martedì 1 settembre 2015

Sinodo: IL NUOVO «INSTRUMENTUM LABORIS»


 


da redazione Instaurare omnia in Christo


Osservazioni a margine ma non marginali

 

Il 23 giugno 2015 è stato pubblicato un nuovo «Instrumentum laboris» come documento di preparazione per i lavori del Sinodo ordinario sulla famiglia, che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre del corrente anno. Questo Sinodo ordinario, com’è noto, è stato preceduto dal Sinodo straordinario sulla famiglia, svoltosi nell’ottobre 2014.

Instaurare è intervenuto con opportune analisi ed osservazioni critiche sia quando è stata annunciata la distribuzione di un questionario (cfr. Instaurare, n. 2/2013), sia quando è stata resa nota la cosiddetta Relazione Kasper (cfr. Instaurare, n.1/2014), sia analizzando l’«Instrumentum laboris » n. 1 (cfr. Instaurare, n. 2/2014 e n. 3/2014), sia considerando le conclusioni provvisorie del Sinodo straordinario (cfr. Instaurare, n. 3/2014).

L’«Instrumentum laboris» n. 2 è stato redatto riportando passi della discussa, anzi contestata, Relatio finale del Sinodo straordinario, e «raccogliendo » indicazioni, suggerimenti, istanze (avanzate dopo la conclusione del Sinodo straordinario) dalle cosiddette «Chiese locali» (che questo documento chiama ora appropriatamente «Chiese particolari»). Nella Presentazione dell’«Instrumentum laboris» n. 2 si dichiara di aver tenuto conto anche di altri pareri, osservazioni e suggerimenti. In particolare di quelli di qualificati studiosi.

È di fatto impossibile considerare tutto il materiale a questo proposito elaborato. Di questo ne siamo consapevoli. Il fatto è che l’«Instrumentum laboris» n. 2 non tiene conto nemmeno di tutte le osservazioni critiche presentate in sede sinodale (già «scartate » dalla Relatio finale); non tiene conto degli argomenti offerti da diversi libri (noti alla Segreteria del Sinodo); non tiene conto di molte critiche avanzate da qualificati periodici che possono fondatamente dirsi cattolici. Si tratta di omissioni gravi, perché i contributi critici via via offerti avrebbero meritato e meritano veramente di essere considerati ponendo essi quasi sempre questioni fondamentali per il matrimonio e per la famiglia (cristiana). Probabilmente si tratta di omissioni «volute». Omissioni che rivelano il rifiuto del consiglio dato da san Paolo ai Tessalonicesi (Prima Lettera ai Tessalonicesi, 5, 21).

Omissioni che manifestano un lavoro incompleto che può «precostituire» un orientamento dei lavori del Sinodo ordinario e può favorire conclusioni preconfezionate. Tutto ciò sorprende. Sorprendono, però, ancora di più la metodologia adottata per la redazione del documento e alcune tesi sostenute nell’«Instrumentum laboris» n. 2. Qui – sia pure molto brevemente- verranno considerate solamente tre e si insisterà sulla questione metodologica già considerata anche nei precedenti numeri di Instaurare (cfr. particolarmente n. 3/2014).

 

1) La questione metodologica

 

Sul problema metodologico Instaurare si è soffermato nel n. 3/2014 con il saggio di Daniele Mattiussi (ripreso in traduzione spagnola dalla storica rivista Verbo di Madrid, a. LIII, n. 533-534, marzo-aprile 2015). La questione – è opportuno insistere – è di metodo e di contenuto ad un tempo, poiché la ratio che ha consigliato la distribuzione del questionario, prima, e la redazione dell’«Instrumentum laboris» n. 1, poi, investe la concezione stessa della Chiesa; è un metodo, quindi, che pone come centrale la questione ecclesiologica; è un metodo che riguarda la sostanza, non solo il modo di affrontare i problemi. Ciò è evidenziato anche dall’erroneo linguaggio talvolta usato: le Chiese particolari sono definite (e trasformate) in Chiese locali dall’«Instrumentum laboris» n. 1 e dalla Relatio Synodi. Non si ebbe allora né il «coraggio morale» né la coerenza di pensiero di chiamarle comunità di base. Tali, però, esse appaiono in questo «Instrumentum laboris» n. 1, quello elaborato per i lavori del Sinodo straordinario svoltosi nell’ottobre 2014. La Chiesa è trasformata, così, in associazione che ha titolo e potere di definire le proprie finalità. La verità, quindi, che la Chiesa è chiamata a custodire e tramandare non sarebbe quella rivelata da Gesù Cristo in maniera definitiva (anche se suscettibile di approfondimento, ma eodem sensu, eademque sententia), bensì quella democraticamente elaborata lungo i secoli della storia (e continuamente rinnovata) dalle comunità locali e sintetizzata dalla Chiesa universale. La Relatio Synodi sin dalle sue parti introduttive usa coerentemente, a questo proposito, un linguaggio nuovo. La convocazione del Sinodo, per esempio, che è strumento del Papa, non viene riconosciuta come assemblea di lavoro «sotto» il Papa ma «intorno» al Papa.

E l’«Instrumentum laboris» n. 2 (che pure parla correttamente di Chiese particolari e non locali) riprende e conserva questa impostazione che va oltre la vecchia e di tanto in tanto riproposta «dottrina della collegialità episcopale», rispecchiando piuttosto la nuova dottrina della «collegialità popolare»: «tutto il popolo – scrive, infatti, il cardinale Ballestrieri presentando questo strumento di lavoro – è stato coinvolto nel processo di riflessione e approfondimento» (Presentazione).

La verità, pertanto, sarebbe storica, non metastorica; dipenderebbe dal tempo e dai tempi, non sarebbe criterio di giudizio di essi. La Chiesa non sarebbe depositaria della verità (rivelata) ma strumento per la rivelazione del contenuto sempre cangiante del pensiero elaborato nella contemporaneità e dalla contemporaneità. L’«Instrumentum laboris» n. 2 riprende, a questo proposito, le contraddizioni presenti nella Relatio Synodi già segnalate (cfr. Instaurare n. 3/2014).

 

2) La questione del personalismo

 

Ai paragrafi n. 130 e n. 131 dell’«Instrumentum laboris» n. 2 viene recepita (e, quindi, fatta propria) un’espressione della Relatio Synodi dal significato e dalle conseguenze dirompenti. Si tratta di un’espressione entrata formalmente nella cultura europeo-occidentale alla fine del secolo scorso, a partire precisamente dagli anni ‘90 del Novecento. Essa si è imposta soprattutto per l’effetto irradiante di pronunciamenti di organismi internazionali e di sentenze sia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sia delle supreme Corti degli Stati. In Italia, per esempio, è stata accolta e utilizzata in diverse sentenze soprattutto della Corte di Cassazione. A loro volta Organismi e Tribunali l’hanno accolta, utilizzata, imposta e divulgata perché essa piano piano si è diffusa nel modo di pensare generale in virtù di un insistente bombardamento ideologico che ha favorito «letture» discutibili di norme positive anche molto anteriori agli anni ‘90 del Novecento, ed ha «aperto» a nuovi costumi.

Si tratta dell’espressione «orientamento sessuale» (che taluni definiscono «identità erotica»), la quale sostituisce il sesso. Essa segna il passaggio dall’ordine naturale  all’«ordine» ideologico e rappresenta il tentativo di sostituire le relazioni sociali basate sulla natura con le relazioni meramente antropologiche. In altre parole si passa dal biologico al «culturale». Se tutto è «culturale» in senso antropologico (quindi, non umanistico), tutto è possibile e lecito, perché tutto dipende esclusivamente dalla volontà degli esseri umani. L’«Instrumentum laboris» n.2 recepisce, dunque, acriticamente un’espressione che, sul piano culturale, è «rivoluzionaria» in quanto si pone in aperto contrasto con l’ordine naturale, vale a dire con l’ordine della creazione. E ciò nonostante sia riconosciuta in questa tesi una contraddizione, sottolineata apertamente al n. 8 dello stesso «Instrumentum laboris». Il fatto è che la cultura cattolica è attualmente ipotecata dalla cultura liberale.

Essa è figlia di un’errata concezione della persona che non è quella «classica»; quella, per esempio, proposta da Severino Boezio (Rationalis naturae individua substantia), ma quella elaborata dalle dottrine apparentemente opposte ma sostanzialmente subordinate alle teorie individualistiche proposte dalla Modernità. Anche l’«Instrumentum laboris» n.2 è ipotecato dalla dottrina del personalismo contemporaneo (si vedano, in particolare, i nn. 7, 17, 35, 109), la quale è una forma di radicale individualismo. Questa porta a rivendicare come diritto la piena realizzazione della persona (rectius della sua volontà); a farne il centro di tutta la storia; a sostenere che ogni persona deve essere accolta con la sua «esistenza concreta», vale a dire «così come essa si manifesta»; a erigerla a «entità sacra» inviolabile nella sua sfera nella quale è interdetto ogni intervento fosse anche solamente magisteriale.

 

3) La questione dell’«irreversibilità»

Nella vita molte «cose» sono irreversibili. Irreversibile, per esempio, è la propria esistenza; irreversibile è la paternità o la maternità; irreversibile è un’offesa (il famoso «pugno dato» di manzoniana memoria); irreversibile è la morte. Altre «cose» sono definite tali, ma irreversibili non sono affatto. Non sono affatto irreversibili, per esempio, le situazioni di ingiustizia e di peccato, dalle quali non solamente si può uscire, ma si deve uscire. Come si vede la «irreversibilità» è data dalle «cose», non dalle definizioni, tanto meno dalle definizioni arbitrarie. Sorprende, pertanto, che la Segreteria del Sinodo «assuma» come irreversibili stati e condizioni che tali non sono. Chi leggesse l’«Instrumentum laboris», pubblicato il 23 giugno 2015, troverebbe con sorpresa la rinuncia a considerare la Chiesa madre e maestra. Meglio, troverebbe una implicita ma reale accettazione della trasformazione della Chiesa medesima.

Questo «Instrumentum laboris» n. 2 non dovrebbe limitarsi, infatti, a «registrare» la situazione sociologica della Chiesa militante. Esso, avendo per titolo e per oggetto «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo», non dovrebbe accontentarsi di «prendere atto» dell’effettività. Il titolo e l’oggetto imporrebbero di essere «propositivi», non «riassuntivi»; imporrebbero di presentare il matrimonio e la famiglia come essi sono secondo il loro ordine naturale e, perciò, come debbono essere. Invece nel documento si «oscilla» tra effettività e realtà; spesso si scambia la seconda con la prima,commettendo un errore teoretico e, conseguentemente, metodologico.

Considerando il problema dell’integrazione dei divorziati «risposati» civilmente nella comunità cristiana (n. 121), si afferma che è «opportuno un discernimento da parte dei pastori circa l’irreversibilità della situazione» dei divorziati risposati civilmente. Come dire che ci possono essere casi di adulterio o di adulterio/concubinato dai quali non si può uscire. Spesso, a tal fine, si invocano ragioni di giustizia. Per esempio le obbligazioni verso i figli. Non si considera nemmeno il dovere della fedeltà verso il vero coniuge; non si considerano nemmeno le obbligazioni verso i figli nati nel vero matrimonio. Si invocano queste obbligazioni solo per il secondo o terzo «matrimonio». Non ci si preoccupa dello scandalo pubblico che si procura vivendo in quella situazione dalla Segreteria del Sinodo considerata in taluni casi «irreversibile»; non si considera che non si vuole il bene della persona se si vive con questa in stato di peccato; non si porta attenzione sul fatto che a eventuali figli non è certo d’esempio la vita che si conduce in stato di adulterio o di adulterio/concubinato. Non può esserci «irreversibilità» in questi casi. Intendiamoci: ognuno deve rispondere di ciò che fa, delle obbligazioni legittime assunte. Non si possono, per esempio, mettere nel nulla i doveri verso i figli, anche verso i figli procreati nel cosiddetto secondo «matrimonio». I doveri vanno rispettati. Caso per caso bisognerà valutare come. Queste questioni non possono, però, essere erette a giustificazione del disordine morale. Tutti abbiamo il dovere di correggerci. L’unico modo di correggerci in questi casi è quello di abbandonare innanzitutto l’errore, assumendo tutte le responsabilità.

La Chiesa non può legittimare ciò che è contro l’ordine naturale e, quindi, contro la volontà di Dio. Gesù Cristo chiede, infatti, all’adultera di «non peccare più» (Gv. 8, 1-11); di abbandonare la sua situazione di peccato e di disordine. Questo abbandono è condizione del perdono. La misericordia postula, infatti, innanzitutto la conversione. Quando, dunque, si parla di «irreversibilità» è necessario precisare che cosa è irreversibile per non rendere tale il peccato. Se la Chiesa cercasse di rendere irreversibile il peccato tradirebbe la sua missione; si farebbe strumento di Satana, non di Dio; non sarebbe né madre né maestra. Essa non è chiamata a «giustificare» quanto accade nella storia ma a «giudicare» l’accaduto e la storia. In altre parole essa non può e non deve farsi discepola del «mondo», ma deve essere per esso luce e guida.

 

4) La questione del male e del peccato come possibili percorsi per il bene.

 

L’«Instrumentum laboris» n. 2 insiste nel proporre un orientamento già emerso nella Relatio Synodi, secondo il quale la Chiesa dovrebbe dotarsi di una nuova pastorale per i divorziati «risposati» e per i conviventi. Si tratterebbe di «cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze» (n. 98). In altre parole si tratterebbe di scoprire i germi «del Verbo che vi si trovano nascosti, per valorizzarli, fino alla pienezza dell’unione sacramentale» (n. 99). Dunque, anche il disordine morale sarebbe caratterizzato da elementi di bene, che andrebbero individuati. Anche il male, perciò, dovrebbe essere connotato come bene.

Al fondo di simili affermazioni sta la tesi gnostica, per la quale il male sarebbe un «momento» del bene, a questo necessario, Il pensiero gnostico moderno e contemporaneo riuscirebbe, così, in un intento che l’esperienza rivela impossibile: l’eliminazione del problema del male. Non è facile per l’uomo comune e ancor meno per il cristiano comprendere come l’adulterio possa essere un bene, sia pure germinale.

Nel caso dei divorziati «risposati» non si tratta di un matrimonio civile, cioè «naturale». Il «matrimonio» dei divorziati «risposati» è un non-matrimonio, vale a dire un matrimonio impossibile. È un «matrimonio» arbitrariamente ed assurdamente definito tale. Del matrimonio, perciò, non presenta e non può presentare elementi. Sul piano morale questo «matrimonio» presenta caratteristiche di male più gravi delle convivenze fra persone eterosessuali libere da vincoli e da obbligazioni. Nemmeno queste, comunque, presentano «germi del Verbo», perché rappresentano de facto il rifiuto del matrimonio senza, però, l’aggravante dell’infedeltà, del tradimento, del misconoscimento di obbligazioni naturali liberamente contratte.

 

5) Appunto conclusivo.

 

L’«Instrumentum laboris» n. 2 rivela una singolare concezione della morale sia per quel che attiene alle persone divorziate ma non risposate (n. 118) sia per quel che attiene ai divorziati «risposati» che vivono in continenza (n. 119). Per quel che attiene alle persone divorziate non risposate l’«Instrumentum laboris» n. 2 non opera alcuna distinzione. Non distingue, per esempio, tra divorzio subito e divorzio consensuale e/o richiesto. Il divorzio è sempre un male. Mai va accettato, nemmeno in condizioni limite. L’unico rimedio a un matrimonio fallito è la separazione cui, comunque, si può moralmente ricorrere solamente nei casi veramente limite. Quindi le persone divorziate possono avere responsabilità morali che vanno valutate.

Per quel che attiene ai divorziati risposati» va rilevato che, oltre alla valutazione della questione divorzio, il fatto di essere «risposati» è una colpa non lieve anche se si trovano a vivere in continenza. Questi non possono accedere ai sacramenti, perché, oggettivamente parlando, vivono in uno stato di peccato e di peccato pubblico. Ci sembra, pertanto, molto grave il suggerimento che fa seguito alla «catechesi telefonica» recentemente inaugurata, secondo la quale questi cristiani potrebbero accostarsi ai sacramenti anche se dovrebbero farlo in un luogo in cui non sia nota la loro condizione (n. 119).

La morale è una «cosa» seria,troppo seria per essere lasciata nelle mani di chi erroneamente si reputa suo signore. Nemmeno il Papa può cambiare l’ordine delle cose. Nemmeno lui è signore della morale.

 

 

Instaurare omnia in Cristo, Anno XLIV, n. 2, maggio agosto 2015
 
 
 
 

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