mercoledì 30 aprile 2014

La leggenda di Sorella Clara



Sorella




Dunque, c’era un antico monastero in Normandia, retto da una badessa di grande sapienza. Più di cento monache pregavano, lavoravano, e servivano il Signore conducendo una vita austera, nel silenzio e nell’osservanza più rigorosa (il che non guasterebbe neppure oggi).
Un giorno, il vescovo del luogo si presentò alla porta del monastero per chiedere alla badessa di destinare una delle monache alla predicazione nel suo territorio, che aveva urgente bisogno di essere rievangelizzato. La badessa riunì il Consiglio e , dopo avere ascoltato i vari pareri espressi da religiose di lungo corso e naturalmente dopo matura riflessione, decise di preparare per tale missione la sorella Clara, una giovane novizia assai promettente, equipaggiata di virtù, intelligenza e numerose qualità.
Sorella Clara trascorse parecchi anni nella biblioteca del convento, decifrando vecchi codici e impadronendosi di tutti i segreti della scienza. Venne messa alla scuola di anziani monaci e monache di altri conventi.
Quando ebbe terminati gli studi, conosceva i classici, era in grado di leggere le Scritture nelle lingue originali, aveva la massima familiarità con la patristica e la tradizione teologica medioevale. Diede anche una pubblica dimostrazione del suo sapere predicando in refettorio sulle “processioni” infratrinitarie, e lasciando tutte le consorelle, anche le più scettiche ed esigenti, sbalordite per la sua erudizione.
Si presentò davanti alla badessa e, ponendosi in ginocchio, domando:
“Posso andare, ora, reverenda Madre?”.
La risposta fu: “Non ancora, figlia mia, non ancora …”
Sorella Clara venne mandata nell’orto, dove lavorò duro per svariate stagioni, da mattino a sera, con qualsiasi tempo, sperimentando il gelo e il caldo torrido. Le sue mani delicate ben presto apparvero decorate di calli. Liberò il terreno dai rovi e sassi. Imparò a coltivare la vigna. Osservò il crescere delle sementi, lo sviluppo dei germogli. Sapeva riconoscere ormai, con occhio sicuro, il momento della potatura degli alberi. Insomma, acquistò un altro tipo di sapienza, legato alla terra.
Ma anche dopo questa e numerose altre esperienze, la Madre rimaneva ferma nel suo diniego:
“Non è ancora tempo, figlia mia …”.
Si aggregò a una sbrindellata famiglia di saltimbanchi, conducendo la loro stessa esistenza randagia. Girava per i paesi su una carretta sgangherata, trascinata da un asinello strapelato, allestiva sulle piazze il palco per lo spettacolo. Sovente dormiva all’aperto, sotto le stelle.
Condusse anche vita eremitica sul monte, e tornò trasfigurata dal silenzio e dalla contemplazione.
Ogni volta si intrecciava la solita litania:
“Posso andare a predicare, Madre?”.
“Non ancora, figlia mia. Non è ancora venuto il momento”.
Si scatenò una terribile epidemia nel paese. Sorella Clara venne mandata a curare gli appestati. Vegliò intere notti al capezzale di malati, provvide con le sue stesse mani a seppellire i numerosi cadaveri.
Lei stessa, quando ormai la pestilenza stava regredendo, crollò per sfinitezza. Venne anche colpita da una grave forma di depressione, che in certi momenti rasentava la disperazione, a motivo soprattutto degli spettacoli atroci cui aveva dovuto assistere in quei mesi. Dovette essere curata presso una famiglia del villaggio. Imparò cosa vuol dire debolezza, sentirsi piccoli e dover dipendere in tutto dagli altri.
Quando finalmente riuscì a reggersi nuovamente in piedi, rientrò in monastero, dove venne accolta a braccia aperte dalla badessa che la osservò con particolare intensità: la trovò più umana, meno sicura di sé, più vulnerabile. Era scomparsa ogni traccia di orgoglio intellettuale. Aveva un’aria serena, lo sguardo popolato di volti e il cuore pieno di nomi.
“Adesso sì, figlia mia, adesso sì!”, sentenziò gravemente la Madre.
La accompagnò fino al grande portone del monastero, e lì la benedisse imponendole le mani.
E mentre si sentivano i rintocchi delle campane nell’ora dell’Angelus della sera, Sorella Clara uscì per scendere nella valle ad annunciare il Santo Vangelo e le relative Beatitudini.


Fonte a me sconosciuta




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