mercoledì 29 febbraio 2012
Gesù Cristo e i suoi nemici
di Padre Giovanni Cavalcoli
Un aspetto importante della vita di Gesù è la sua condotta con i suoi nemici. Secondo le narrazioni evangeliche Gesù nel corso della sua vita, certo involontariamente e pur di attuare il piano del Padre celeste, si fece gradualmente dei nemici, la cui ostilità crescente si concluse con la condanna al supplizio della croce. Ma l’ostilità contro Cristo continua anche dopo la sua morte contro la sua persona e contro i suoi discepoli, contro la religione e la Chiesa da lui fondata, sino ai nostri giorni, e ciò sarà sino alla fine del mondo. Si tratta di un aspetto essenziale della vita della Chiesa.
Certamente esiste una differenza fra i nemici di Cristo e i nemici dei cristiani, anche se santi: mentre infatti nemici di Cristo non possono avere alcun motivo per osteggiarlo, dato che il Signore è l’Incarnazione stessa della Bontà, della Giustizia e della Santità, i nemici dei cristiani possono avere qualche motivo per il fatto che i cristiani, per quanto attuino fedelmente i comandi del Signore, mantengono in questa vita difetti e carenze che possono prestare il fianco a giuste critiche od essere oggetto di motivate riprovazioni da parte di chi, su quei punti, segue meglio la dottrina e l’esempio di Cristo.
Chiediamoci in questo articolo in che cosa consistette questa ostilità, i suoi motivi, con quali scopi e da quali ambienti partì. Certo sono cose note; ma vorrei soprattutto qui mostrare come oggi anche i discepoli di Cristo devono attendersi di essere osteggiati e perseguitati, da chi, come e perchè, nonché come devono comportarsi e come possono difendersi.
Innanzitutto si deve dire che Cristo non è stato nemico di nessuno, se per nemico intendiamo una persona malevola, che coltiva l’odio e il rancore o che si lascia vincere dall’ira o che ama litigare e offendere. Se qualcosa di questo può pallidamente apparire in Cristo da certi episodi del Vangelo, dobbiamo convincerci che non li interpretiamo bene e per i motivi che dirò. E’ importante infatti ricordare che tutto l’agire del Signore è motivato dalla carità. Anche quando Gesù esce nei confronti dei suoi nemici con le espressioni più dure, esse non devono essere considerate come insulti o sfoghi di rabbia o atti di violenza – anche se come tali sono considerate dai suoi nemici -, ma come forti richiami di un Dio di amore e di giustizia.
Questo non vuol dire che Cristo non abbia combattuto dei nemici e non li abbia vinti. Ma ha combattuto senza odiare, per puro amore della verità e della giustizia: Egli ha combattuto e vinto il mondo, il peccato, la morte e Satana. Ha combattuto anche e polemizzato con persone umane a lui ostili, confutandole, svergognandole, accusandole, ed attirandosi così il loro odio.
In altri casi i rimproveri severi di Gesù, come per esempio quelli rivolti agli apostoli, sortiscono il loro effetto educativo e correttivo. Certo Egli peraltro avrebbe ottenuto pace e benevolenza dai nemici se fosse sceso a patti con loro o li avesse lisciati nei loro peccati e nelle loro ingiustizie. Ma come allora Egli sarebbe stato nemico del peccato e dell’ingiustizia?
Gesù Cristo comunque per sua espressa dichiarazione è venuto a portare al mondo la pace, la “sua pace”, come Egli si esprime, non quella che dà il “mondo”(Gv 14,27). La pace che egli ci dona è soprattutto interiore, è la pace messianica, pace della coscienza che nasce dall’obbedienza a Dio, per cui Dante rispecchia bene la concezione cristiana della pace quando fa dire ad un personaggio della Divina Commedia: “nella sua volontà è la nostra pace”. Pace interiore che non esclude peraltro quaggiù il fervore e l’energia di quella che Paolo chiama la “buona battaglia” contro le forze del male e della menzogna. Pace che resta anche nel momento della sofferenza, della prova e dell’oppressione subìta dal nemico.
In particolare la pace che Cristo ci consente di raggiungere è ad un tempo ardua conquista e dono di Dio, frutto della giustizia che fa trionfare il diritto, della sapienza che compone i conflitti e della carità che unisce i cuori a Dio e ai fratelli mediante il sacrificio della croce. La pace può essere conquistata proprio come frutto della vittoria sul nemico della pace, similmente a quanto recita l’antico motto romano: si vis pacem, para bellum.
Invece la pace che viene da Dio vince forze maligne soverchianti, dalle quali non potremmo liberarci senza il suo aiuto ed è effetto di beni soprannaturali superiori ad ogni umano desiderio. Il martirio è una forma di suprema vittoria contro il massimo dei nemici, che è il peccato, ed ineffabile è la pace raggiunta dal martire per sé e per coloro che sanno apprezzare la sua testimonianza.
Da notare che Cristo, benchè giunto fra la sua gente con le migliori intenzioni e come messaggero di pace, ricevette ostilità soprattutto da coloro, come il suo popolo e i suoi capi, che, secondo i piani divini, maggiormente avrebbero dovuto accoglierlo con riconoscenza e trattarlo benevolmente. E tuttora gli Ebrei non hanno capito quanto il Messia li ha amati. Come dice Giovanni: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”(Gv 1,11). E Gesù stesso afferma: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria” (Mt 13,57). Da qui le sue parole: “i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10, 35).
E chi vuol seguire Cristo deve attendersi queste sue stesse sofferenze: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”(Gv 15,20). Per questo nella Chiesa esistono sempre persecutori e perseguitati. Non esiste un santo canonizzato che non abbia avuto da soffrire da parte di fratelli di fede e spesso anche da parte di superiori o membri della gerarchia. Anzi può capitare che un santo resti solo, come Cristo è rimasto solo, in un ambiente che pur essendo ecclesiale, gli è ostile. Ma egli, come Cristo, trova consolazione nella presenza ed approvazione del Padre.
Ma Gesù, con un apparente paradosso, dice anche di non esser venuto a portare la pace, ma “una spada”, per cui, per sua stessa dichiarazione, è venuto a “separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera”(Mt 10,35). Un avvertimento su questa linea lo troviamo anche laddove il Signore dice che per amor suo “in una casa di cinque persone si divideranno due contro tre e tre contro due”(Lc 12,53). Che senso dare a queste espressioni che sembrerebbero contraddire la suddetta dichiarata volontà di Cristo di donare al mondo la pace?
Gesù, con queste parole, intende riferirsi al dovere in certe circostanze di testimoniare a favore del Padre celeste anche in situazioni di minoranza, anche a costo di farsi dei nemici. Egli inoltre non esclude il diritto alla legittima difesa anche con l’uso della forza. Queste azioni tuttavia vanno compiute senza odio, con autocontrollo e moderazione ed anzi sempre animati dalla carità e dalla giustizia, per il bene stesso di coloro che ci insultano o ci affliggono o ci perseguitano, pronti a perdonare e pregando per loro. Come sappiamo, il subire l’attacco dei nemici di Cristo per amore di Cristo è una delle beatitudini del Vangelo.
Nemico irriducibile di Cristo è il diavolo, il “divisore” (dal greco diabolos, da diaballo che significa “divido”). Infatti Cristo unisce laddove il diavolo divide. Questi è il suscitatore dei conflitti, delle divisioni e delle guerre, mentre l’opera di Cristo è tutta tesa a riunire chi è diviso, a conciliare i belligeranti a metter pace laddove c’è l’odio, l’invidia e la contrapposizione. Ma Satana nulla può contro Cristo e egli vince solo coloro che si lasciano vincere perché non si pongono sotto la protezione del Signore.
Quanto al famoso precetto dell’“amore per i nemici”, esso certo non va inteso come invito ad amare i nemici in quanto nemici; ossia, non si tratta di approvare, far nostra o permettere la loro cattiva azione, perché così diventeremmo loro complici e conniventi col loro peccato, ma in quanto occorre saper riconoscere anche nei nemici lati buoni, amabili e oggetto dell’amore stesso del Padre.
Il nemico resta nemico; non si può considerare buona l’azione cattiva che compie contro di noi. Non possiamo chiamare bene il male. Invece si devono poter vedere al di là dell’odio che il nemico ci porta gli aspetti positivi della sua personalità ed apprezzare quelli, chiedendo a Dio che egli, basandosi su quegli aspetti buoni, si penta e si converta.
Inoltre, dovere grande del cristiano, che nasce dall’esempio di Cristo, è – per quanto gli è possibile – trasformare i nemici in amici mediante il buon esempio, la preghiera ed una perseverante opera di persuasione: è l’opera della conversione, condotta con sapienza, competenza, carità e pazienza. L’evangelizzazione, il dialogo ecumenico ed interreligioso hanno come fine ultimo quello di condurre i lontani da Cristo ad essere pienamente suoi amici nella Chiesa cattolica.
Gesù dal canto suo, tenta più volte un atteggiamento conciliante nei confronti dei suoi nemici, ma nel contempo la loro arroganza, ipocrisia ed empietà lo spinge a rimproverarli spesso ed aspramente e ad accusarli dei peccati che essi compivano minacciandoli dell’eterno castigo, svelando le loro imposture e i loro vizi nascosti. Gesù fa questo non certo mosso dalla passione, ma nel tentativo di scuotere le loro coscienze, le quali tuttavia restano sorde ai suoi richiami ed anzi si induriscono nel rancore e nella superbia sino a che si giunge al momento fatale della condanna a morte, dopo molti segni di disprezzo e di ostilità.
Nella vita terrena Gesù appare come sconfitto e castigato dai suoi nemici. Tuttavia Gesù ad un certo punto della sua vita, obbedendo alla volontà del Padre, vista l’ostinazione dei suoi nemici, si consegna nelle loro mani senza più difendersi e si lascia inchiodare alla croce come “mite agnello immolato” per la remissione dei peccati e per il trionfo della pace.
La croce di Gesù è stata un efficacissimo mezzo per intenerire molti cuori induriti nel peccato e nell’odio e spingerli a pensieri di pace e conversione. Unirsi alla sua croce vuol dire essere costruttori di pace e vincere il demonio, principe dell’odio e della menzogna.
Invece nell’Apocalisse Gesù, nella guerra escatologica contro le potenze del male, appare terribile e trionfante contro tutti i suoi nemici, uomini e demòni, Giudice e Giustiziere che infligge il castigo eterno non solo ai suoi persecutori, ma anche a tutti coloro che nella storia hanno offeso, osteggiato e perseguitato i suoi discepoli. Gesù è così anche il Vendicatore, il Goèl, come si dice in ebraico. Come dice Paolo, Cristo alla fine della storia, nella sua venuta parusiaca che comporta il giudizio universale, “mette tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi”.
La missione di Cristo è una missione di pace. Egli viene per riconciliare gli uomini con Dio ed offre a tutti i mezzi per questo fine. La pace con Dio non è tanto opera dell’uomo, quanto di Dio stesso. Per questo S.Paolo invita i suoi discepoli: “Lasciatevi riconciliare con Dio”(II Cor 5,20). Il Dio cristiano non è bellicoso, come certi dèi pagani, in particolare quelli della mitologia germanica. Non è un Dio vendicativo, però è un Dio giusto, nel senso che castiga coloro che gli resistono. Indubbiamente la Bibbia parla di un “dio degli eserciti”, anche se traduzione migliore sarebbe “delle schiere” (scèbaot); ma questa espressione significa la potenza di Dio nella vittoria sul male.
Così il “castigo” divino non va inteso come un intervento arbitrario dal di fuori nei confronti del peccatore, ma come la sventura che il peccatore stesso si tira addosso col suo peccato. La Bibbia parla bensì di “ira” divina, ma si tratta di un’espressione metaforica per esprimere semplicemente il fatto che l’uomo, disobbedendo a Dio, cade in uno stato di miseria, dal quale però, nella vita presente, può essere liberato da Cristo, mentre, se non accetta la missione di pace di Cristo, dopo la morte è perduto per sempre.
Gesù Cristo è sommo e divino operatore di pace. Ma la sua missione esclude che certe forze ribelli a Dio possano riconciliarsi con Dio. E queste sono innanzitutto le potenze sataniche, ma anche alcuni uomini, i quali, pur ricevendo da Cristo in questa vita i mezzi per tornare a Dio, oppongono il loro rifiuto, per cui, se in punto di morte non si pentono, vengono a far parte, nell’inferno, delle forze irrimediabilmente perdute ed ostili a Dio.
La missione di Cristo, quindi, rispetto ai suoi nemici, è duplice: Egli riconcilia a sé alcuni nemici, ma gli altri che non vogliono fare la pace, vengono sottomessi per forza alla sua signoria a cominciare da questa vita ma in pienezza e per sempre alla Parusia. Quindi o per amore o per forza alla fine del mondo tutte le potenze spirituali del creato piccole o grandi, uomini o angeli, si sottometteranno alla signoria di Cristo.
I discepoli di Cristo sono, sull’esempio del Maestro, uomini di pace, pacifici e pacificatori, offrendo al mondo le condizioni ed i mezzi della pace che provengono da Cristo. A somiglianza di Cristo, il suo discepolo ottiene il pentimento e la conversione di alcuni nemici, mentre altri restano ostinatamente tali e, come hanno perseguitato Cristo, costoro perseguitano anche i suoi discepoli.
Ma similmente, come Cristo trionfa sui propri nemici, anche il discepolo di Cristo al momento opportuno è destinato a trionfare sui propri nemici, che sono gli stessi nemici di Cristo. Compito del discepolo pertanto è far sì che i propri nemici siano i nemici di Cristo e i propri amici gli amici di Cristo.
Viceversa, per i nemici di Cristo gli amici sono nemici di Cristo, i nemici sono gli amici di Cristo. Nel contempo il discepolo di Cristo, seguendo l’esempio del Maestro sulla croce, perdona ai propri nemici. Quelli che però non si pentono non possono essere perdonati, ma subiscono invece il giusto castigo.
Stando così le cose, l’idea oggi corrente secondo la quale la missione pacificatrice e riconciliatrice di Cristo estinguerebbe ogni forma di ostilità a Dio salvando tutti gli uomini, è falsa ed eretica, perché in realtà, come appare chiaro dagli stessi insegnamenti di Cristo e della Chiesa, non tutti gli uomini accettano di diventare amici di Cristo e pertanto questi si dannano.
Inoltre altra eresia oggi diffusa è il rifiuto di credere all’esistenza ed all’azione del demonio, altra creatura che non si riconcilia con Dio. Su questo punto si può fare un paragone con l’eresia di Origene, il quale, benchè sapesse che il demonio esiste, credeva che alla fine del mondo anche il demonio venga perdonato e faccia la pace con Dio.
Perché – ci si potrebbe chiedere – Dio permette che non tutto il mondo sia riconciliato con Dio, ma una parte di esso resta in un’eterna opposizione? Infatti il piano divino prevede che una parte del mondo, quella che si converte, sia “salvata” ed una parte, quella ribelle, sia “vinta”. Che significa tutto ciò? Vuol dire per caso un’imperfezione nell’opera divina della salvezza? Un parziale insuccesso? No, perché Cristo da parte sua ha compiuto tutto quello che il Padre gli aveva comandato di compiere.
La colpa della ribellione è solo a carico dei ribelli; Cristo resta del tutto innocente. E non è a dire che i mezzi che Cristo offre per ottenere la pace siano insufficienti: essi sono sufficientissimi. Se pertanto alcune creature restano per sempre ostili a Dio, la colpa è solo la loro, e in questa loro condizione non fa che venire in evidenza la giustizia divina che dà a ciascuno il frutto delle sue opere.
Libertà e Persona - 28 feb 2012
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