martedì 28 febbraio 2012

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA E MINISTERO PRESBITERALE (II parte)


Rivista Liturgica - BIMESTRALE PER LA FORMAZIONE LITURGICA fondata nel 1914 dall'abbazia benedettina di Finalpia
terza serie anno XCVII fascicolo 1 gennaio-febbraio 2010

Liturgia e presbiteri: oltre l'anno sacerdotale






di Goffredo Boselli


2. TRARRE LEZIONE DALLA STORIA PER PROSEGUIRE LA RIFLESSIONE TEOLOGICA


Giunti alla seconda parte, è doveroso riformulare la domanda di base e chiedersi se vi è un altro modo possibile per i presbiteri di celebrare l'eucaristia che non sia unicamente il presiederla o il concelebrarla. Per rispondere a questo interrogativo è necessario, come sempre nelle questioni legate alla vita della Chiesa, trarre lezione dalla storia ascoltando la grande tradizione della Chiesa al fine di progredire nella riflessione teologica e individuare possibili vie da percorre e prassi da avviare.

Per rispondere alla nostra domanda, ci sia sufficiente ricordare tre dati storici di epoche diverse. Una testimonianza dei primi secoli, una di epoca medioevale e una moderna, testimonianze che sono degli autentici frammenti della prassi liturgica della Chiesa. Queste testimonianze sono vere e propri échantillions che possono essere confermati da altri numerosi dati che la storia attesta.

I documenti canonico-liturgici dei primi secoli prescrivono con precisione la modalità con la quale accogliere nelle assemblee i vescovi e presbiteri e di altre Chiese. Nella Didascalia degli apostoli, documento di origine siriaca datato alla prima metà del III secolo, si stabilisce quanto segue:

«Se un presbitero arriva da un'altra assemblea, voi presbiteri accoglietelo al vostro posto (communiter in loco vestro), e se è vescovo siederà con il vescovo che condividerà con lui il suo posto. Tu, o vescovo, gli domanderai di parlare al tuo popolo poiché i consigli e le ammonizioni degli estranei sono molto utili... E pronuncerà le parole nell'azione di grazie, ma se per saggezza ti lascia questo onore e non vuole offrire, pronuncerà invece le parole sul calice (super calicem dicat)»(18).


Questo passaggio sarà ripreso verso il 380 nel libro II delle Costituzioni apostoliche; ma il compilatore correggerà l'invito rivolto al vescovo ospite di pronunciare le parole «super calicem», facendo pronunciare al vescovo ospite la benedizione sul popolo:
«E se non vuole offrire, tu lo persuaderai a dare almeno la benedizione al popolo»(19).

Due sono gli elementi da trarre da questa prima testimonianza in ordine al nostro interrogativo. Primo elemento: il presbitero ospite è invitato a prendere posto tra i presbiteri della Chiesa che lo ospita all'interno della «comunità presbiterale», del «presbytéron koinonikós», si legge nel testo greco delle Costituzioni apostoliche. Questo significa che all'interno dell'assemblea liturgica i presbiteri hanno un posto specifico e dunque sono riconoscibili dai fedeli presenti; tuttavia non è specificato se essi fossero tenuti a porre gesti particolari o indossare abiti liturgici propri. Secondo elemento: il testo ci informa anche del modo con il quale deve essere accolto un vescovo ospite e ciò che egli è invitato a fare dal vescovo locale.

Abbiamo qui attestate le più antiche modalità di condivisione della presidenza eucaristica tra due vescovi: al vescovo ospite è offerta la possibilità di predicare e di pronunciare le parole sul calice, quest'ultima successivamente sostituita dalla benedizione sul popolo. Appare decisivo questo dato: il vescovo ospite non è obbligato per il suo ministero a pronunciare parole o porre gesti sacramentali nel corso dell'eucaristia, ma a lui è semplicemente rivolta una richiesta, un invito. La Didascalia e le Costituzioni apostoliche ordinano al vescovo locale: «Tu, o vescovo, gli domanderai (petes eum) di parlare al tuo popolo». Il redattore delle Costituzioni corregge e aggiunge anche «gli proporrai di offrire l'eucaristia». Inoltre, prevedono che il vescovo ospite possa «per rispetto e sapienza» declinare l'invito e lasciare al vescovo locale la preghiera dell'anafora.

In sintesi, non c'è alcun obbligo ex ministerio, ossia nessuna norma disciplinare, canonica o liturgica e tanto meno morale derivante dal ministero episcopale di porre atti e pronunciare formule sacramentali all'interno di una sinassi eucaristica. La predicazione, le parole sul calice e la benedizione al popolo non sono un diritto, ma il frutto di un invito. In sintesi, la Didascalia e le Costituzioni apostoliche stabiliscono unicamente il posto da occupare nell'assemblea, i presbiteri all'interno del presbyterón koinonikós e il vescovo ospite accanto al vescovo locale. Sono tenuti a occupare la sede loro assegnata, così che il posto all'interno dell'assemblea liturgica è, da come emerge da questi documenti, il solo elemento che li distingue dagli altri fedeli e dona loro una visibilità ministeriale propria.

Il secondo frammento, di epoca medioevale, è la lettera detta Epistola missa una, inviata nel 1224 da Francesco d'Assisi ai suoi fratelli riuniti in capitolo. Tra le altre cose si legge nella lettera:
«Ammonisco ed esorto nel Signore che, nei luoghi dove i fratelli risiedono, sia celebrata una sola messa al giorno, secondo la norma della santa Chiesa. Se, tuttavia, ci fossero in uno stesso luogo più sacerdoti, l'uno si accontenterà, per amore della carità, di ascoltare la celebrazione dell'altro sacerdote, poiché il Signore Gesù colma dei suoi doni i presenti e gli assenti che sono degni di lui» (20).

Con questa lettera capitolare Francesco stabilisce due norme. La prima: nei conventi dei suoi frati deve essere celebrata una sola eucaristia al giorno anche quando ci sono più presbiteri, a differenza dei certosini ai quali alla fine del XII secolo era stato permesso di celebrare più messe private. Francesco fissa una seconda norma: nei conventi dove sono presenti più frati presbiteri «l'uno si accontenterà, per amore della carità, di ascoltare la celebrazione dell'altro sacerdote (contentus auditu celebrationis alterius sacerdotis)».

Questa lettera attesta dunque che ancora nel XIII secolo, quando la prassi delle messe private era già ampiamente affermata, un superiore poteva legittimamente prescrivere che nelle comunità ai lui soggette fosse celebrata una sola messa al giorno e che i presbiteri del convento si accontentassero di «ascoltare» l'eucaristia presieduta da uno di loro e lo faceva appellandosi alla norma della santa Chiesa (secundum formam sanctae Eccelsiae). Il verbo impiegato da Francesco per definire la modalità di partecipazione dei presbiteri all'unica eucaristia è audire, ovvero «ascoltare» la celebrazione com'è proprio dei fedeli laici, escludendo di fatto ogni gesto o parola sacramentale. Va da sé che, a differenza della Didascalia e delle Costituzioni apostoliche, Francesco non debba stabilire un posto particolare per i frati, in quanto era il coro del convento il luogo da dove partecipare alla celebrazione eucaristica.

Infine, il terzo frammento è la memoria della prassi in uso fino al 1922, secondo la quale in conclave non si celebrassero messe private ma una sola eucaristia al giorno, che i cardinali ascoltavano, essendo la concelebrazione allora esclusa. Ancora Pio X nella Vacante Sede Apostolica del 1904 prevede che i cardinali ricevano la comunione durante la messa celebrata all'inizio della riunione per l'elezione (21).

Solamente Pio XI modificò questo uso antichissimo e nel Motu proprio Cum proxime (1 marzo 1922) permise ai cardinali la celebrazione della messa privata (22).

Questi tre frammenti della grande tradizione della Chiesa, attestano che ininterrottamente dal III al XX secolo i vescovi e i presbiteri per celebrare l'eucaristia non fossero tenuti a porre atti o pronunciare parole sacramentali proprie del loro ministero ma che, per utilizzare le parole di Francesco d'Assisi, si accontentavano di partecipare «auditu» all'eucaristia presieduta da un altro presbitero, ricevendo da lui comunione.
Pertanto, l'alternativa tra presiedere o concelebrare alla quale i presbiteri oggi sono confrontati è un'alternativa priva di conferma nella grande tradizione della Chiesa, la quale riconosceva che i presbiteri celebravano l’eucaristia sebbene non ponessero atti ministeriali o pronunciassero formule sacramentali.


3. CONCLUSIONI

La problematica delle «grandi concelebrazioni» e la conseguente questione del numero dei concelebranti posta in questi ultimi anni dal magistero della Chiesa ci sono parse strettamente legate all'alternativa tra il presiedere l'eucaristia o il concelebrarla, alla quale oggi i presbiteri sono spesso tenuti. La riflessione compiuta ci ha portati a due conclusioni.

a) La normativa liturgica in vigore - attestata dal Ritus servandus e dall'Ordinamento generale del Messale Romano -sebbene non fissi un numero massimo di concelebranti, stabilisce tuttavia un criterio decisivo: «Il numero dei concelebranti sarà stabilito... in modo tale che i concelebranti possano stare intorno all'altare». É questo un criterio autenticamente liturgico, comunemente osservato anche dalle liturgie ortodosse e orientali. Un secondo criterio in base al quale stabilire l'opportunità di una concelebrazione è indicato dall'Istruzione per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei canoni delle Chiese orientali, la quale non esita a sconsigliare la concelebrazione «quando il numero dei concelebranti sia sproporzionato rispetto a quello dei laici presenti». Da questo criterio si deduce la
non opportunità di una concelebrazione dove il numero dei presbiteri concelebranti supera quello dei laici presenti e, a maggior ragione, la non opportunità di un'assemblea formata da soli concelebranti.

b) La seconda conclusione risponde direttamente alla domanda alla quale abbiamo cercato una possibile risposta: vi è per i presbiteri una reale via di uscita all'alternativa tra presiedere l'eucaristia o concelebrarla? La riflessione teologica supportata dai dati della tradizione della Chiesa mostra che è possibile sia superare l'alternativa posta oggi ai presbiteri di presiedere o di concelebrare. Secondo un'antica tradizione della liturgia romana, che la prassi attuale della concelebrazione ha posto in ombra, i presbiteri che non sono chiamati a presiedere una celebrazione eucaristica né a concelebrarla possono celebrare l'eucaristia nella visibilità ministeriale che è loro propria all'interno della Chiesa (in altro linguaggio si direbbe «da preti», e «secondo la loro dignità), essendo chiaramente riconoscibili per il posto a loro riservato e per l'abito corale indossato. Questa antica prassi liturgica attesta che è possibile celebrare l'eucaristia come presbiteri all'interno dell'assemblea senza necessariamente porre gesti ministeriali e pronunciare formule sacramentali.


Monastero di Bose

goffredo@monasterodibose.it


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17) CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Istruzione per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei canoni delle Chiese orientali, LEV, Città del Vaticano 2006, n. 57, pp. 59-50.
18) Didascalia II, 58, 1-3, in F.X. FUNK (ed.), Didascalia et Constitutiones Apostolorum, Bottega d'Erasmo, Torino 1979 (ed. anas.), pp. 166.168.
19) Costitutioni apostoliche II, 58, 1-3, in M. METZGER (ed.), Les Constitutions Apostoliques, vol. I, du Cerf, Paris 1985, pp. 320.322.
20) E. MENESTÒ - S. BRUFANI (edd.), Fontes Franciscani, Porziuncola, Assisi 1995, pp. 99-104, 101-102.
21) PIUS X, Constitutio apostolica Vacante Sede Apostolica (25.12.1904), in Pii
X Pontificis Maximi Acta (1908), pp. 139-288.
22) PIUS XI, Motu Proprio Cum proxime (1.3.1922), in «Acta Apostolicae Sedis» 14 (1922) 145-146.

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