di don Enrico Finotti
L’identità e il ruolo del tabernacolo eucaristico non possono attingere soltanto ad una indagine storica, ma è necessaria soprattutto una riflessione teologica. Le basi teologiche, infatti, sono quelle che possono mutare, emendare o perfezionare, sia le scelte storiche del passato, sia quelle della prassi liturgica attuale. Senza teologia eucaristica, infatti, si è facilmente esposti o all’archeologismo o al funzionalismo pastorale.
L’altare e il tabernacolo – a livello di principio – sono inseparabili. Questa affermazione, a prima vista, potrebbe creare difficoltà, ma, alla luce di una serena argomentazione se ne comprenderà la verità.
L’altare è il luogo santo sul quale si compie in modo sacramentale il Mistero pasquale della nostra Redenzione. In modo simultaneo nel cuore della Prece Eucaristica si attualizza la Presenza del Signore, il suo atto sacrificale e la sua forma di cibo e bevanda. Presenza Sacrificio e Convito sono tre aspetti indissolubili e sincronici del grande Mistero che con la Consacrazione è donato alla Chiesa.
L’altare è anche il simbolo più qualificato, che esprime con la sua stessa struttura le tre dimensioni del Mistero che su di esso si compie. Infatti: la sua dignità e centralità è il segno di Cristo presente nella Chiesa quale Capo dell’assemblea liturgica; come ara in pietra ed elevata richiama il Sacrificio della Croce, attualizzato nella celebrazione dei santi misteri; la sua mensa ricoperta con la tovaglia ricorda il sacro convivio in cui ci è dato il Pane santo della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza. L’altare in tal modo porta impresse su di sé simbolicamente le coordinate fondamentali dell’Eucaristia.
Separare dall’altare il Sacramento, a celebrazione conclusa, crea per sé qualche disagio, sia all’altare come al tabernacolo. Infatti, l’altare improvvisamente si spegne e la sua vita passa al tabernacolo. Se in antico l’altare era l’incontestato luogo sacro al quale tutti si volgevano durante e dopo la celebrazione, essendo il Sacramento custodito nella sagrestia, con il tabernacolo in chiesa, ma separato dall’altare, si crea una bipolarità, che dopo la celebrazione va decisamente a favore del tabernacolo, perché i fedeli, istruiti dal dogma della fede, accorrono lì dov’è la realtà, lasciando in disparte il simbolo, anche se non privo di una certa efficacia spirituale qualora l’altare fosse dedicato. La statua o il ritratto si oscurano quando la persona viva è presente.
Ecco perché il papa Paolo VI potrà affermare del tabernacolo e non dell’altare che è il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese (Credo del popolo di Dio 1968) e Benedetto XVI dirà che questa presenza fa’ si che nella chiesa ci sia sempre l’eucaristia… una chiesa senza presenza eucaristica è in qualche modo morta, anche se invita alla preghiera… (RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, Ed. San Paolo, 2001, p. 86). Già il beato card. Ildefonso Schuster espresse così il medesimo concetto:”…la santissima Eucaristia conservata perennemente nelle chiese dà carattere di perennità al Sacrificio incruento dell’altare…”(Liber sacramentorum, Casale Monferrato, ed. Marietti, 1932, vol. I, p. 24). Infatti Cristo, anche dopo l’offerta del sacrificio, allorché viene conservata l’Eucaristia nelle chiese o negli oratori, è veramente l’Emmanuele, cioè ‘Dio con noi’. Giorno e notte resta in mezzo a noi, e in noi abita, pieno di grazia e di verità (RCCE2).
Ma anche il tabernacolo subisce danno dalla separazione dall’altare. Infatti esso richiama soprattutto la reale presenza, ma non altrettanto quella virtus sacrificalis, che non abbandona mai l’Agnello immolato e glorioso; e neppure quella forma convivialis, che rimane insita nel Sacramento, il quale, prima o poi, dovrà essere assunto nella comunione. In altri termini, l’altare è il miglior interprete del tabernacolo, perché garantisce l’espressione simbolica di tutti gli aspetti del Mistero. L’autentica formazione eucaristica del cristiano, infatti, implica una triplice attenzione: la percezione adorante della Presenza del Signore, l’unione al suo Sacrificio e il nutrirsi degnamente del suo Corpo e del suo Sangue. L’insufficienza di uno o l’altro di questi aspetti o la loro non adeguata composizione ha portato talvolta a visioni dottrinali, a prassi pastorali o a itinerari spirituali non sempre conformi alla completezza del Mistero nell’equilibrio delle sue parti: “Per ben orientare la pietà verso il santissimo Sacramento dell’Eucaristia e per alimentarla a dovere, è necessario tener presente il mistero eucaristico in tutta la sua ampiezza, sia nella celebrazione della Messa che nel culto delle sacre specie, conservate dopo la Messa per estendere la grazia del sacrificio” (RCCE4).
Per questo le norme liturgiche stabiliscono che l’esposizione del SS. Sacramento avvenga normalmente sull’altare, affinché il senso del Sacrificio e il rimando alla Comunione sacramentale non siano estranei dall’Adorazione: ”Nelle esposizioni si deve porre attenzione che il culto del santissimo Sacramento appaia con chiarezza nel suo rapporto con la Messa” (RCCE90) e “La pisside o l’ostensorio si colloca sulla mensa dell’altare…”(RCCE110). Questa relazione tra l’altare e la SS. Eucaristia è affermata anche dall’invocazione tradizionale: Benedetto Gesù nel santissimo Sacramento dell’altare (RCCE237)
Si comprende allora come il rapporto altare-tabernacolo non sia questione secondaria, ma coinvolga la teologia, la catechesi, la liturgia, la spiritualità e la retta devozione del popolo di Dio. Siccome la storia ci offre soluzioni variabili e la teologia ci richiama all’unità del Mistero, si dovrà essere aperti a normative diversificate, ma sempre attenti a non posporre la presenza personale - vera, reale e sostanziale - del Signore ai suoi simboli.
“Nessun dubbio quindi che tutti i fedeli in linea con la pratica tradizionale e costante della Chiesa cattolica, nella loro venerazione verso questo santissimo Sacramento, rendano ad esso quel culto di latrìa che è dovuto al vero Dio. E se Cristo Signore ha istituito questo sacramento come nostro cibo, non per questo ne è sminuito il dovere di adorarlo” (RCCE3).
fine seconda parte (continua)
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