
Per la Corte Costituzionale è illegittimo vietare alle persone singole di adottare minori stranieri residenti all’estero. Inevitabile il prossimo passo: le coppie omosessuali. E il diritto dei bambini è già travolto dal desiderio degli adulti.
La sentenza
Giacomo Rocchi, 22-03-2025
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 33 pubblicata ieri, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, contenuta nella legge 184 del 1983, che impediva alle persone singole residenti in Italia di ottenere dal tribunale per i minorenni il decreto di idoneità all’adozione internazionale. La norma, in effetti, per indicare i requisiti degli adulti che aspirano ad accedere all’adozione internazionale, richiamava quelli previsti per quella nazionale, primo fra tutti quello stabilito dall’art. 6, comma 1: «L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni».
Da oggi, quindi, mentre soltanto i coniugi potranno adottare minori residenti in Italia in stato di abbandono, anche le persone singole potranno adottare minori stranieri residenti all’estero, dopo essere stati dichiarati idonei all’adozione.
Prima di commentare il nucleo della decisione della Corte, forse è bene fare riferimento a due questioni incidentali. In un passaggio la Corte scrive: «Non rientra… nel perimetro del presente giudizio la condizione della persona che non ha lo stato libero, in quanto è parte di un’unione civile. Tale questione non è oggetto del presente giudizio e, quindi, resta impregiudicata». Cosa significa questo accenno? Che la questione dell’adozione da parte delle coppie omosessuali – la Corte è bene attenta a non usare questa parola… – verrà in seguito.
Sappiamo bene che, in occasione della legge Cirinnà, l’unico limite posto alle coppie che costituiscono un’unione civile fu quello di adottare figli. Da allora fioccarono i tentativi di eludere questo limite, utilizzando sia la legge sull’adozione, dando la possibilità al cd. «genitore intenzionale» di adottare il figlio del compagno, mediante l’utilizzo di una norma residuale (l’art. 44 legge 183), sia tentando di ottenere la possibilità di ricorrere alla fecondazione artificiale, sia, infine, con tutti i percorsi legati all’utero in affitto all’estero.
Benché la norma riguardi anche le coppie eterosessuali, la recente legge che ha previsto la punizione per il ricorso da parte dei cittadini italiani alla maternità surrogata anche se commessa all’estero costituisce un impedimento forte al riconoscimento in Italia di figli di coppie omosessuali.
Ecco: questa sentenza – quantomeno nei suoi effetti – può essere vista come una risposta della Corte a quella precisa scelta del Parlamento. In effetti, se un singolo potrà adottare un bambino straniero e farlo riconoscere come proprio figlio in Italia e se, per ritenerlo idoneo all’adozione, si dovrà tenere conto anche dell’ambiente familiare che lo circonda, come negare che una coppia costituita come unione civile non costituisca tale ambiente? Soprattutto dopo che la Corte, in un’altra sentenza, ha stabilito che il minore adottato ha legami anche con la famiglia dell’adottante (i nonni, gli zii ...)? Questa pronuncia, quindi, fa prevedere che, mediante l’adozione da parte di un componente singolo, cui seguirà l’unione civile e l’adozione da parte del compagno, ovvero in conseguenza di una futura sentenza della stessa Corte Costituzionale, le coppie omosessuali avranno accesso all’adozione internazionale.
Seconda questione: se il singolo può accedere all’adozione internazionale, perché non può adottare bambini residenti in Italia? Se una persona è dichiarata idonea ad adottare, lo è (o, si presume che lo sia) rispetto a tutti i bambini abbandonati.
La Corte accenna alla questione, ipotizzando che anche la norma dell’art. 6 che abbiamo già citato potrebbe essere dichiarata illegittima ma poi, prudentemente, se ne “dimentica” e giustifica la sua decisione sulla base «degli interessi implicati e dello stesso scopo dell’istituto dell’adozione internazionale». Non si comprende esattamente perché l’adozione internazionale avrebbe uno scopo differente da quella nazionale, se entrambi gli istituti servono a dare una famiglia a bambini abbandonati.
Resta il fatto: i bambini abbandonati residenti all’estero vengono discriminati rispetto ai bambini abbandonati residenti in Italia perché si dovranno “accontentare” di avere un solo genitore…
Abbiamo parlato dei bambini. La legge n. 184 del 1983, fin dal titolo, concentra la sua attenzione su di loro: Diritto del minore ad una famiglia e l’art. 1 ribadisce questo diritto.
Quando leggiamo la sentenza della Corte Costituzionale verifichiamo che il divieto per i singoli di accedere all’adozione internazionale è stato dichiarato illegittimo per violazione degli artt. 2 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.
Ecco: ce lo chiede l’Europa! O meglio: non lo chiede nemmeno espressamente, ma la Consulta fa un passo avanti e interpreta proprio l’art. 8 CEDU. Che articolo è questo? È quello che stabilisce «il diritto al rispetto della vita privata e familiare»; è quella norma che è stata usata ripetutamente per affermare i diritti individuali, è lo strumento per trasformare i desideri in diritto soggettivo che lo Stato deve obbligatoriamente riconoscere.
Ecco che «in termini generali, le scelte orientate alla costituzione dei vincoli genitoriali sono ascrivibili all’ampio contenuto della libertà di autodeterminazione». Autodeterminazione di chi? Ovviamente degli adulti!
La Corte, dopo avere sancito il principio (già affermato in precedenza: ricordiamo la sentenza che ha reso lecita la fecondazione eterologa), sembra ritrarsi, affermando che «non esiste un diritto alla genitorialità»; in effetti, si aggiunge, esiste «una pluralità di interessi» e, quindi, «i presupposti costitutivi di un vincolo genitoriale… devono essere anche orientati alla realizzazione dell’interesse del potenziale figlio». Notiamo questa parolina: «anche». La legge sull’adozione non è più diretta a garantire «il diritto di un minore ad una famiglia» ma, piuttosto, deve tenere presenti anche gli interessi del minore.
Quindi: c’è un diritto dell’adulto che vuole diventare genitore e un “interesse” del potenziale figlio; la Corte afferma che devono essere bilanciati, ma si affretta a specificare che «la protezione costituzionale di tale interesse (quello del figlio) non ricomprende qualunque istanza il legislatore intenda riconoscergli». Quindi: tutelare sì, gli interessi del minore, ma tenendo conto del diritto dell’adulto: «Le singole esigenze riferite al potenziale figlio vanno, infatti, anch’esse ponderate, tenendo conto… dell’interesse di chi aspira alla genitorialità».
Ci sarebbero molte altre considerazioni da fare. Ciò che sembra chiaro è che la Corte, dopo avere trasformato il desiderio di genitorialità dell’adulto singolo – una situazione di sofferenza, un desiderio forte, lo comprendiamo bene, non lo neghiamo - in un diritto soggettivo, ha “bilanciato” questo diritto con l’interesse dei minori adottabili residenti all’estero (per di più nemmeno specificamente individuati, perché si parla della dichiarazione di idoneità all’adozione, preliminare alle pratiche di adozione) e, sostanzialmente, ne ha affermato la prevalenza.
L’adozione si trasforma definitivamente in un altro strumento per gli adulti per avere un figlio proprio.
Sia chiaro: niente di nuovo. La legalizzazione della fecondazione artificiale (in Italia da parte della legge 40 del 2004) ha già cambiato le carte in tavola: dalla logica del dono e dell’accoglienza del minore abbandonato a quella del figlio “proprio”, da avere se e quando gli adulti lo vogliono e, se possibile, “come” lo vogliono.
La sentenza ricorda che è crollato il numero delle domande di adozioni internazionali: a parte che, di per sé, ciò non giustificherebbe la decisione – non voglio essere cinico, ma pare strano che l’Italia debba occuparsi di tutti i bambini abbandonati nel mondo – dovremmo chiederci il motivo di questo fenomeno; se esso non sia frutto di un mutamento di mentalità, del cambiamento del modo di “vedere” il figlio.
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