martedì 28 febbraio 2012
Riapre santa Maria Maggiore. Ma mancano gli inginocchiatoi
Quanta gioia può esserci nel cuore di un parrocchiano quando viene riaperta la chiesa nella quale ha vissuto i momenti più importanti della propria vita di fedele! E quanta gioia si somma alla precedente se tale chiesa è un gioiello dell’architettura italiana sotto la cui pavimentazione hanno trovato le vestigia della prima chiesa episcopale cittadina oltre che le tracce dell’antecedente foro municipale!
Il cuore si riempie di gioia e orgoglio per il lavoro sapiente e paziente degli studiosi che per lungo tempo si sono dedicati, incuranti del freddo, nel riportare alla luce tracce di una storia che ci qualifica come il Paese con il maggiore tesoro architettonico del mondo.
Poi però arriva alle orecchie una notizia, rumors per lo più, che ci lascia perplessi.
Santa Maria Maggiore, la chiesa della terza sessione del Concilio di Trento, quello che ha ridato solidità e stabilità al mondo cattolico durante la bufera luterana, sarà sprovvista di inginocchiatoi perché l’atto del genuflettersi è stato considerato un gesto vetusto.
Non è questione di lana caprina. Stiamo parlando di un gesto con il quale testimoniamo la nostra devozione alla regalità di Cristo, con il quale veneriamo la reale presenza del Salvatore nel Santissimo Sacramento. È un gesto che esprime la nostra umiltà.
Certo, l’Ordinamento generale del Messale Romano, strumento che fornisce le indicazioni liturgiche necessarie al culto, è molto chiaro in merito: non c’è costrizione alcuna.
“S’inginocchino poi – dice il documento riferendosi ai fedeli – alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute,la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.”
Il linguaggio della Chiesa, lo si evince, è materno: educa con dolcezza indicando il Giusto, conoscendo tuttavia la fragilità umana, morale e fisica. Una Chiesa che, accogliente come una madre appunto, lascia lo spazio alle varie Conferenze Episcopali di “adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto”.
Ora, dato che il concetto della desuetudine dell’inginocchiarsi pare essere stato affermato addirittura dal parroco, ci si chiede quale ragionevole tradizione popolare trentina abbia ispirato la sua decisione.
Non è forse, come al solito, il tentativo, fallimentare in partenza, di volersi uniformare allo spirito dei tempi rendendo accattivante e meno ostica la liturgia? Ma sarà poi davvero più affascinante un culto svuotato di quei pii gesti di partecipazione del fedele al compiersi, hic et nunc, del Sacrificio di Cristo, sacrificio dal quale dipende la nostra salvezza? E l’adattarsi al lassismo imperante del nostro tempo, alla ricerca spasmodica di comodità, non significa accondiscendere al mondo? Non significa impoverire una tradizione liturgica secolare? Non significa rinunciare all’impegnativo intento educativo delle nuove generazioni?
Mentre queste riflessioni si affastellano nella nostra mente, la lettura di un bellissimo breve saggio di mons. Marco Agostini, cerimoniere pontificio e cultore di liturgia e arte sacra, ci apre nel cuore uno spiraglio di soluzione. Riflettendo sulla cura che l’architettura ha riservato all’impiantito delle chiese antiche e moderne, ma non di quelle nostre contemporanee, e scorrendo con l’immaginazione su quei tappeti marmorei ricchi di pietre ed intarsi, il nostro afferma che tali pavimenti, lungi dall’essere un tentativo di esibizione di sfarzo, non erano stati realizzati per essere coperti dai banchi, “questi ultimi introdotti in età relativamente recente allorquando si pensò di disporre le navate delle chiese all’ascolto comodo di lunghi sermoni” […] Questi pavimenti sono principalmente per coloro che la liturgia la vivono e in essa si muovono, sono per coloro che si inginocchiano innanzi all’epifania di Cristo. L’inginocchiarsi è la risposta all’epifania donata per grazia a una singola persona. Colui che è colpito dal bagliore della visione si prostra a terra e da lì vede più di tutti quelli che gli sono rimasti attorno in piedi. Costoro, adorando, o riconoscendosi peccatori, vedono riflessi nelle pietre preziose, nelle tessere d’oro di cui talvolta sono composti i pavimenti antichi, la luce del mistero che rifulge dall’altare e la grandezza della misericordia divina.”
Ebbene, come novelli Magi, come il cieco nato, come la Maddalena nel giardino il mattino di Pasqua, anche noi, espropriati degli antichi banchi con gli inginocchiatoi, ci genufletteremo molto umilmente sul semplice tappeto di pietra di Santa Maria Maggiore.
Libertà e Persona 28 febbraio 2012
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