obbligazioni verso i figli. Non si considera nemmeno il dovere della fedeltà verso il vero coniuge; non si considerano nemmeno le obbligazioni verso i figli nati nel vero matrimonio. Si invocano queste obbligazioni solo per il secondo o terzo «matrimonio». Non ci si preoccupa dello scandalo pubblico che si procura vivendo in quella situazione dalla Segreteria del Sinodo considerata in taluni casi «irreversibile»; non si considera che non si vuole il bene della persona se si vive con questa in stato di peccato; non si porta attenzione sul fatto che a eventuali figli non è certo d’esempio la vita che si conduce in stato di adulterio o di adulterio/concubinato. Non può esserci «irreversibilità» in questi casi. Intendiamoci: ognuno deve rispondere di ciò che fa, delle obbligazioni legittime assunte. Non si possono, per esempio, mettere nel nulla i doveri verso i figli, anche verso i figli procreati nel cosiddetto secondo «matrimonio». I doveri vanno rispettati. Caso per caso bisognerà valutare come. Queste questioni non possono, però, essere erette a giustificazione del disordine morale. Tutti abbiamo il dovere di correggerci. L’unico modo di correggerci in questi casi è quello di abbandonare innanzitutto l’errore, assumendo tutte le responsabilità.
La Chiesa non può legittimare ciò che è contro l’ordine naturale e, quindi, contro la volontà di Dio. Gesù Cristo chiede, infatti, all’adultera di «non peccare più» (Gv. 8, 1-11); di abbandonare la sua situazione di peccato e di disordine. Questo abbandono è condizione del perdono. La misericordia postula, infatti, innanzitutto la conversione. Quando, dunque, si parla di «irreversibilità» è necessario precisare che cosa è irreversibile per non rendere tale il peccato. Se la Chiesa cercasse di rendere irreversibile il peccato tradirebbe la sua missione; si farebbe strumento di Satana, non di Dio; non sarebbe né madre né maestra. Essa non è chiamata a «giustificare» quanto accade nella storia ma a «giudicare» l’accaduto e la storia. In altre parole essa non può e non deve farsi discepola del «mondo», ma deve essere per esso luce e guida.
Considerando il problema dell’integrazione dei divorziati «risposati» civilmente nella comunità cristiana (n. 121), si afferma che è «opportuno un discernimento da parte dei pastori circa l’irreversibilità della situazione» dei divorziati risposati civilmente. Come dire che ci possono essere casi di adulterio o di adulterio/concubinato dai quali non si può uscire. Spesso, a tal fine, si invocano ragioni di giustizia. Per esempio le obbligazioni verso i figli. Non si considera nemmeno il dovere della fedeltà verso il vero coniuge; non si considerano nemmeno le obbligazioni verso i figli nati nel vero matrimonio. Si invocano queste obbligazioni solo per il secondo o terzo «matrimonio». Non ci si preoccupa dello scandalo pubblico che si procura vivendo in quella situazione dalla Segreteria del Sinodo considerata in taluni casi «irreversibile»; non si considera che non si vuole il bene della persona se si vive con questa in stato di peccato; non si porta attenzione sul fatto che a eventuali figli non è certo d’esempio la vita che si conduce in stato di adulterio o di adulterio/concubinato. Non può esserci «irreversibilità» in questi casi. Intendiamoci: ognuno deve rispondere di ciò che fa, delle obbligazioni legittime assunte. Non si possono, per esempio, mettere nel nulla i doveri verso i figli, anche verso i figli procreati nel cosiddetto secondo «matrimonio». I doveri vanno rispettati. Caso per caso bisognerà valutare come. Queste questioni non possono, però, essere erette a giustificazione del disordine morale. Tutti abbiamo il dovere di correggerci. L’unico modo di correggerci in questi casi è quello di abbandonare innanzitutto l’errore, assumendo tutte le responsabilità.
La Chiesa non può legittimare ciò che è contro l’ordine naturale e, quindi, contro la volontà di Dio. Gesù Cristo chiede, infatti, all’adultera di «non peccare più» (Gv. 8, 1-11); di abbandonare la sua situazione di peccato e di disordine. Questo abbandono è condizione del perdono. La misericordia postula, infatti, innanzitutto la conversione. Quando, dunque, si parla di «irreversibilità» è necessario precisare che cosa è irreversibile per non rendere tale il peccato. Se la Chiesa cercasse di rendere irreversibile il peccato tradirebbe la sua missione; si farebbe strumento di Satana, non di Dio; non sarebbe né madre né maestra. Essa non è chiamata a «giustificare» quanto accade nella storia ma a «giudicare» l’accaduto e la storia. In altre parole essa non può e non deve farsi discepola del «mondo», ma deve essere per esso luce e guida.
4)
La questione del male e del peccato come possibili percorsi per il bene.
L’«Instrumentum laboris» n. 2 insiste nel proporre un
orientamento già emerso nella Relatio Synodi, secondo il quale la Chiesa
dovrebbe dotarsi di una nuova pastorale per i divorziati «risposati» e per i
conviventi. Si tratterebbe di «cogliere gli elementi positivi presenti nei
matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze»
(n. 98). In altre parole si tratterebbe di scoprire i germi «del Verbo che vi
si trovano nascosti, per valorizzarli, fino alla pienezza dell’unione sacramentale» (n. 99). Dunque, anche il disordine
morale sarebbe caratterizzato da elementi di bene, che andrebbero individuati. Anche il male,
perciò, dovrebbe essere connotato come bene.
Al fondo di simili affermazioni sta la tesi gnostica, per la quale il male sarebbe un «momento» del bene, a questo necessario, Il pensiero gnostico moderno e contemporaneo riuscirebbe, così, in un intento che l’esperienza rivela impossibile: l’eliminazione del problema del male. Non è facile per l’uomo comune e ancor meno per il cristiano comprendere come l’adulterio possa essere un bene, sia pure germinale.
Nel caso dei divorziati «risposati» non si tratta di un matrimonio civile, cioè «naturale». Il «matrimonio» dei divorziati «risposati» è un non-matrimonio, vale a dire un matrimonio impossibile. È un «matrimonio» arbitrariamente ed assurdamente definito tale. Del matrimonio, perciò, non presenta e non può presentare elementi. Sul piano morale questo «matrimonio» presenta caratteristiche di male più gravi delle convivenze fra persone eterosessuali libere da vincoli e da obbligazioni. Nemmeno queste, comunque, presentano «germi del Verbo», perché rappresentano de facto il rifiuto del matrimonio senza, però, l’aggravante dell’infedeltà, del tradimento, del misconoscimento di obbligazioni naturali liberamente contratte.
Al fondo di simili affermazioni sta la tesi gnostica, per la quale il male sarebbe un «momento» del bene, a questo necessario, Il pensiero gnostico moderno e contemporaneo riuscirebbe, così, in un intento che l’esperienza rivela impossibile: l’eliminazione del problema del male. Non è facile per l’uomo comune e ancor meno per il cristiano comprendere come l’adulterio possa essere un bene, sia pure germinale.
Nel caso dei divorziati «risposati» non si tratta di un matrimonio civile, cioè «naturale». Il «matrimonio» dei divorziati «risposati» è un non-matrimonio, vale a dire un matrimonio impossibile. È un «matrimonio» arbitrariamente ed assurdamente definito tale. Del matrimonio, perciò, non presenta e non può presentare elementi. Sul piano morale questo «matrimonio» presenta caratteristiche di male più gravi delle convivenze fra persone eterosessuali libere da vincoli e da obbligazioni. Nemmeno queste, comunque, presentano «germi del Verbo», perché rappresentano de facto il rifiuto del matrimonio senza, però, l’aggravante dell’infedeltà, del tradimento, del misconoscimento di obbligazioni naturali liberamente contratte.
5)
Appunto conclusivo.
L’«Instrumentum laboris» n. 2 rivela una singolare
concezione della morale sia per quel che attiene alle persone divorziate ma non
risposate (n. 118) sia per quel che attiene ai divorziati «risposati» che
vivono in continenza (n. 119). Per quel che attiene alle persone divorziate non
risposate l’«Instrumentum laboris» n. 2 non opera alcuna distinzione. Non
distingue, per esempio, tra divorzio subito e divorzio consensuale e/o richiesto.
Il divorzio è sempre un male. Mai va accettato, nemmeno in condizioni limite.
L’unico rimedio a un matrimonio fallito è la separazione cui, comunque, si può
moralmente ricorrere solamente nei casi veramente limite. Quindi le persone
divorziate possono avere responsabilità morali che vanno valutate.
Per quel che attiene ai divorziati risposati» va
rilevato che, oltre alla valutazione della questione divorzio, il fatto di
essere «risposati» è una colpa non lieve anche se si trovano a vivere in continenza. Questi non possono accedere ai
sacramenti, perché, oggettivamente parlando, vivono in uno stato di peccato e
di peccato pubblico. Ci sembra, pertanto, molto grave il suggerimento che fa
seguito alla «catechesi telefonica» recentemente inaugurata, secondo la quale
questi cristiani potrebbero accostarsi ai sacramenti anche se dovrebbero farlo in un luogo in cui non sia nota la loro condizione
(n. 119).
La morale è una «cosa» seria,troppo seria per essere lasciata nelle mani di chi erroneamente si reputa suo signore. Nemmeno il Papa può cambiare l’ordine delle cose. Nemmeno lui è signore della morale.
La morale è una «cosa» seria,troppo seria per essere lasciata nelle mani di chi erroneamente si reputa suo signore. Nemmeno il Papa può cambiare l’ordine delle cose. Nemmeno lui è signore della morale.
Instaurare
omnia in Cristo, Anno XLIV, n. 2, maggio agosto 2015
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