di Enrico Cattaneo*
In tutto il grande dibattito che si sta facendo sui “temi etici”, mi pare che - paradossalmente - sia dato poco spazio alla morale. Eppure dovrebbe essere compito dei pastori indicare dove c'è "peccato", cioè offesa a Dio, attraverso una violazione consapevole della sua Legge (o Parola).
Se non se ne parla mai, la gente finisce per pensare che "non c'è peccato". Per venire al concreto e a questioni all’ordine del giorno, fare una 'donazione' di sperma è o non è contro la morale? Se è una buona azione, incoraggiamola; ma se è peccato, perché non lo si dice? Così dare gli ovuli. La fecondazione in provetta (omologa o eterologa) è o non è contro la morale? Mi pare di aver letto di recente da parte di un esponente cattolico che la fecondazione omologa "non pone problemi etici". Forse è questo quello che ormai pensa la maggioranza dei cattolici. Lo stesso vale per tanti altri temi (vedi contraccezione, rapporti sessuali fuori del matrimonio, rapporti contro natura, ecc.), dove il silenzio dei pastori induce la gente a pensare che al massimo ci siano controindicazioni per la salute, ma non problemi morali.
Ma davvero la masturbazione con cui si preleva il seme maschile non pone problemi morali? Che io sappia nessuno ancora l’ha tolta dalla lista dei peccati contro il sesto comandamento. Così per quanto riguarda l'aborto, bisognerebbe ricordare che incorre nel peccato (gravissimo, che comporta la scomunica) non solo chi lo chiede, ma anche chi lo consiglia, oltre evidentemente al medico che lo attua. Così se una donna decide di abortire e il marito è d'accordo, peccano entrambi, e quindi si deve confessare non solo la donna, ma anche il marito. Vorrei chiedere ai confessori se hanno mai trovato un uomo che si è accusato di avere spinto una donna ad abortire.
È vero, bisognerebbe fare una lista dei “nuovi peccati”. Lo dico provocatoriamente. Ma fare un chiaro discorso morale non significa far aumentare il senso di colpa, bensì educare la coscienza al senso del peccato. Il senso di colpa è deleterio, perché ti obbliga a prendertela con te stesso e ti autodistrugge. Il senso del peccato invece ti pone di fronte a Dio, che è misericordioso, e quindi se ti affidi a Lui, ritrovi il perdono e la pace, la forza di riparare il male fatto e di ricominciare sulla via del bene.
Si ha l'impressione che, se è vero che la Chiesa è un "ospedale da campo", i medici addetti a questo ospedale abbiano deciso di non rivelare le malattie gravi, che portano alla morte del paziente, ma di dare solo qualche palliativo. Papa Francesco ha detto una volta che la Chiesa non è una ONG
(Organizzazione non Governativa) che si occupa di distribuire cibo, medicine, ecc. Ma non deve neppure ridursi a essere un "Centro di benessere", sia pure spirituale.
La missione della Chiesa non è far star bene la gente. Certo, la Chiesa è contenta quando la gente vive in pace, ha un lavoro, un'istruzione, le cure mediche, ecc. ma non è questa la sua specifica missione. Le opere di misericordia (corporale e spirituale) sono i cristiani che le hanno inventate. Ciò significa che la fede ha certamente un valore sociale, perché insegna a vivere secondo la giustizia dei comandamenti, a non fare nessun male al prossimo e a impegnarsi nella solidarietà. Perciò quando si organizza la vita secondo la fede cristiana una società vive meglio, si stabilisce la concordia e la collaborazione fra i cittadini e si custodisce la pace, che è un bene comune per i singoli e per i popoli.
Tuttavia la missione della Chiesa, che è la stessa di Gesù, non è quella di rendere la gente felice su questa terra, ma soprattutto di insegnare quello che ci aspetta dopo questa vita, nell'aldilà: una vita felice con Dio oppure una eternità disperata senza Dio. La liturgia ci invita continuamente nelle sue preghiere ad essere orientati verso "i beni eterni"; ma ormai queste parole ci scivolano addosso come degli stereotipi senza più un reale significato. Il mondo secolarizzato, nel quale siamo immersi, evita accuratamente di occuparsi dell'aldilà. È un tema che dà fastidio. Per quelli poi che fanno professione di ateismo, il problema non si pone neppure, perché, secondo loro, dopo questa vita non c'è nulla (ma come lo sanno?). Anzi, costoro accusano il popolo cristiano, quello che ancora si preoccupa della salvezza della propria anima, di avere un comportamento interessato, e quindi, tutto sommato, ipocrita, meschino. Non ci si rende conto che la “salvezza” offerta dalla fede non è un bene materiale, ma spirituale e personale.
L’inferno, di cui parla anche papa Francesco, è rovinare se stessi, distruggere la parte migliore di sé e sprofondare nel non senso; è finire nella prigione dell’egoismo, in cui non amo nessuno e non sono amato da nessuno, odio e sono odiato da tutti. Questa è la perdizione eterna che dobbiamo evitare.
Il paradiso invece è la realizzazione di se stessi nella verità e nel bene, è realizzarsi nell’amore come persona amata e amante. Infatti non le cose, ma l’amore rende felici, perciò tutti possono raggiungere questa felicità, perché tutti possono amare o imparare ad amare seguendo Cristo. Così la fede cristiana offre a tutti la felicità; non una felicità individualistica, ma sociale, perché l’amore è interpersonale, e la felicità è tanto più grande quanto più sono le persone che amo e mi amano.
Questa è la “buona notizia” che i cristiani hanno ricevuto e vogliono comunicare agli altri. Ma perché questo discorso non rimanga fatto solo di buone parole, abbiamo bisogno di educare la coscienza morale, che ci insegna dov’è il bene da fare e il male da evitare.
*Gesuita, ordinario di Patrologia e Teologia fondamentale alla Facoltà di Teologia dell'Italia meridionale (sez. San Luigi), membro del Comitato scientifico di "Rassegna di Teologia".
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