martedì 15 aprile 2014

Gaudio e dolori del magistero di Francesco




La novità di metodo della "Evangelii gaudium" spiegata da un teologo australiano. Ma non sempre il papa è interpretato correttamente. Nemmeno dal direttore de "La Civiltà Cattolica". Il caso emblematico del battesimo di Córdoba 




di Sandro Magister

ROMA, 15 aprile 2014 – Dai capidicastero della curia romana, da lui chiamati a rapporto all'inizio di questo mese di aprile, papa Francesco ha voluto ascoltare una sola cosa, così riassunta nel comunicato ufficiale: "le riflessioni e le reazioni suscitate nei diversi dicasteri dall’esortazione apostolica 'Evangelii gaudium' e le prospettive che si aprono per la sua implementazione".

Che la "Evangelii gaudium" sia effettivamente la carta programmatica del pontificato di Jorge Mario Bergoglio è ormai al di là di ogni dubbio.

Ma proprio per questo la sua comprensione è importante. Ed è nello stesso tempo difficile. Perché la forma in cui la "Evangelii gaudium" è scritta non è affatto conforme ai canoni classici del magistero ecclesiastico, così come non lo è il quotidiano discorrere pubblico di papa Francesco.

Nel saggio pubblicato in esclusiva più sotto, Paul-Anthony McGavin sostiene che Francesco rifugge dalle astrazioni, mette al bando quelli che chiama i "freddi sillogismi", ama invece un pensiero e un'azione "olistici", cioè globali. E mostra come proprio questa sia la novità di metodo della "Evangelii gaudium".

McGavin, australiano, 70 anni, è sacerdote della diocesi di Canberra e Goulburn e assistente ecclesiastico all'Università di Canberra. Nel 2010 pubblicò su "L'Osservatore Romano" un commento altrettanto ampio e approfondito all'enciclica "Caritas in veritate" di Benedetto XVI.

In papa Francesco – scrive McGavin – "incontriamo una mentalità radicata nell'empirismo pastorale, che integra le circostanze concrete dentro una comprensione strutturata e fondamentale del Vangelo".

Ma lo stesso McGavin riconosce che questa mentalità "non frammentata" espone il papa a notevoli rischi di fraintendimento. Specie quando alcune sue affermazioni sono assunte dai media come aforismi a sé stanti e trasformate in chiavi interpretative globali dell'attuale pontificato.

Due esempi recenti sono prova di questo fraintendimento.

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Nell'arco di 36 ore, tra giovedì 10 e venerdì 11 aprile, papa Francesco si è anzitutto scagliato – e non è la prima volta – contro "la dittatura del pensiero unico" che sopprime "la libertà dei popoli, della gente, delle coscienze".

Poi ha difeso con forza "il diritto dei bambini a crescere in una famiglia con una papà e una mamma, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, così preparando la maturità affettiva".

Poi ancora ha espresso giudizi durissimi contro "gli orrori della manipolazione educativa" che "con pretesa di modernità spinge i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico". Ed ha aggiunto la testimonianza di un "grande educatore" che gli aveva detto pochi giorni prima: "A volte non si sa se con questi progetti – riferendosi a progetti concreti di educazione – si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione".

E infine ha ribadito la contrarietà all'uccisione di ogni "nascituro nel seno materno", citando il lapidario giudizio del Concilio Vaticano II: "L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli".

I riferimenti a fatti, a leggi, a sentenze giudiziarie, a campagne d'opinione riconducibili all'ideologia del "gender", entrati nelle cronache recenti in Italia, in Francia e in altri paesi, erano trasparenti nelle parole di papa Francesco.

Ma nei media, in generale, questi suoi moniti hanno avuto un impatto praticamente nullo. Come fossero pura astrazione, ininfluente sulla realtà e aliena da qualsiasi giudizio. Perché la chiave di spiegazione di tutto – nella narrazione che i media fanno di papa Francesco – è ormai diventato il "chi sono io per giudicare?" detto dallo stesso papa una prima volta nella conferenza stampa sull'aereo di ritorno da Rio de Janeiro e una seconda volta nell'intervista a "La Civiltà Cattolica", con riferimento all'omosessuale "che cerca il Signore e ha buona volontà".

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Il secondo esempio mostra come un uso distorto ed estensivo del "chi sono io per giudicare?" ha fatto breccia anche dentro la Chiesa e persino in chi dovrebbe essere interprete affidabile del pensiero di papa Francesco.

Il 1 aprile, in un'affollata conferenza pubblica a Roma, il direttore de "La Civiltà Cattolica" e intervistatore del papa, padre Antonio Spadaro, ha detto testualmente:

"Se non ci fosse stato papa Francesco non sarebbe stato facile battezzare una bambina nata da una coppia lesbica".

Il gesuita si riferiva al battesimo annunciato con grande risalto e poi effettivamente amministrato il 5 aprile in Argentina, nella cattedrale di Córdoba, della figlioletta di una donna unita in "matrimonio" civile con un'altra donna, entrambe presenti al rito come "madri" e assistite come "madrina" dalla presidente Cristina Kirchner.

Ma se questa, secondo padre Spadaro, era la felice novità propiziata da papa Francesco, va detto che non c'è nulla di nuovo ma molto di antico e di tradizionale nel battesimo di una neonata, comunque venuta al mondo. Sono soltanto talune correnti cattoliche progressiste e anticostantiniane ad essere contrarie alla pratica plurisecolare del battesimo dei bambini.

La novità, per la Chiesa, era invece in tutto il resto della reclamizzatissima cerimonia di Córdoba. Dove tutto – dalla innaturale "famiglia", alle due "madri", alla "madrina" Kirchner attiva promotrice della legge che ha consentito alle due di unirsi in "matrimonio", al nascosto padre biologico della neonata – diceva piena sottomissione proprio a quel "pensiero unico" tanto avversato da papa Francesco.

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CHE COSA C'È DI NUOVO NELLA "EVANGELII GAUDIUM"?


di Paul-Anthony McGavin



Papa Francesco ha attratto su di sé la grande attenzione dei media grazie a battute e interviste in stile colloquiale. La stampa popolare ha per lo più elogiato le sue dichiarazioni, ha ascoltato ciò che vuole ascoltare, ha diffuso ciò che vuole ascoltare, e ha omesso di ascoltare il suo motto ricorrente: "Io sono figlio della Chiesa".

"Evangelii gaudium" è la prima ampia e approfondita messa per iscritto di molto di ciò che il Santo Padre ha detto oralmente. Io qui mi propongo di mostrare che la novità della "Evangelii gaudium" si trova in quello che chiamo il metodo, la maniera di pensare e di ragionare.

Papa Francesco non si presenta come uno studioso, e le sue battute colloquiali sono spesso di un linguaggio piuttosto sbrigativo. Nonostante ciò, nella "Evangelii gaudium" si fa evidente la sua intellettualità raffinata. Il suo modo di pensare è sofisticato e segue un metodo, una metodologia precisa che è appunto quella della "Evangelii gaudium". Questo metodo non è nuovo. La novità sta invece nella semplicità e chiarezza con cui lo presenta.

Il paradosso è che questo metodo è semplice e complesso allo stesso tempo.

Semplice perché diretto. Semplice a causa dei continui riferimenti a situazioni concrete e dell'assenza di astrazioni che possono applicarsi a tante situazioni diverse.

Ma questo metodo è anche complesso perché si colloca in un intreccio di interpretazioni. Le battute del papa sbocciano infatti da una mentalità che concepisce un nesso di interpretazioni e non delle argomentazioni unidirezionali basate sulla mentalità della logica sillogistica. Papa Francesco è un pensatore che ragiona in termini di sistema.

La formula "di sistema" potrebbe sembrare astrusa, quando papa Francesco non lo è affatto. Detto in altri termini, papa Francesco è un pensatore "olistico". Tende a porre i temi che affronta nel quadro di una comprensione globale dell'opera di Dio in Cristo (il Vangelo, "Evangelium") e a situare la comprensione globale nella varietà delle situazioni evocate, vale a dire nelle circostanze concrete in cui egli sta considerando l'accoglienza e la messa in pratica di ciò che Dio ha fatto e sta facendo nella Chiesa. Il suo pensare è sempre pastoralmente situato, mai astratto. Allo stesso tempo però egli esamina i problemi che richiedono più attenzione in un modo integrale che è complesso.

Eccone un esempio nella "Evangelii gaudium":

"Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza" (n. 231).

Uno potrebbe ritrovarsi bloccato dall'ampio elenco di esempi che conclude questo brano, un vasto elenco che comprende delle questioni scottanti per molti lettori. Ma la nostra attenzione dovrebbe concentrarsi sulla distinzione tra idea e realtà.

Il papa sostiene che un'idea si costruisce o si "elabora", mentre una realtà semplicemente "è". In senso stretto questa dicotomia è discutibile, perché il soggetto deve concentrare l'attenzione sulle "realtà", deve utilizzare un'epistemologia capace di comprendere la "realtà", ma deve anche utilizzare un'epistemologia per conferire una forma ideale a qualcosa di noetico, alle "idee". Ma l'introduzione di tali problemi strettamente filosofici e psicologici svierebbe l'attenzione dal punto focale del papa.

Il suo punto focale è che c'è una tensione tra il mondo concettuale e il mondo concreto, e che questa tensione ci invita al dialogo. Questo è un esempio di ciò che ho definito al tempo stesso semplice e complesso. Le persone capiscono facilmente che spesso esiste uno stacco tra il mondo delle idee e il mondo delle realtà. Detta così, questa proposizione è semplice. Ma una volta attualizzata, questa prospettiva porta alla complessità. Potrebbe essere la complessità del conflitto, o dei percorsi verso la sua risoluzione. È questa seconda possibilità che il papa propone. Egli propone un dialogo che è tipicamente complesso e radicato nelle culture.

Si pensi alla complessità dello sforzo di moderare la posizione di chi ha costruito un ascetismo disincarnato (i "purismi angelicati"); o di moderare la posizione di chi vede tutto l'ordine morale come auto-definito (i "totalitarismi del relativo"); o di moderare la posizione di chi si pone fuori della comprensione storica della provvidenza di Dio nel mondo (i "fondamentalismi antistorici"), per citare solo tre degli esempi fatti dal papa.

Il papa si mette dalla parte delle "realtà", quando dice che "la realtà è più importante dell'idea". Questa affermazione è apparentemente in conflitto con la sua enfasi sulla tensione e sul dialogo. Ma non è propriamente un allontanarsi dai principi della tensione e del dialogo. È invece un approccio che parte dal Vangelo come radicato anzitutto nelle "realtà", anziché nelle "idee".

Il Vangelo presenta anzitutto le "realtà" – i fatti – dell'incarnazione del Signore, la sua vita terrena, la sua passione, la sua resurrezione, la sua ascensione. In altre parole, il Vangelo presenta anzitutto i fatti dell'azione di Dio in Cristo. "Egli è risorto!" non è per prima cosa la proclamazione di un'idea, ma di un fatto, di un fatto di cui si è fatta esperienza (n. 7, citando "Deus caritas est", 217).  Il Vangelo è fondato sulla testimonianza: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita" (1 Giovanni 1, 1). La potenza straordinaria dell'idea cristiana è di dare voce alla realtà di gesti storici incontrati dai testimoni.

È la "realtà" che precede le "idee" lo schema cristiano delle cose. Per il cristiano – utilizzando solo tre dei esempi del papa – il peccato è una realtà; la salvezza in Cristo è una realtà; le ingiustizie sono una realtà (certo, molti erroneamente pensano alle ingiustizie più percepite che oggettive, ma qui non entro in questa discussione); le scortesie sono una realtà (anche se certe sensibilità errate possono attribuire scortesia ingiustamente). In ciascuno di questi tre esempi si può scorgere il pericolo di un distacco dal realismo empirico dei concetti di peccato, di ingiustizia, di scortesia: "È pericoloso vivere nel regno della sola parola…" (n. 231).

Queste succinte affermazioni del papa si collocano in una prospettiva globale, in una prospettiva olistica sorretta da una esperienza essenziale e da una valorizzazione del Vangelo. È una prospettiva semplice e complessa allo stesso tempo. È una prospettiva che sfocia nel dialogo. È una prospettiva che smaschera le congetture di vario tipo (congetture sia di un artificio di religiosità sia di un relativismo umanistico). "Evitare diverse forme di occultamento della realtà" (n. 231) potrebbe sembrare un'espressione piuttosto dura, e qui passo all'immagine non-testuale del linguaggio corporeo di papa Francesco (n. 140): la sua posizione del corpo non è quasi mai chiusa, è sempre aperta; il suo tipico gesto è verso un incontro, verso una conversazione, un dialogo. Tornando all'aspetto testuale, è un dialogo di sincerità, una sincerità che incontra il realismo.

In questo esempio si vede che il modo di pensare e di agire del Santo Padre non é quello che io chiamo unidirezionale. Non gli interessano le proposte unidirezionali (i "freddi sillogismi", n. 142). La sua propensione è per un pensiero e un'azione che siano olistici: verso una comprensione globale del Vangelo e verso il radicamento di questa comprensione globale nelle circostanze reali che evitano le astrazioni. Non è attratto da una "teologia da tavolino" (n. 133). Il suo istinto è per una teologia pastorale.

La teologia pastorale al centro del pensiero di papa Francesco può essere illustrata con due altre citazioni chiave:

"Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere" (n. 35). "Anzitutto bisogna dire che nell’annuncio del Vangelo è necessario che vi sia una adeguata proporzione" (n. 38).

In queste brevi citazioni vediamo di nuovo una comprensione implicitamente olistica del Vangelo; vediamo di nuovo che i significati dell'annuncio si collocano in un insieme che dà loro una proporzione. Ciò che il papa presenta emerge da una comprensione sistemica. Non si tratta di una sistematizzazione intellettualistica, ma di una comprensione sistemica radicata nell'esperienza pastorale.

Il papa può incontrare delle incomprensioni se alcune sue affermazioni (particolarmente quelle che attirano i media come "frasi ad effetto") si prendono come aforismi, perché la mentalità del papa non è frammentata. In papa Francesco incontriamo una mentalità radicata nell'empirismo pastorale, ma questo empirismo partecipa a un dialogo globale sui fondamenti della fede cattolica, che integra le circostanze concrete dentro una comprensione strutturata e fondamentale del Vangelo.

Tutto ciò non è per dire che questa integrazione sia sempre perfetta. Un'esortazione apostolica fa parte dell'insegnamento del magistero, ma non è irriformabile. Papa Francesco ha un passaporto argentino, e il suo contesto culturale è l'America Latina. E l'America Latina e il Centroamerica sono composte senza eccezioni di nazioni segnate dalla povertà e dall'instabilità politica. La sua prospettiva a questo riguardo è piuttosto "formata culturalmente": formata dall'esperienza più che dai concetti. In breve, papa Francesco non è un sociologo, e non ricava dalla sua formazione culturale una comprensione sociologica della povertà e dell'instabilità politica. Ascoltiamo da lui che la comprensione deve iniziare con "le realtà" e non con "le idee". Ma i "fatti" sono che circa un secolo fa l'Argentina e l'Australia avevano più o meno la stessa configurazione dell'economia e della società, ma oggi l'Australia è sostanzialmente più avanzata, più egualitaria e con indici di povertà relativamente bassi. Ritengo che i motivi di questa divaricazione tra l'Australia e l'Argentina (rispettivamente la mia patria e quella del papa) sono per la maggior parte "culturalì"; e sono divergenze culturali che riflettono concettualizzazioni ("idee") dell'economia e della società civile piuttosto diverse.

Non intendo qui lanciarmi in un excursus sull'economia e sulla società. Faccio queste osservazioni per sottolineare il fatto che tutte le affermazioni della "Evangelii gaudium" non si presentano con la stessa solidità. Da sociologo e anche da teologo, ho fatto ampie annotazioni a certi brani della "Evengelii gaudium" (in particolare i nn. 48-50, 144-147, 152s). Ma anche nelle sezioni da me annotate si possono trovare conferme della tesi centrale di papa Francesco. Per esempio:

"Perché complicare ciò che è così semplice [come i richiami biblici alla elemosina]? Gli apparati concettuali [così come le teorie economiche] esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa [e per diminuire l'azione diretta per alleviare la povertà]" (n. 194).

In questa rapido passaggio si può scorgere l'urgenza dell'invito del papa a una teorizzazione radicata e coerente con le precedenti osservazioni generali. Ma nel suo contesto testuale si può scorgere una visuale che non è ben informata in termini sociologici (e forse neanche in termini biblici, se la prospettiva delle parabole di Luca é presa come paradigmatica).

Ciò suggerisce che nella lettura della "Evangelii gaudium" dovremmo impegnarci in una "conversazione", in un dialogo (nn. 31, 133, 137, 142, 165). Cioè, non dovremmo prendere il testo come "l'ultima parola", ma sforzarci di entrare nelle tensioni del testo in un modo colloquiale che moderi le posizioni.

La gran parte dell'esortazione riflette le posizioni personali del papa (la sua "personalità") e la sua cultura Latino Americana (il principio del radicamento culturale è cruciale per il suo paradigma: si vedano i nn. 115, 123, 132s). I suoi lettori avranno personalità diverse e prospettive culturali diverse. L'apporto più forte della "Evangelii gaudium" è il modo con cui mette alla prova un metodo olistico che ha diverse applicazioni per vivere e comunicare la gioia del Vangelo. Si tratti di problemi dell'economia e della società in termini sociologici; o di problemi di tradizione liturgica e di espressività contemporanea; o di problemi spinosi di discernimento morale; o di problemi spinosi nel dare ragione della fede della Chiesa in situazioni particolari, sempre dobbiamo trovare sia la semplicità che la complessità, che implicano tensione e invitano a un dialogo comprensivo.

Si tratta di un richiamo alla carità, e la carità "coprirà una moltitudine di peccati" (Giacomo 5, 20). L'esortazione di papa Francesco é veramente un richiamo alla carità e alla gioia: la gioia nel Vangelo, "Evangelii gaudium".





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