mercoledì 3 agosto 2022

Ora non c'è proprio più scampo. Archie Battersbee deve morire



Respinto anche l'estremo appello alla Corte Suprema britannica, che ha dato ragione ai medici che giudicano la morte nel suo "miglior interesse", per Archie Battersbee non c'è più speranza: alle 11 (le 12 ora italiana) inizierà il distacco dei sostegni vitali, malgrado sia stato annunciato un ultimo disperato tentativo alla Corte Europea dei Diritti Umani. Sentenza «brutale e vergognosa», la reazione di Hollie Dance, la coraggiosa mamma del 12enne in coma dal 7 aprile, che ha detto che comunque combatterà «fino all'ultimo minuto per suo figlio».



REGNO UNITO
VITA E BIOETICA

Riccardo Cascioli, 03-08-2022

«Stanno giustiziando mio figlio… Combatterò fino all’ultimo minuto». Sono le prime parole pronunciate da Hollie Dance dopo la sentenza definitiva della Corte Suprema che spegne ogni possibilità di fermare i medici che vogliono staccare i supporti vitali da suo figlio Archie Battersbee. E l’esecuzione è già stata fissata per oggi, 3 agosto, alle 11. Hollie ha annunciato che i suoi legali faranno comunque un ultimo disperato tentativo appellandosi alla Corte Europea dei Diritti Umani, ma l’ospedale ha già fatto sapere che non aspetterà ulteriori sentenze o ingiunzioni: alle 11 la procedura inizierà. La possibilità che la macchina della morte possa essere fermata è quindi praticamente nulla.

Come si ricorderà Archie è un ragazzo di 12 anni che è in coma, ricoverato al Royal London Hospital con gravissime lesioni cerebrali dallo scorso 7 aprile in seguito a un incidente in casa provocato probabilmente da una sfida online. Il ricorso alla Corte Suprema – con la richiesta di fermare i medici in attesa che la Commissione Onu sui Diritti delle Persone Disabili esaminasse il caso – era l’ultima possibilità legale rimasta ai genitori di Archie per guadagnare ancora tempo. Ma i tre giudici della Corte Suprema ieri pomeriggio hanno dato ragione alla Corte d’Appello che l’1 agosto aveva già decretato come non vincolante l’ingiunzione della Commissione ONU di sospendere le procedure che porteranno alla morte di Archie. Soprattutto di fronte a quello che, ancora una volta, è stato definito il “miglior interesse” di Archie, cioè la morte.

Lord Hodge, che presiedeva ieri la corte formata anche dai Lord Kitchin e Stephens, nell’annunciare la sentenza ha ribadito infatti che il punto centrale del contenzioso tra il Barts Health NHS Trust – che rappresenta l’ospedale – e la famiglia di Archie «non riguarda la guarigione di Archie ma il tempo e le modalità della sua morte». E richiamando la sentenza del 25 luglio del giudice Hayden, ha detto che «il mantenimento delle cure mediche serve solo a protrarre la sua morte». Infatti, sempre secondo la stessa sentenza «non ci sono prospettive di significativi miglioramenti. Se anche si mantenessero i supporti vitali Archie morirebbe nel giro di poche settimane per il collasso degli organi e poi con un infarto». Quindi, tanto vale farlo fuori subito. Non sfuggirà il fatto che con la stessa logica sarebbe lecito eliminare qualsiasi malato terminale, con la possibilità – ovvia – di estendere a piacere il confine del concetto “terminale”.

Nessun diritto viene concesso alla famiglia e alla volontà della persona condannata a morte, alla faccia di chi sbandiera l’eutanasia come diritto personale a una morte dignitosa o invoca il testamento biologico. Ancora Lord Hodge spiega infatti che «sebbene ci sia evidenza che Archie aveva convinzioni religiose, era molto unito a sua madre e desiderava non lasciarla sola», questi sono «solo alcuni dei fattori» che la Corte deve prendere in esame. In effetti è stato testimoniato che Archie, sebbene giovanissimo, aveva chiaramente espresso il desiderio di essere mantenuto in vita se si fosse trovato in situazioni simili, ma in una precedente sentenza si è stabilito che però Archie «non poteva prevedere la situazione in cui si trova ora».

Già, ma qual è la sua situazione ora? «Morte cerebrale», insistono i medici, ma in realtà non sono stati in grado di produrre l’evidenza scientifica di tale affermazione, in quanto non sono stati fatti tutti gli esami per stabilire con certezza il livello delle lesioni cerebrali di Archie. Semplicemente dal terzo giorno hanno deciso che Archie doveva morire e hanno chiesto l’autorizzazione per l’espianto degli organi. Al punto che anche la prima sentenza sul caso parlava di «un’alta probabilità» di morte cerebrale. E nelle successive udienze i giudici, pur non insistendo sulla morte cerebrale, hanno sempre rifiutato ai legali della famiglia di Archie di portare evidenze contrarie sulle reali condizioni di Archie e pareri medici indipendenti.

Alla famiglia è stato negato anche l’ultimo desiderio di avere Archie trasportato in un hospice a venti minuti di distanza, per vivere in un ambiente tranquillo e raccolto almeno le ultime ore insieme, lontano da quell’ospedale dove fin dal primo momento si è lavorato per la sua morte e dove la tensione è palpabile, malgrado nelle dichiarazioni ufficiali si sforzino di mostrare comprensione e desiderio di collaborare con la famiglia.. Il Trust ieri sera ha negato il trasferimento giustificando questa decisione con il rischio che Archie potrebbe morire durante il trasporto. Se ci fosse un premio all’umorismo macabro, il Trust lo vincerebbe a mani basse.

Si comprendono allora le dure parole di Hollie Dance, la mamma di Archie, ieri sera dopo la sentenza della Corte Suprema, definita «brutale e vergognosa». Hollie ha denunciato la fretta con cui i medici del Royal London Hospital hanno voluto procedere fin da subito: «È stato il modo dell’ospedale fin dall’inizio – ha detto – “presto, presto, presto, va fatto subito”, “dobbiamo fare rapidamente, dobbiamo giustiziare questo bambino”. E potendo contare sul sostegno del sistema legale, per l’ospedale è stato tutto molto semplice, e penso che questo sia ignobile, assolutamente vergognoso».
Il problema infatti non è soltanto l’ospedale, ma il sistema che, infatti in questi anni – come abbiamo visto – ha eliminato allo stesso modo Charlie, Isaiah, Alfie e tanti altri: «È questa la direzione che vuole prendere il nostro paese? Permettere l’esecuzione di bambini che sono disabili? Qual è il prossimo passo?». Domande che non riguardano soltanto il Regno Unito.









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