venerdì 18 settembre 2015

La funzione della bellezza nella religione








 Pagine sempre attuali di Dietrich von Hildebrand (da Il cavallo di Troia nella città di Dio, Giovanni Volpe Editore, Roma 1969).


Nel culto, la bellezza ha una parte importante. Nell’atto stesso con cui si adora una divinità è insito il desiderio di circondare di bellezza il culto ad essa dedicato. Lo stigmatizzare (a cui di recente si sono dati, con crescente livore, alcuni cattolici) ogni preoccupazione per la bellezza nel culto religioso come un “estetismo” attesta una concezione sbagliata sia dell’adorazione di Dio, sia della bellezza. (…)

Se qualcuno non volesse andare alla Messa perché la chiesa è brutta o la musica sacra è mediocre, egli peccherebbe di estetismo perché avrebbe sostituito il punto di vista estetico a quello religioso. Però riconoscere la funzione superiore che la bellezza ha nella religione, intendere la parte legittima che essa dovrebbe avere nel culto, desiderare, come uomini religiosi, la massima bellezza in quanto è pertinente al servizio divino – tutto ciò è l’opposto dell’estetismo. Questo giusto apprezzamento della bellezza è piuttosto la conseguenza naturale della venerazione, dell’amore per Cristo, dell’atto stesso dell’adorazione.

Purtroppo oggi certi cattolici pretendono che codesto impulso a rivestire di bellezza il culto sia in contrasto con l’ideale evangelico della povertà. (…) Così ci si viene a dire che in nome della povertà evangelica le chiese dovrebbero essere semplici, nude, prive di ogni ornamento. Ma i cattolici che così pensano scambiano la povertà evangelica con la prosaicità della vita di ogni giorno del mondo moderno. Non si accorgono affatto che il sostituire alla bellezza il comfort (col lusso che spesso ad esso si unisce) è l’antitesi della povertà evangelica; più di quanto possa esserlo la bellezza in sé, perfino in sue forme vistose.

L’idea funzionalistica del superfluo è molto ambigua e un semplice derivato dell’utilitarismo. E’ in contrasto con il detto di Cristo: “L’uomo non vive di solo pane”. Ma, grazie a Dio, per secoli l’atteggiamento della Chiesa e dei suoi fedeli non è mai stato utilitaristico. San Francesco, che nella sua vita si è conformato al massimo della povertà evangelica, non ha mai preteso che le chiese debbano essere nude, squallide, prive di ogni bellezza. Al contrario, per lui la chiesa e l’altare non erano abbastanza belli. Lo stesso può dirsi, ad esempio, per il curato d’Ars e per S. Teresa di Avila.
 
(…)

Quanto è sbagliato, dunque, considerare la bellezza di una chiesa e della liturgia come cosa che può distrarre dal vero tema dei misteri liturgici portando verso alcunché di superficiale! Coloro che proclamano che una chiesa non è un museo e che l’uomo veramente devoto resta indifferente di fronte a tutte queste cose non essenziali dimostra una cecità per la parte importante e significativa che ha ogni espressione bella e adeguata. Nel fondo di idee del genere si trova anche una incomprensione per la natura umana… Dimenticano che la bellezza autentica contiene un particolare messaggio di Dio tale da innalzare l’anima umana.

La bellezza e l’atmosfera sacra della liturgia non solamente in quanto tali sono qualcosa di valido e di prezioso (come espressioni adeguate dell’atto dell’adorazione religiosa) ma hanno anche una grande importanza per lo sviluppo interiore del fedele… I fedeli non vengono condotti nel mondo di Cristo soltanto dalla fede e da simboli veri e propri, ma sono portati in un mondo superiore anche dalla bellezza della chiesa, dalla sua atmosfera sacra, dallo splendore degli altari, dal ritmo dei testi liturgici, dalla sublimità del canto gregoriano o di ogni altra musica veramente sacra. L’usare tutte le vie atte a condurre verso la santità è qualcosa di profondamente realistico e di profondamente cattolico. (…)

Si dimostra tanto una presunzione quanto una fiducia ridicola in se stessi se si crede che si possano abbandonare queste forme tradizionali e sostituirle con qualcosa di migliore. Specie in coloro che accusano la Chiesa di “trionfalismo” l’albagia si unisce all’incoerenza. Per un lato, costoro vedono nella pretesa della Chiesa di possedere essa sola la rivelazione divina completa una mancanza di umiltà (invece di riconoscere che tale pretesa si fonda sull’essenza stessa della Chiesa e deriva dalla sua missione divina). Dall’altro lato, essi fanno mostra di una superbia ridicola col ritenere che l’epoca moderna sia superiore a tutte le altre che l’hanno preceduta.
 
 

a cura di Marco Massignan
http://radiospada.org/2014/09/la-funzione-della-bellezza-nella-religione/
 
 
 
 
 

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