giovedì 9 febbraio 2012

L’ANTILITURGIA






Pubblichiamo un nuovo e interessante articolo dell'amico don Enrico Bini.




di Don Enrico Bini


Di antiliturgia aveva già parlato don Guéranger, individuando il pericolo che nel corso dell’epoca moderna ha toccato la liturgia cattolica.
Mi permetto soltanto alcune considerazioni in margine alla riflessione del grande liturgista francese del XVIII secolo.

Il grande attacco si palesò con il protestantesimo che di fatto rese inutile ogni vero concetto di liturgia. Il pericolo più insidioso dopo Trento lo si trovò non in ambito riformato, ma proprio in quello cattolico, con il diffondersi del giansenismo, che postula non l’annullamento del segno ma il suo schiacciamento a favore della grazia.

In altre parole il primato della grazia efficace non rende inutile il segno sacramentale, ma lo allontana dalla vita dei fedeli.

Il vero giansenista è il santo senza sacramenti, che non si accosta all’eucarestia per indegnità, come la contrizione rende difficile la confessione dei peccati. Per questo sebbene il giansenismo nel corso del suo svolgimento storico, propose cambiamenti della liturgia, ma non aveva una esatta coscienza del valore del segno, che sotto la volontà di voler semplificare il rito di fatto lo vuole rendere quasi impossibile per il fedele. Uno dei primi insegnamenti di Saint-Cyran alle suore di Port-Royal sarà proprio: «Séparation de la sainte table». Non è quindi un caso che nel corso del Settecento soprattutto in Francia, al diffondersi del giansenismo si accompagna il rifiuto dei sacramenti.

Mentre il giansenismo schiaccia il segno sacramentale dall’alto, una sorta di quello che si potrebbe chiamare “molinismo liturgico”, comprime il segno dal basso.
Si è venuto creando una sorta di naturalismo liturgico, nel quale l’uomo ha uno spazio sempre più grande. All’inizio questa tendenza ha avuto l’aspetto rispettabile del cosiddetto devozionismo, che ha come sterilizzato la forza della liturgia. Intendiamoci, niente contro le varie devozioni liturgiche, che hanno un chiaro riferimento teologico, ma l’effetto non voluto è stato quello di sovrapporsi al segno, magari facendo leva su uno snervante sentimentalismo.

In seguito alla devozione si sono voluti sostituire altri criteri che intendevano indicare la necessità di partecipazione del fedele, anzi come si diceva negli anni settanta una “riappropriazione dei sacramenti”, in una maniera unidimensionale. Questa spinta dal basso, o antropocentrica, diluisce il segno sacramentale naturalizzandolo.

Se quindi guardiamo alle vicende del secolo scorso, vediamo il serpeggiare continuo di questa doppia antiliturgia, che giunge fino alle espressioni attuali del movimento liturgico. Ne è una dimostrazione lo slogan di questi ultimi anni: "Meno messe e più messa". Dietro l’apparente banalità dell’affermazione e oltre le buone intenzioni si crea una sorta di utopismo liturgico, quasi il rovescio del giansenismo, ma con il medesimo effetto: allontanare le persone dai sacramenti, in nome di una perfetta partecipazione al gesto liturgico. Con uno spostamento dal valore della res del sacramento come incuteva il tetro timore giansenista, a privilegiare una tecnica partecipativa del suo svolgimento esterno.

Lo spirito antiliturgico è proprio il motivo che spinse il cardinale Ratzinger a parlare della necessità di una riforma della riforma. Un processo che sarà molto lungo come dimostra l’evoluzione della forme liturgiche della chiesa nel corso dei secoli, ma che dovrà liberarsi dell’ideologismo antiliturgico, che chiude alla comprensione del segno sacramentale, con l’illusione del comprendere.

L’intreccio tra liturgia e il suo contrario ci permette di guardare alle riforme avvenute non solo con il disincanto di un evento passato, e contro il mito costruito dai liturgisti post-conciliari, sulla riforma intesa come una sorta di uscita da un passato oscuro, per unire i primi secoli felici della chiesa, con le nuove ed illuminanti intuizioni dei liturgisti moderni.

Riuscirà in altre parole l’uomo moderno a ricostruire il suo rapporto con il sacro, con la sua particolare dimensione e con le sue regole? Per questo non servono né gli apparati burocratici, né la corporazione dei liturgisti di professione, che appaiono oggi come i bambini che hanno rotto un giocattolo e non sanno più ripararlo.


9 gennaio 2012

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