lunedì 20 febbraio 2012

Quando l’arte era di casa nella Chiesa







Proponiamo due brevi testi del Card. Alfredo Ottaviani in difesa della purezza e della nobiltà dell’arte sacra.
Il primo è un discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione di una nuova chiesa; mentre il secondo fu tenuto in occasione della Mostra del libro nell’Anno Mariano, inaugurata in Palazzo Venezia nel 1954.


I.
...Mi piace di applaudire con voi all'arte nuova che, messasi al servizio della Chiesa, collabora, come sempre nei tempi più civili, con la preghiera. Quando l'arte stava di casa nella chiesa, non ha avuto mai a dolersi né di piccineria né di cattiva riuscita né di povertà. La storia dell'arte è per i quattro quinti storia dell'arte sacra; e quale arte, figli miei, quanto grande e augusta, nello stesso tempo quanto vicina al cuore del popolo e intelligibile alla prima! Sembra un paradosso, ma quando l'arte mantenne buoni rapporti con la preghiera, era insieme talmente nobile, che teneva in soggezione i sovrani; ed era talmente popolare, che il popolo la sentiva come cosa sua. Le chiese più belle non erano forse la casa del Padre celeste e di tutti indistintamente i suoi figli? Vi prego di farci attenzione, quale edificio è più aperto di una chiesa a tutti e in tutte le ore ed è egualmente non dell'uno o dell'altro cittadino, ma di tutti? Quale casa è più bella della chiesa, casa di Dio e degli uomini? Non senza ragione la parola «duomo» viene da domus! La casa per eccellenza, in una città, è quella: ed è la casa del Creatore e delle sue creature.

Nello stesso tempo, la chiesa è la casa dell'intelligenza. Anche qui ricordatevi il termine «cattedrale»: la casa dove è la cattedra della sapienza. Le cattedrali sono state le prime scuole, le prime università della civiltà. Una truppa di facinorosi e disonesti vorrebbe oggi far credere il contrario e infestando i nostri paesi come incursioni di insetti esotici ed epidemie di morbi lontani, vorrebbe far passare le chiese per covi di oscurantismo. Oh no, veramente; e l'arte, come con Dio e con gli uomini, cosi è stata con l'intelligenza, stando e lavorando nella chiesa. Inoltre, la chiesa è la casa della bontà e l'arte, servendo la chiesa, ha servito la bontà: ha aiutato a sopportare il dolore e ha innalzato il sentimento della gioia. Non è stata, come spesso se non sempre altrove, la ministra del piacere e della crudeltà, bensì è stata la degna sorella della carità.

Cari figli, mi rallegro con voi della vostra arte la quale ha saputo essere arte dei nostri giorni e non mero ricalco di moduli passati, creazione e non scopiazzatura, scoperta nuova e non rispolveratura scolastica; e tuttavia ha saputo stare, con tanta comprensione e bellezza, accanto alla preghiera. Così il vostro esempio giovasse tra coloro che si danno a credere, con qualche inesplicabile e indecifrabile sgorbio, di fare arte! Eppure, con tanto poco si fanno scrupolo, di ingiuriare la chiesa e darle dell'arretrata. Non dico nulla d'altri che presumono popolare la chiesa di mostruosità, degnissime nel miglior caso, di semifolli, non però di Dio, del popolo e della nostra civiltà.
Ricordatevi, quando l'arte non sa stare con la preghiera, non sa pregare, è un gran brutto segno, è segno che, forse, non è nemmeno arte; ma puro inganno o di sé o degli altri o di sé e degli altri insieme.


II.
La presente solenne chiusura della mostra del libro e dell'arte mariana può considerarsi come il sigillo posto al magnifico libro delle grandiose manifestazioni religiose e culturali che hanno impreziosito l'Anno Mariano. Questa riuscitissima mostra ha messo in evidenza quanto opportunamente anche essa è stata innestata ad altre solenni celebrazioni mariane. Essa, infatti, ha dato un saggio dell'eco grandiosa che nel corso dei secoli hanno avuto, anche nel campo librario e artistico, le profetiche parole di Maria: «Tutte le genti mi chiarneran beata».

Per non parlare di tutti i monumenti sull'inno alto ed eloquente che specialmente le menti umane hanno elevato in lode di Maria, vorrei accennare soltanto a quel cantico sublime che hanno innalzato a Lei le belle fantasie degli artisti, le ardite geometrie degli architetti, le animose produzioni degli scultori, le sublimi armonie musicali dei compositori; le delicate finezze dei miniaturisti, le incantevoli visioni dei pittori, le alate espressioni dei poeti!

L'hanno amata e lodata con l'arte i regni e gli imperi, le città e le campagne, animate di statue, edicole, templi a Lei dedicati; dal gotico al barocco: in ogni fase dell'arte la Madonna è ovunque presente.
Di fronte a questi misteri di amore di Dio e degli uomini verso Maria, che sono insostituibili nodi di luce, i quali per sterminatezza e splendore abbagliante non la cedono che agli splendori del Figlio divino, vien fatto di domandare perché mai, proprio nell'arte, Dio abbia scelto uno dei più sublimi temi illustranti le grandezze di Maria.

E' chiaro che come il Signore dà ai santi il genio dell'amore di Dio e del prossimo, come ai sapienti concede il genio scrutatore delle più profonde verità, così agli artisti accorda il genio della creazione di capolavori non già per soddisfare l'orgoglio umano, ma per quei fini di supremo bene per i quali opera la divina sapienza. Cosi nell'arte mariana, come nella scienza mariologica, tutto deve tendere a render efficace dentro di noi il frutto della grazia divina e delle virtù che ci insegna Maria.

Non c'è miglior maniera di far onore ai doni di Dio che rendere i suoi divini ammaestramenti efficaci dentro di noi, sí che noi viviamo quali altrettanti figli di Dio, simili in volto al primogenito Gesù ed imitatori delle virtù della celeste Madre. Solamente a condizione che le opere di arte contribuiscano a rendere operante la grazia di Dio in noi, potremo legittimamente rallegrarci di tanti capolavori.
In caso contrario la nostra ammirazione per tutte queste cose belle come l'orgoglio di chi le ha prodotte non sarebbe che pura soddisfazione umana, una maschera dell'ambizione, una sosta permanente su ciò che dovrebbe essere tramite verso l'eterno: un capovolgimento dei fini, come vediamo spesso nel mondo moderno. Oggi infatti, vediamo che molti diventano potenti per curare le classi umili; molti arricchiscono per aiutare i poveri e molti artisti esibiscono se stessi, invece di dare il Paradiso a chi anela verso il Cielo.

In fatto, poi, di prerogative dell'arte, occorre ricordare che contro Dio e contro le anime non esistono diritti di nessuno e da nessuna parte; e chi contro Dio e le anime invocasse l'arte e la modernità, oltre che darebbe prova, cosi facendo, di capire poco di tutte queste cose, non solo, cioè, di Dio e delle anime, ma anche di arte e di modernità - a parte tutto ciò - non farebbe che bestemmiare, anche se la sua bestemmia restasse nell'incognito.

C'è chi sostiene che un'opera d'arte non perde la sua bellezza, perché è indecente; ma aggiungiamo subito che quella è una bellezza che disonora l'arte, come certe esibizioni disonorerebbero una donna; e coloro che la celebrassero, cercherebbero clienti non alla bellezza, ma alla turpitudine.

Quando, poi, si tratta di arte sacra, noi dobbiamo mettere l'accento su ciò che vuol dire la parola «sacra». A costo di passare per gente fuori di moda, noi sacerdoti, sopra tutto quando sopra le spalle ci pesasse diretta responsabilità di anime, siamo in diritto, anzi in dovere, di respingere dalle soglie della chiesa tutto ciò che a Dio non conduce. Che dire, di ciò che turbasse le menti e scandalizzasse i cuori? Meglio, cento volte meglio, un'opera d'arte mancata che non un'anima perduta; meglio ignorare una gloria della terra che ignorare la gloria di Dio.
Ma oggi, più che altro, il pericolo è costituito piuttosto da coloro che, non sapendo raggiungere in arte la bellezza, vogliono emergere con la mostruosità, con la stranezza, emula della caricatura e dell'arte dei primitivi con lo scempio delle cose e delle persone sante.

Sembra che un folle rancore devasti l'uomo che non riesce a raggiungere le altezze del passato, ma è rancore contro se stesso; ed è la giusta pena per aver obliato, o addirittura disprezzato i fini sublimi del dono di Dio. Orbene, a quel modo che non ci è permesso di mutilarci fisicamente, così non ci è consentito di calunniarci con l'arte e aiutar per tal via la disgregazione della persona umana.
Siamo, o non siamo immagine di Dio? E se si, che può imbrattarla o deformarla? Più ancora, chi può imbrattarla e deformarla nei Santi, nella Madonna o perfino in Quegli che è speciosus forma prae filiis hominum?

Non si dica che vogliamo comprimere l'arte: sta di fatto che, nei secoli, anche con tutte le giuste esigenze dei sacri canoni, chi più ha fatto lavorare l'arte è stata per l'appunto la Chiesa; e oggi ancora, solo che certi artisti accettassero di non essere altrettanti semidei, ma figli di Dio e come tali lavorassero con la luce della fede e con l'ardore dell'amore cristiano, la casa di Dio sarebbe casa loro e l'arte sarebbe nello stesso istante più umana e più cristiana.



Scuola Ecclesia Mater

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