di Federico Catani
Quattro figure stilizzate di colore arcobaleno, una abbracciata all’altra, con l’apri-fila che afferra una croce. Questo il logo del Giubileo del 2025, presentato in Vaticano lo scorso 28 giugno. Nonostante le spiegazioni fornite, l’uso dei colori dell’arcobaleno ha fatto discutere, così come l’ideatore del logo, che non è un grafico professionista, bensì un massaggiatore. In effetti, sarebbe stato meglio non dare adito ad illazioni su possibili riferimenti al movimento omosessuale. O forse no, viste le tendenze degli ultimi anni.
Tutto è iniziato infatti da quel «Chi sono io per giudicare?» pronunciato da papa Francesco sull’aereo che lo riportava a Roma al termine della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, nel luglio 2013. Ad essere sinceri, la domanda del Papa era inserita in un contesto ben preciso: si riferiva ad una generica persona omosessuale «che cerca il Signore e che ha buona volontà». Ma i media se ne sono serviti per annunciare il cambio di paradigma della Chiesa cattolica sull’omosessualità. D’altra parte, in Vaticano nessuno ha mai pensato di chiarire, rettificare, puntualizzare.
Così, da allora, sul tema a regnare sovrana in casa cattolica è soprattutto la confusione, determinata da allusioni più o meno velate, pronunciamenti ambigui, frasi contraddittorie, gesti equivoci. Se è vero infatti che nulla è ancora cambiato nel Catechismo, e se è noto che la Congregazione per la Dottrina della Fede nel febbraio 2021 ha vietato, con l’assenso di Francesco, la benedizione delle unioni tra persone dello stesso sesso, è però altrettanto innegabile un vero e proprio cambiamento nella prassi e nel discorso pubblico di molti esponenti della gerarchia ecclesiastica, Sommo Pontefice incluso. E nella nostra civiltà dell’immagine, un atto simbolico ha molto più peso di mille documenti scritti.
In quasi dieci anni di pontificato bergogliano, gli esempi da citare al riguardo sono troppi. Per farsi un’idea, oltre al già citato logo, ecco di seguito alcuni fatti delle ultime settimane.
A Bologna, arcidiocesi del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e tra i possibili successori di Francesco, l’11 giugno è stata celebrata una Messa di ringraziamento per l’unione civile di due ragazzi omosessuali appartenenti al gruppo “In cammino”. Gruppo non proprio conforme al magistero ufficiale della Chiesa, tanto che sino all’arrivo di mons. Zuppi svolgeva le sue attività quasi clandestinamente. Nessuno ha preso le distanze da questo evento: né l’arcivescovo, né il Vaticano. Lo stesso giorno, don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova e noto per la sua amicizia con papa Bergoglio, su Facebook si è felicitato per l’unione civile tra il giornalista Rai Alberto Matano e il suo compagno. Anche in questo caso, non risulta che qualche superiore abbia rimproverato il sacerdote o chiesto una rettifica.
Lo scorso 17 maggio, poi, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, un parroco di Montesilvano (Pescara) ha chiesto ad una coppia lesbica di raccontare ai fedeli la propria storia d’amore.
In Germania, il mese scorso, i 300 membri della provincia francescana di Santa Elisabetta hanno eletto come nuovo superiore padre Markus Fuhrmann, il quale poco tempo prima aveva reso pubblica la sua omosessualità: «Se io stesso sono gay, allora voglio dimostrare che posso anche far parte della Chiesa in questo ministero». A scanso di equivoci, evidentemente qui non si sta facendo riferimento alle tendenze omosessuali - che il Catechismo considera disordinate (come del resto tante altre tendenze), ma non peccaminose -, bensì alla pratica omosessuale.
Comunque, anche questa volta, silenzio. A Coira, il vescovo Joseph Maria Bonnemain (dell’Opus Dei) il 14 giugno ha chiesto ai sacerdoti e a quanti lavorano per la diocesi di firmare un codice anti-abusi in cui, tra le altre, sono presenti frasi di questo tenore: «Rinuncio a valutazioni globalmente negative su pretesi comportamenti non biblici in materia di orientamento sessuale»; «Riconosco i diritti sessuali come diritti umani, in particolare il diritto all’autodeterminazione sessuale»; «Tralascio qualsiasi forma di discriminazione fondata su orientamento sessuale o identità». In poche parole, un attacco all’insegnamento morale della Chiesa.
Come già detto, si potrebbero citare centinaia e centinaia di casi similari. E se si considera l’ostracismo o l’opposizione verso gruppi cattolici come Courage, che nella cura pastorale delle persone omosessuali adottano invece un approccio fedele al magistero della Chiesa, bisogna prendere atto di un’aria nuova che tira.
Finora tutti si richiamano alla tradizione e rivendicano continuità con il passato. Sostengono che la dottrina non cambia. Eppure questa viene negata nei fatti. Come ha sempre affermato in numerose interviste, per Francesco l’importante è aprire e avviare processi. Bisogna preparare il terreno. Ecco allora che, così come per molti altri temi, pure per l’omosessualità sembra si voglia spingere i fedeli ad un “trasbordo ideologico inavvertito”, da cui aveva messo in guardia l’intellettuale brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira già sessant’anni fa. Insomma, con il pretesto del dialogo, dell’accoglienza e della vicinanza, si punta alla accettazione, legittimazione e normalizzazione della condotta omosessuale. Dobbiamo aspettarci prossimi, rivoluzionari cambiamenti?
© La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.
Nessun commento:
Posta un commento