martedì 15 settembre 2015

Vietato chiamarlo divorzio. Ma quanto gli somiglia


                






La riforma dei processi matrimoniali voluta da papa Francesco moltiplicherà da poche migliaia a molti milioni le sentenze di nullità. Ottenibili con grande facilità anche in soli 45 giorni. Il sinodo sulla famiglia si aprirà in ottobre a cose fatte



  

di Sandro Magister

ROMA, 15 settembre 2015 – Col passare dei giorni si fa sempre più palese la portata rivoluzionaria dei due motu proprio pubblicati l'8 settembre da papa Francesco – il secondo per le Chiese cattoliche di rito orientale – sulla riforma dei processi di nullità matrimoniale:

> Lettera apostolica "Mitis Iudex Dominus Iesus"

> Lettera apostolica "Mitis et Misericors Iesus"

È il papa in persona, nell'esordio del documento, a dire il movente della riforma:

"L'enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa".

Nella presentazione ufficiale dei motu proprio, il presidente della commissione che ha elaborato la riforma, monsignor Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana, ha trasformato il movente in un traguardo:

"Passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità ma sono lasciati fuori dal vigente sistema".

Francesco è da tempo arciconvinto che almeno la metà dei matrimoni celebrati in chiesa in tutto il mondo siano invalidi. L'ha detto nella conferenza stampa del 28 luglio 2013 sull'aereo di ritorno da Rio de Janeiro. L'ha ridetto al cardinale Walter Kasper, come questi ha riferito nell'intervista a "Commonweal" del 7 maggio 2014.

E dunque anche questi fedeli inesauditi nell'attesa di veder riconosciuta la nullità del loro matrimonio fanno parte, nella visione di Francesco esplicitata da Pinto, di quei "poveri" che sono al centro del suo pontificato. Milioni e milioni di "infelici" in attesa di un soccorso che è loro dovuto.

La riforma processuale voluta da Jorge Mario Bergoglio mira proprio a questo: consentire a queste folle sterminate di accedere con facilità, con rapidità, con gratuità al riconoscimento di nullità dei loro matrimoni. Il sinodo dello scorso ottobre (si veda il paragrafo 48 della "Relatio" finale) si era espresso genericamente a favore di migliorie dei processi. Ma un buon numero di padri si era detto contrario all'una o all'altra delle riforme da varie parti proposte. Che invece sono proprio quelle che ora si ritrovano nei motu proprio.


IL PROCESSO ORDINARIO


Sono principalmente due i tipi di processo matrimoniale che la riforma delinea. Quello ordinario e quello – nuovissimo – detto "più breve".

Nel processo ordinario la novità principale è l'abolizione dell'obbligatorietà della doppia sentenza di nullità. Ne basterà una sola, come già si era consentito in via sperimentale, tra il 1971 e il 1983, ai tribunali ecclesiastici degli Stati Uniti, salvo poi revocare tale concessione a motivo delle nullità a pioggia rilasciate da quei tribunali e della cattiva fama di "divorzio cattolico" che ne era derivata.

Una sola sentenza, senza l'appello, comporta la riduzione a circa un anno della durata di un processo ordinario.

I tribunali ecclesiastici, inoltre, dovranno essere eretti in ogni diocesi del mondo, anche piccola e remota, obiettivo da cui la Chiesa cattolica è oggi lontanissima, principalmente per la carenza di ecclesiastici e di laici esperti in diritto canonico.

C'è però un'ulteriore innovazione più di sostanza, espressa dal nuovo canone 1678 § 1 che andrà a sostituire il corrispondente canone 1536 § 2 del vigente codice di diritto canonico.

Mentre nel canone in via di abbandono "non si può attribuire forza di prova piena" alle dichiarazioni delle parti, a meno che "si aggiungano altri elementi ad avvalorarle in modo definitivo", nel nuovo canone "le dichiarazioni delle parti possono avere valore di prova piena", da valutarsi come tali dal giudice "se non vi siano altri elementi che le confutino".

Si scorge in ciò un'esaltazione della soggettività di colui che fa causa che ben si sposa con quanto detto nella presentazione ufficiale dei due motu proprio sia da monsignor Pinto sia dal segretario della commissione da lui presieduta, monsignor Alejandro W. Bunge, a proposito del "motivo precipuo" che a loro giudizio spinge tanti cattolici – in futuro una "massa" – a rivolgersi ai tribunali matrimoniali:

"La nullità è chiesta per motivi di coscienza, per esempio vivere i sacramenti della Chiesa o perfezionare un nuovo vincolo stabile e felice, a differenza del primo".

È quindi facile prevedere che l'annosa controversia sulla comunione ai divorziati risposati sarà superata dai fatti, sostituita dal ricorso illimitato e praticamente infallibile alla certificazione di nullità del primo matrimonio.


IL PROCESSO "PIÙ BREVE"


La maggiore novità della riforma voluta da Francesco è comunque il processo detto "più breve".

Anzi, brevissimo. A norma dei nuovi canoni può cominciare e finire nel giro di soli 45 giorni, con il vescovo del luogo come giudice ultimo ed unico.

Il ricorso a tale procedura abbreviata è consentito "nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti".

Ma c'è di più. Il ricorso a questo tipo di processo è non solo consentito ma incoraggiato, vista la sovrabbondante esemplificazione di circostanze incentivanti fornita dall'articolo 14 § 1 delle "Regole procedurali" annesse al motu proprio.

Dice letteralmente tale articolo:

"Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve […] si annoverano per esempio:
- quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà,
- la brevità della convivenza coniugale,
- l’aborto procurato per impedire la procreazione,
- l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo,
- l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione,
- la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna,
- la violenza fisica inferta per estorcere il consenso,
- la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.".

La lista stupisce per quanto è eterogenea. Comprende circostanze, come la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, che sono effettiva causa di nullità di un matrimonio. Ma ne comprende altre, come la brevità della convivenza coniugale, che non possono in alcun modo sorreggere una pronuncia di invalidità. E ne comprende un'altra ancora, come la mancanza di fede, che pur difficile da valutare è sempre più spesso evocata come nuovo universale passe-partout per la nullità. Eppure queste circostanze sono tutte elencate alla pari, con in più un "ecc." finale che induce ad aggiungere altri esempi a volontà.

Ma oltre che eterogenea, la lista appare equivoca. Di per sé elenca delle circostanze che semplicemente consentirebbero di accedere al processo "più breve". Ma è facilissimo che venga letta come un elenco di casi che consentono di ottenere il riconoscimento di nullità. Molte coppie hanno vissuto qualcuna delle circostanze esemplificate – ad esempio la gravidanza prima delle nozze – ed è quindi naturale che in esse sorga la convinzione che, su richiesta, il loro matrimonio possa essere sciolto, vista anche la pressione che la Chiesa esercita suggerendo – proprio in presenza di quelle circostanze – di ricorrere al processo di nullità, e addirittura a quello veloce.

Insomma, se a questo si aggiunge che in ogni diocesi dovrà funzionare un servizio preliminare di consulenza per indirizzare su questa strada chi vi è ritenuto idoneo, un siffatto processo "più breve", una volta avviato, avrebbe come esito praticamente scontato una sentenza di nullità. Cioè nell'opinione generale un divorzio, come lo stesso papa Francesco sembra presagire e temere, là dove scrive, nel proemio del motu proprio:

"Non mi è sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio".

E prosegue:

"Appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina".

Monsignor Pinto, nella presentazione ufficiale della riforma, ha però ammesso che "un vescovo con milioni di fedeli nella sua diocesi non potrebbe personalmente presiedere la decisione delle nullità di tutti i fedeli che la richiedano".

Né va trascurato che sono pochi, pochissimi i vescovi con la competenza giuridica necessaria per fare da giudici in tali processi.


COME IN ORIENTE


Improvvisata in meno di un anno e volutamente pubblicata prima che il sinodo sulla famiglia si riunisca in ottobre, la rivoluzione dei processi matrimoniali decisa da papa Francesco si rivela dunque un colosso dalle basi fragili, la cui messa in opera si prevede lunga e difficoltosa, ma che ha già prodotto effetti immediati sull'opinione pubblica dentro e fuori la Chiesa.

Di questi effetti, il principale è la convinzione diffusa che ormai anche nella Chiesa cattolica hanno trovato cittadinanza il divorzio e la benedizione delle seconde nozze.

Nella presentazione ufficiale della riforma, monsignor Dimitrios Salachas, esarca apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino, ha fatto notare quest'altra novità dei due motu proprio:

"A quanto mi risulta, è la prima volta che in un documento pontificio di indole giuridica si ricorre al principio patristico di misericordia pastorale chiamato 'oikonomia' presso gli orientali, per affrontare un problema come quello della dichiarazione di nullità del matrimonio".

Evidentemente, papa Bergoglio aveva in mente anche questo approdo, quando due anni fa disse, durante il volo da Rio de Janeiro a Roma:

"Gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità di matrimonio, lo permettono. Credo che questo problema si debba studiare".













http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351131





Nessun commento:

Posta un commento