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by Aldo Maria Valli
di Stefano Fontana
Esce in questi giorni il mio libro Ateismo cattolico? Quando le idee sono fuorvianti per la fede (Fede & Cultura, Verona 2022, pagine 176, euro 17).
È inusuale che un autore presenti un proprio libro. Di solito questo compito viene riservato ai recensori. Questa volta vorrei però fare eccezione per due motivi. Il primo è il titolo del libro – “Ateismo cattolico?” -, che può sembrare azzardato e provocatorio, nonostante l’attenuazione prodotta dal punto di domanda. Un titolo così impegnativo e ingombrante non lo si poteva lasciare spiegare ad altri. Il secondo motivo è che questo titolo e questo libro concludono il percorso di tutti i miei libri recenti, da Filosofia per tutti a La filosofia cristiana. In fondo, tutti hanno trattato un solo argomento, l’ateismo cattolico appunto. Tutti affrontano il problema di cosa accade quando la fede fa ricorso a una filosofia sbagliata, incompatibile con essa e tale da stravolgerne i contenuti. Più in particolare: cosa succede quando la fede si affida a una filosofia atea.
Questo problema, veramente fondamentale, nasce a due condizioni, senza delle quali non viene nemmeno percepito. La prima di queste condizioni è che la fede cattolica abbia bisogno della ragione filosofica con la quale debba rapportarsi per sua stessa essenza. Si tratta della condizione secondo cui la fede cattolica presenta alla ragione filosofica, con cui entra necessariamente in rapporto, proprie condizioni veritative, sulla base delle quali scarta le filosofie inadeguate e cerca di relazionarsi con la filosofia naturale dello spirito umano, l’unica vera. La seconda di queste due condizioni è che si dia un ateismo filosofico, una filosofia atea, la quale contraddica radicalmente quelle esigenze veritative della fede, al punto che se venisse adoperata da parte della fede produrrebbe appunto il corto circuito di un ateismo cattolico. Nei miei libri, e in particolare in questo ultimo, faccio mie queste due condizioni, perché sono condizioni non mie, ma della “filosofia cristiana”, vale a dire del modo corretto di intendere il rapporto tra la fede e la ragione.
Le due condizioni ora viste sono oggi negate e per questo motivo questo mio nuovo libro, come i precedenti, potrà dare fastidio, a partire dal fastidioso concetto di ateismo cattolico, che diffonde un’ombra di sospetto su tanti teologi contemporanei, molti dei quali sono alti prelati della Chiesa cattolica. Leggendolo, si finisce per chiedersi fino a che punto l’ateismo cattolico sia diffuso nella Chiesa. Oggi, quindi, le due condizioni viste sopra sono negate. Ma negate da chi?
Prima di tutto negate dalla filosofia che si rifà ai presupposti della modernità filosofica. L’ateismo filosofico consiste nel fare i primissimi passi in filosofia in modo tale da rendere impossibile pensare Dio. Ora, la filosofia della modernità ha fatto proprio questo. Certamente, ha negato Dio nelle sue conclusioni, con tanto di voluminosi trattati, ma aveva negato Dio già nei suoi primissimi passi, nel suo, come dicono gli esperti, “cominciamento”. Il problema del cominciamento è fondamentale in filosofia: se nel suo primo vagito la filosofia si mette su una strada che nega Dio, nel senso che non può permetterne la conoscenza, allora essa non potrà più tornare indietro, se non negando se stessa, cosa che pochi filosofi hanno il coraggio di fare. La filosofia moderna è “atea” anche se molti dei suoi filosofi erano cristiani, come Kant, o addirittura cattolici, come Cartesio. Perché l’ateismo cattolico non riguarda un atteggiamento soggettivo, ma la logica atea interna alle categorie concettuali che si assumono. Si tratta di un ateismo epistemico, teoretico, concettuale. Dato che il pensiero moderno parte dal ritenere che nulla esista al di là del pensiero, Dio diventa impensabile e il “principio di immanenza” legherà ogni altro passo del percorso filosofico successivo.
Anche la religione protestante nega le condizioni che abbiamo visto sopra, dato che non riconosce che la fede esprima delle esigenze veritative che interpellano la filosofa tramite i suoi dogmi, né ritiene che la filosofia possa essere atea o teista, a seconda di come si imposta il cominciamento. Lutero, separando la fede e la ragione, pone le basi per la modernità filosofica – pur non essendo stato egli un filosofo – perché rende la fede indifferente alla propria verità – una fede senza dogmi – e indifferente quindi anche alla verità della filosofia, con la quale non ha nessun bisogno di un rapporto essenziale. È enorme l’influenza del protestantesimo sulla modernità filosofica e sarebbe molto lungo l’elenco dei filosofi di origine protestante. È stata anche enorme, però, l’influenza della riforma protestante e della sua teologia nei confronti della teologia cattolica, che oggi poco si differenzia, almeno nelle sue linee più modernizzate, da quella protestante.
Con questo ultimo accenno, ho indirettamente posto il grande problema che sta sotto all’inquietante titolo di ateismo cattolico. L’assunzione in teologia – parlo della teologia accademica ma poi anche di quella del semplice fedele influenzato dalla prima – di una filosofia atea che separa irrimediabilmente la fede come atto personale e la fede come contenuto creduto o dogma. Nascerà una fede senza dogmi, fondata sulle buone pratiche personali, i teologi cattolici esalteranno Kant e ne imiteranno il “pietismo”, vale a dire la riduzione della fede a buoni comportamenti sociali, sosterranno che i dogmi sono compatibili con ogni approccio filosofico, nei seminari verranno insegnate indifferentemente tutte le filosofie, i sacerdoti e i vescovi parleranno molte lingue diverse, il concetto di eresia si trasformerà in qualcosa di positivo, e tutti noi, quando parleremo tra di noi, non sapremo più distinguere l’atto di fede soggettiva del nostro interlocutore con quanto egli ci sta dicendo di contenuto dottrinale, sicché la buona fede sostituirà la fede. Con l’ateismo cattolico è possibile che uno sia soggettivamente in buona fede e oggettivamente pensi e operi da ateo.
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