Le recenti affermazioni sull'aborto così come altre iniziative della Pontificia Accademia per la Vita, hanno provocato scandalo e polemiche. Ma non si tratta di uscite estemporanee, piuttosto c’è una precisa volontà di trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa. E monsignor Paglia svolge solo il compito affidatogli.
Stefano Fontana, 30-08-2022
Le uscite sull'aborto di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e le fughe in avanti dei teologi a lui legati su contraccezione e fecondazione artificiale, ci dicono una cosa: se monsignor Vincenzo Paglia è stato messo lì e se viene mantenuto lì, è perché si vuole trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa, e non solo quella relativa ad uno specifico problema come la contraccezione. E siccome la dottrina morale della Chiesa è l’ambito in cui si inscrive la Dottrina sociale della Chiesa, si vuole trasformare anche quest’ultima in qualcosa di diverso dalla tradizione giunta fino a Benedetto XVI.
Facciamo un passo indietro. Qualche giorno prima che nel 2019 Francesco chiudesse e trasformasse l’Istituto Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia a suo tempo istituito da Giovanni Paolo II, togliendolo dalla Pontificia Università Lateranense e incardinandolo nella Pontificia Accademia per la Vita sotto la “guida” del cancelliere monsignor Vincenzo Paglia, veniva pubblicato il Dizionario su sesso, amore e fecondità, a cura di José Noriega insieme con René e Isabelle Ecochard (Cantagalli, Siena 2019). Un’opera ponderosa e importante, che in pratica riproponeva l’insieme degli insegnamenti della Chiesa in materia.
Questa pubblicazione era apparsa come il canto del cigno del Giovanni Paolo II, l’ultimo lascito prima del nuovo corso che già allora si poteva con certezza prevedere come molto diverso e, per meglio dire, contrastante. Appena avuto in mano il Giovanni Paolo II, Paglia tentò di bloccare la distribuzione in libreria del Dizionario e in seguito il nuovo Istituto Giovanni Paolo II ruppe progressivamente tutta la collaborazione editoriale col vecchio editore, compresa l’edizione della rivista dell’Istituto Anthropothes.
Il tentativo di damnatio memoriae dipendeva dal fatto che il Dizionario riproponeva la tradizionale e imperitura dottrina cattolica sul significato della relazione sessuale tra moglie e marito e argomentava il carattere immodificabile degli insegnamenti morali della Humanae vitae di Paolo VI. Augusto Sarmiento trattava dell’autorità dottrinale della Humanae vitae (pp. 464-469), quella che in questi giorni Paglia vuole svuotare di significato; Alfonso Fernàndez Benito esponeva i contenuti del magistero anteriore (pp. 470-476) e Juan Andrés Talens Hernandis quelli del magistero posteriore (pp. 476-482): ne risultava una perfetta continuità tra prima e dopo.
Le tre “voci” del Dizionario chiariscono senza alcuna ombra di dubbio la immodificabilità degli insegnamenti basati sul seguente principio: «La sessualità umana, caratteristica del linguaggio con cui i coniugi si relazionano nell’atto matrimoniale, ha due significati fondamentali – il significato “unitivo” e il “significato procreativo” – tra i quali vi è una connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa» (Humanae vitae, 12). Il Dizionario chiariva che esistono norme morali dalla validità permanente ed universale, che l’esistenza di queste norme è anche una verità rivelata, che sulla questione specifica Paolo VI ha espresso chiaramente la volontà di insegnare propria del suo ministero apostolico, che i suoi insegnamenti confermano tutti i precedenti e sono stati confermati da tutti i successivi fino a ieri. L’immodificabilità degli insegnamenti non si ha solo nei pronunciamenti ex cathedra.
Nel medesimo Dizionario era anche pubblicato un intervento di chi ora scrive queste righe (pp. 489-494), nel quale si sottolineava la dimensione “sociale” della Humanae vitae e del suo insegnamento sulla contraccezione, insegnamento che riguardava la dottrina morale ma che concerneva anche la Dottrina sociale della Chiesa.
Si tratta di un punto importante, perché negando e rivedendo l’insegnamento sulla contraccezione, si finisce da un lato per negare gli stessi presupposti fondamentali della teologia morale, come per esempio il fatto che l’uomo abbia una natura e che non sia solo storia, e si finisce dall’altro per rendere impossibile la Dottrina sociale della Chiesa, dato che la società inizia dalla coppia degli sposi. Se in quel punto sorgivo della socialità (lo scopo unitivo) e della società (lo scopo procreativo) è possibile sostituire alle norme eterne della natura, confermate e purificate dalla rivelazione, una tecnica strumentale umana, allora la società o non nasce o nasce dalla violenza reciproca piuttosto che dall’accoglienza.
Se i due si relazionano secondo i propri desideri, non nasce alcuna coppia nel senso di una realtà nuova superiore ai componenti, nasce solo un accostamento strumentale; se i due si relazionano secondo una norma indisponibile a loro stessi, se comprendono di “essere costituiti” coppia e non di “essersi costituiti coppia”, allora ogni relazione sociale successiva è salva dalla violenza e dalla strumentalizzazione.
Da quando il vescovo Paglia è alla guida della Pontificia Accademia per la Vita e, soprattutto, da quando è alla guida del nuovo Istituto Giovanni Paolo II, ora denominato “per le scienze del matrimonio e della famiglia”, non si contano i suoi interventi assolutamente contrastanti con la dottrina tradizionale della Chiesa e le sue macchinazioni, come la lotta al Dizionario visto sopra, le nomine ad hoc sia nell’Accademia sia nell’Istituto, fino ai miserevoli tweet poi ritirati. Tradizionale, come si sa, non vuol dire “vecchia” o “superata”, ma sempre viva perché sempre uguale.
Se monsignor Vincenzo Paglia è stato messo lì e se viene mantenuto lì, è perché si è deciso di trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa, compresa la sua Dottrina sociale. Non gli sarà chiesta alcuna correzione di rotta né, tantomeno, nessuna dimissione.
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