E Gesù disse a Giuda: «Quello che devi fare, fallo al più presto». Ovviamente non era un invito a tradirlo il prima possibile, bensì un ultimo e forte appello alla sua coscienza affinchè questa si ridestasse a ben più sani propositi. In Parlamento invece sono convinti che il male anticipato sia meglio di quello che tarda a venire. Stiamo parlando delle proposte di legge sul divorzio breve, in lunga gestazione dal lontano 2008. Ben sei giacciono sul tavolo del Parlamento e recano il simbolo un po’ di tutti i principali partiti politici: Pd, Ncd, FI, M5S, Sel e Psi.
Mercoledì scorso è iniziata la discussione sul testo che forse raccoglierà più consensi, proposta siglata da Alessandra Moretti del Pd e dal forzista Luca D’Alessandro. Non più tre anni per ottenere il divorzio dal momento in cui inizia la separazione, bensì solo dodici mesi che si riducono a nove se i coniugi sono entrambi consenzienti e non ci sono figli minori. Il periodo si accorcia ancor di più rispetto al passato dato che questi mesi decorrono dal momento in cui si presenta la domanda e non da quando i due litiganti si sono presentati davanti al giudice.
Perché dare torto a questi politicanti che si affannano a dividere i coniugi? Tra i porporati di Santa Romana Chiesa c’è chi vuole snellire le pratiche per ottenere la dichiarazione di nullità matrimoniale facendo investigare penitenzieri vari e dunque come stupirsi che anche nel secolo ci sia chi vuole tumulare il matrimonio il prima possibile? I cadaveri, si sa, mandano cattivo odore.
Il divorzio breve – che ha ricevuto così tanta attenzione da meritarsi da parte dei Radicali anche la realizzazione di un sito apposito – è un’ottima cartina tornasole per comprendere il Dna di quel processo rivoluzionario che negli ultimi decenni si sta dispiegando in interiore homine.
La prima caratteristica di questo processo è il famigerato fenomeno del piano inclinato: fessurata la parete di una diga, prima o poi tutta la diga crollerà. Da queste colonne avevamo già indagato sul tema – si leggano “Divorzio breve: agonia radicale” e “Matrimonio (breve) all’italiana” – mettendo in evidenza che tali iniziative parlamentari formalmente contraddicono un quadro legislativo che in linea molto teorica è orientato alla tutela del vincolo matrimoniale e parimenti orientato a scoraggiare attentati alla sua indissolubilità. Formalmente, ma non sostanzialmente. Vogliamo cioè dire che il divorzio breve è l’esito prevedibile delle premesse contenute nella legge sul divorzio (lungo) del 1970: accettata la possibilità di divorziare, poi i tempi per ottenere il divorzio sicuramente si sarebbero accorciati. Nel 1989 gli anni che dovevano trascorrere erano cinque, ora tre, domani uno e dopodomani salterà addirittura lo stesso istituto della separazione (così preconizza Diego Sabatinelli, segretario della Lega italiana per il divorzio breve). In modo analogo è avvenuto per altri temi: ottenuto l’aborto chirurgico questo ha filiato quello chimico; ottenuta la fecondazione omologa questa sta aprendo la porta all’eterologa; se passerà il testamento biologico avremo l’eutanasia anche del paziente non consenziente; incassato il “Sì” alla legge sull’omofobia di conserva libero accesso alle “nozze” gay.
Una seconda caratteristica del processo rivoluzionario sui temi di morale naturale è l’aspetto ideologico- elitario: questo tipo di battaglie culturali non partono dalla base, ma cadono dall’alto attraverso un piano di orientamento della coscienza collettiva. Come già scrivevamo qualche anno fa “a leggere i dati Istat del 2012 si scopre che un sorprendente 40% delle separazioni pronunciate nel lontano 1998 al 2010 non sono sfociate in divorzio. Per quale motivo? Una minima parte sicuramente per impicci burocratici e giuridici di varia natura, ma per la maggior parte non c’è interesse a mettere la parola ‘fine’ con tanto di timbro dello Stato alla propria relazione. Sia perché i coniugi quasi ex ritengono sufficiente le garanzie proprie della separazione, separazione che di fatto è già vissuta come divorzio, sia perché vivono il rapporto di separazione in modo liquido. Spesso cioè non si vuole definire la rottura, si desidera tenere una porta aperta – non di rado a tempo indeterminato - ad un futuro e possibile ricongiungimento. A volte dunque smettere per sempre ufficialmente i panni di ‘coniuge’ viene percepito come un doloroso strappo della coscienza da rimandare il più possibile”. Insomma il divorzio breve non è sentito come esigenza dal popolino.
Così come i “matrimoni” gay di certo non sono voluti dalla maggioranza delle persone omosessuali: infatti dove lo Stato li ha legalizzati si registra a lungo andare un flop gigantesco. A margine: curioso che si sudino sette camicie per far passare il divorzio breve e se ne sudino altrettante per far “sposare” i gay. In altri termini, ci si impegna per rompere un legame che non si può rompere e per saldare un legame che non può venire ad esistenza. Contraddizione solo apparente: il minimo comun denominatore è infatti la lotta alla legge naturale.
Un altro tratto di questo processo di sovvertimento dell’ordine morale naturale è dato dall’attacco alla famiglia. Aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, eutanasia sono anche poderosi colpi d’ariete all’istituto familiare. Così pure e prima di tutto, come intuitivo, il divorzio. Anzi è a causa del divorzio che poi – anche cronologicamente – si sono diffuse altre pratiche perniciose. Distruggi questa cittadella fortificata che si chiama matrimonio e i nemici avranno facile accesso all’interno della sue mura ormai in macerie per spargere i semi di idee inique.
Il divorzio uccide la felicità dei coniugi e dei figli. In merito ai primi, il lettore avrà notato che quando si dà notizia di un femminicidio nove volte su dieci si sta parlando di un ex: un ex coniuge o un ex fidanzato. La rottura del vincolo non è la soluzione ai problemi ma ingenera problemi (Cfr. F. Agnoli – M. Luscia, “Chiesa, sesso e morale”, Sugarco).
Inoltre, come scrive Giacomo Samek Lodovici (“Questioni di vita e di morte”, Ares), “su un campione di persone le quali consideravano infelice il proprio matrimonio, cinque anni più tardi il 64% di coloro che erano rimasti insieme ha dichiarato che il loro matrimonio era poi diventato molto felice, mentre si dichiarava felice solo il 19% di coloro che avevano divorziato e si erano risposati (L. Waite – M. Gallagher, “The Case for Marriage”, Doubleday). E se gli sposati soffrono di disturbi psicologici nel 2% dei casi, i divorziati incorrono in questi disturbi tre volte più spesso (C. Schoenborn, “Marital Status and Health: United States, 1999-2002”, «CDC» 15-2004)”. Il divorzio poi non fa bene nemmeno al portafogli. La prestigiosa Heritage Foundation ha pubblicato un rapporto sul legame famiglia e povertà negli USA dal titolo “Matrimonio: la migliore arma negli Stati Uniti contro la povertà infantile”. Si scopre che le famiglie monoparentali costituiscono il 71% delle famiglie povere e viceversa il 73% delle famiglie che vivono al di sopra della soglia di povertà è costituito da coppie sposate con figli. Nel 2011 sono stati spesi in aiuti in programmi federali e statali per le famiglie ben 450 miliardi di dollari, di cui 330 solo per famiglie monoparentali.
In merito ai figli di genitori divorziati molti studi ci informano poi che, rispetto ai figli di genitori sposati, i primi hanno probabilità superiori di ottenere cattivi risultati a scuola, di contrarre malattie psicosomatiche e di essere depressi, di assumere comportamenti antisociali e di avere problemi nelle relazioni amicali.
Prima i coniugi arriveranno al divorzio e prima questo vaso di Pandora si scoperchierà. Il vero nome del divorzio breve è dunque infelicità istantanea.
La nuova Bussola Quotidiana 04-04-2014
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