di Tommaso Scandroglio
C’è un male con parvenza di cattolicità. In altre parole, si prende una condotta iniqua come l’aborto, la fecondazione artificiale, la contraccezione, le convivenze, il “matrimonio” gay, e la si spaccia come buona. Basta presentarla dietro le fumose cortine dei principi evangelicamente ispirati e parole come “pietà”, “libertà”, “accoglienza” diventano passepartout per aprire porte che danno solo sull’Inferno. Un’altra porta simile è stata aperta giovedì scorso in Senato. Presso la Sala Zuccari si è svolto l’incontro “I doveri della medicina, i diritti del paziente”, evento organizzato dal “Cortile dei Gentili”, la Fondazione che – come si legge nel suo statuto - mira alla «promozione del dialogo tra credenti e non credenti», ente voluto dal Pontificio Consiglio della Cultura (presidente il cardinale Gianfranco Ravasi), il quale Pontificio Consiglio nomina i consiglieri della stessa Fondazione.
Il dialogo, dunque. Ben venga il dialogo se è finalizzato non a trovare un punto di compromesso sulla verità, bensì a persuadere il non credente a convertirsi. Il dialogo è mezzo, non fine. Ma giovedì scorso, come spesso capita quando ci si mette a dialogare, è accaduto l’opposto. I credenti hanno ceduto un altro pezzo della sana dottrina ai laicisti e sono emigrati – come poveri siriani in fuga - dalla loro parte. All’incontro hanno partecipato laici e non quali il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, il cardinale Gianfranco Ravasi, il presidente della Fondazione Giuliano Amato, il senatore Luigi Manconi, e altri relatori come i docenti universitari Paolo Zatti, Laura Palazzani, la ricercatrice Elena Cattaneo, il padre Laurent Mazas e il medico Alberto Giannini.
Il Comitato scientifico del “Cortile dei Gentili” in questa occasione ha presentato un documento che ha questo titolo: “Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita”. Un giro di parole per dire una cosa semplice: sì all’eutanasia. Queste linee propositive sono offerte, così spiegano gli organizzatori, all’attenzione dei politici perché rimettano mano alle nostre leggi che ad oggi concepiscono la vita come un bene indisponibile. Il documento si apre con la classica dichiarazione rassicurante che si trova sempre in capo alle leggi intrinsecamente malvagie: «rimangono estranee alla presente proposta opzioni etiche e giuridiche di tipo eutanasico». Vedremo tra un attimo che questa frase suona uguale uguale a quella del lupo cattivo rivolta a Cappuccetto rosso quando la rassicurò sul fatto di essere la sua nonnina.
Vediamo i punti salienti di queste linee che vorrebbero essere la struttura portante di una futura legge su fine vita. Al punto 1.3 abbiamo già un primo impercettibile scivolamento verso la fossa. La «cura appropriata» sarebbe quella che, oltre a parametri oggettivi scientifici, deve soddisfare «l’esigenza di sintonia con il sentire del paziente in merito al proprio bene […] nel rispetto dell’identità della persona». L’indicazione è fuorviante perché il sentire del paziente deve essere sì tenuto in considerazione, ma non può essere vincolante, un assoluto etico o giuridico. Quanti pazienti si sentono demotivati di fronte alle cure, hanno percezioni erronee sul proprio quadro clinico e sul suo sviluppo futuro, si scoraggiano e cedono alla depressione? Se il medico dovesse attenersi solo all’intimo sentire del paziente, alle scelte dettate dai suoi umbratili stati d’animo e non tentare di persuaderlo e di stimolarlo positivamente, scadrebbe immediatamente nell’abbandono terapeutico.
In merito poi al rispetto dell’identità della persona: fino a ieri la Chiesa parlava di rispetto della dignità della persona e non della sua identità, dato che sono due cose ben diverse. La prima esige il rispetto dell’intima preziosità della persona e dunque comporta sempre il rifiuto dell’eutanasia. La seconda chiede il rispetto – come si legge nel documento - «per le sue credenze, convinzioni e preferenze». Quindi se Tizio, testimone di Geova, perde conoscenza a seguito di un incidente e abbisogna di una trasfusione, il medico, secondo queste linee guida, potrebbe legittimamente astenersi dal fargli tale trasfusione presupponendo un suo rifiuto a motivo della sua credenza religiosa.
Ma queste sono inezie. Il piatto forte viene dopo. In queste linee propositive si inseriscono tre strumenti che portano dritti dritti all’eutanasia. Il primo è una para-dichiarazione anticipata di trattamento che si chiama “Pianificazione condivisa di cure”. Il paziente e il medico si mettono d’accordo sul piano terapeutico. Il medico, una volta che tale piano è stato stabilito, si deve attenere a esso anche in futuro ed «anche oltre una sua [del paziente] perdita di capacità». Quindi Tizio potrebbe dire al medico: «Se ho un infarto e perdo conoscenza, non rianimatemi»; oppure : «Se entro in coma rifiuto qualsiasi trattamento terapeutico, anche quelli salvavita». E il medico dovrebbe obbedire a tale mandato provocando così la morte per eutanasia omissiva.
Ma questa è una disposizione illegittima dal punto di vista giuridico (per tacer dell’etica). Infatti, a oggi secondo il nostro ordinamento giuridico, il rifiuto di trattamenti può essere solo formale ed attuale. Unicamente il paziente vigile e in sé può legittimamente dal punto di vista normativo dire no a trattamenti terapeutici imminenti. Tale è la ratio della disciplina del consenso informato: non è valida la decisione presa allora per ora. Questo per rispettare la libertà della persona la quale può sempre cambiare idea. Stessa pecca si rinviene, e in modo ancor più marcato, nel secondo strumento di morte elaborato dal “Cortile dei Gentili”: le famigerate Dichiarazioni anticipate di trattamento in cui un paziente può decidere adesso e per iscritto quali cure rifiutare in futuro nel caso in cui non sia più cosciente. Sono uno strumento di morte perché cristallizzano la volontà del paziente nel passato, un passato che può essere molto diverso dal punto di vista clinico, fisico e psicologico rispetto al presente in cui si trova ad operare il medico. E così Tizio potrebbe esprimere nelle Dat un rifiuto per cure salvavita ed il medico dovrebbe attenersi a tali disposizioni decretando la morte dello stesso.
Qualcuno potrebbe obiettare: il documento, dato che dice no all’eutanasia, esclude il rifiuto delle cure salvavita. Errato. Sono le stesse linee propositive a esplicitarlo nel capitolo dedicato al rifiuto delle cure: il rifiuto, anche espresso nelle Dat, è valido «anche là dove si tratti di cessare la lotta per il prolungamento della sopravvivenza interrompendo i trattamenti». Si potranno rifiutare quindi cure salvavita, ma anche idratazione e alimentazione che non sono trattamenti terapeutici, ma mezzi di sostentamento vitale. A dirlo sono due degli estensori del documento, il dottor Paolo Zatti e il senatore Pd Luigi Manconi: «anche idratazione e nutrizione artificiali, in quanto cure mediche e non trattamenti vitali, possono essere interrotte su rinuncia del malato o del fiduciario».
Altro strumento mortifero è l’istituzione appunto del fiduciario. Tale persona, scelta dal paziente, ha l’onere di dare attuazione alle volontà del stesso, sia a quelle scritte nelle Dat, sia quelle non scritte e quindi presunte se il paziente è un incapace. Alcuni veloci rilievi. Il fiduciario, al fine di rifiutare anche cure salvavita, potrebbe usare non solo le Dat ma anche il suo libero capriccio se il paziente non è cosciente e per ipotesi non è per nulla intenzionato a morire. E non serve che sia colpito quest’ultimo da interdizione legale. In secondo luogo studi soprattutto di area anglofila ci dicono che il fiduciario sbaglia eccome nell’interpretazione delle Dat e questo a detta degli estensori delle medesime. Inoltre il fiduciario potrebbe avere tutto l’interesse – anche economico se è successore del futuro de cuius – di provocarne la morte. Infine viene qui inserita una figura giuridica inesistente. Ad oggi per assistere le persone inabilitare, o interdette o inferme fisicamente/ psicologicamente, esistono particolari figure giuridiche: il curatore, il tutore o l’amministratore di sostegno. Quale spazio vuoto andrebbe a colmare il fiduciario? Non si sa, ma forse sarebbe un soggetto con poteri maggiori di tutti i suoi “colleghi”.
Inoltre non solo il fiduciario potrebbe portare alla tomba anzitempo il proprio assistito, ma – a detta di questo documento – anche i vari rappresentati legali degli incapaci e pure i familiari (fino a che grado di parentela non è indicato: quindi anche i prozii). Ricordiamo che per il nostro ordinamento il rifiuto attuale di cure può solo venire da parte del paziente, non è trasferibile. Il diritto alla vita e alla salute sono inalienabili. Su questo fronte come stanno oggi le cose? Attualmente il medico, di fronte ad un minore, ad un interdetto etc., deve agire nel miglior interesse del paziente, al di là di ciò che decidono rappresentanti legali e familiari i quali di certo non possono disporre della sua vita. Oltre a questo, nel documento elaborato dal “Cortile dei Gentili” c’è tutta un’ampia gamma di pazienti che, seppur non inabilitati o interdetti legalmente, potrebbe chiudere gli occhi per sempre a motivo della decisione di fiduciari e parenti. Sono le «persone non in grado o non pienamente in grado di concorrere alle decisioni», genia di uomini e donne anch’essa inesistente per il nostro ordinamento.
Ma quando una persona non è in grado di concorrere ad una decisione clinica? Chi lo decide? L’espressione è così generica che possono venire ricompresa in essa praticamente tutti, anche chi ha la testa un poco annebbiata per cattiva digestione. Che poi queste linee propositive vogliano introdurre l’eutanasia sic et simpliciter è evidente se andiamo a leggere altri due punti del documento. Nel 5.3 vi è scritto: «È possibile l’obiezione di coscienza del medico, quando l’interruzione delle cure […] esiga l’intervento del medico stesso. In questo caso il medico può sottrarsi agli atti conseguenti al rifiuto se contrari alle sue convinzioni». È come nell’aborto: come il medico nella 194 può astenersi dal commettere un omicidio avvalendosi dell’obiezione di coscienza, così deve essere prevista tale facoltà anche in questo caso. Perché anche in questo caso si tratta di un omicidio. E dunque, se non fosse eutanasia perché concedere l’obiezione di coscienza?
Poi nel capitolo «Astensione dalle cure e interruzione delle cure dal punto di vista penale» si chiede al legislatore di assicurare l’impunità al medico che provoca la morte del paziente, segno evidente che si vuole cancellare l’art. 579 del codice penale che sanziona l’omicidio del consenziente. Ricordiamo che a oggi il medico ha il dovere, ex art. 40 cp, di curare e se possibile di salvare il paziente. Qui si vuole cambiare tale obbligo in mera facoltà. E meno male che nello statuto della Fondazione “Cortile dei Gentili” si legge che questa tende a “supportare […] le attività […] ispirate ai principi della Carità cristiana”. Un po’ di secoli fa Tommaso D’Aquino scriveva la “Somma contro i Gentili” - oggi diremmo “contro i laici” - per affossare le loro tesi erronee. A distanza di quasi 800 anni ci troviamo, per colpa di alcuni sedicenti cattolici, i gentili e i loro errori in casa nostra. Anzi, nel cortile di casa nostra.
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