Il solito don Chiodi, stavolta sulla rivista dei Dehoniani, dice che Humanae Vitae è riformabile perché non infallibile. E sulla contraccezione gioca la solita carta delle circostanze e della qualità delle intenzioni. Che però non possono mai bonificare la malvagità di un atto. Un sovvertimento totale dell’insegnamento della Chiesa.
Luisella Scrosati, 29-08-2022
Infallibilità sulle questioni morali? è il titolo di un’intervista di Fabio Mastrofini a don Maurizio Chiodi per Settimana News, il settimanale online dei Dehoniani. La risposta è molto semplice: neanche per sogno! Solo che, ovviamente, c’è bisogno di tutto un giro di parole per intortare il lettore. E quella di “realizzare torte” è un’abilità nella quale don Chiodi ha pochi rivali. Ragione principale per cui è stato scelto, nell’era di Paglia, come ordinario di Bioetica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.
È da un po’ che don Chiodi ci prova a scalzare l’insegnamento della Chiesa sull’integrità dell’atto coniugale. Ma da quando il vento in Vaticano è cambiato, il suo impegno è diventato più zelante, sebbene la sua argomentazione sia sempre la solita: dapprima semplicemente errata, poi monotona, adesso stantia: «la nota teologica – vale a dire l’autorevolezza dell’insegnamento – di un’enciclica non appartiene al magistero infallibile». Dunque l’enciclica Humanae Vitae, «come ogni enciclica, compresa Veritatis splendor (VS), è un documento autorevole, ma senza pretesa di infallibilità». Conclusione: «sull’HV, e sulla precedente presa di posizione di Casti connubii – ancor più forte – siamo nel campo della doctrina reformabilis».
Eh già. Perché che fanno i papi quando scrivono encicliche? E’ un modo come un altro per ammazzare il tempo ed esprimere opinioni personali; solo che, siccome sei il papa, anziché scrivere un saggio, hai la corsia preferenziale dell’enciclica. Poi, sempre perché sei il papa, ti puoi anche permettere di uscire sul balcone o andare all’ambone, e mentire a centinaia di milioni di persone, dicendo che in realtà si tratta di una verità immutata ed immutabile. Così magari vendi qualche copia in più.
Come fece un tale Paolo VI, dieci anni dopo la promulgazione della HV, che da burlone qual era, prese tutti per il naso proclamando di aver promanato l’enciclica «ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili» (vedi qui).
Siamo sempre alle solite: un insegnamento nella Chiesa può essere certo e definitive tenenda, anche se l’atto che l’ha promulgato non ha il carattere dell’infallibilità (e non è il caso di HV: ma questa è una lunga storia). La ragione è piuttosto elementare e sta nella verità del contenuto: 2+2 fa 4 anche se il papa non l’ha scritto sulla lavagna invocando la sua infallibilità. Che ricorrere alla contraccezione comporti la separazione del significato unitivo da quello procreativo in quel dato atto, è innegabile. E che l’unione di quei due significati sia costitutiva dell’atto coniugale, è altrettanto innegabile.
È per questa ragione che «richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (HV 11). «Costante dottrina», che però per don Chiodi può essere riformata, purché non si sostituisca «frettolosamente la propria idea con l’insegnamento del magistero, avocando a sé un’infallibilità negata a questo», ma si apra «la discussione teologica, dentro la Chiesa, e perfino la possibilità di un dissenso, tanto per il singolo credente quanto per il teologo». Tradotto: l’importante non è non fare vaccate, ma non farle frettolosamente. Che è un altro modo per tradurre la strategia “francescana” di non fare rivoluzioni, ma avviare processi.
Per farlo, è essenziale convincere le persone che non si stanno contraddicendo i pronunciamenti del Magistero, ma si stanno ampliando, sviluppando, completando. Basta usare la fantasia.
Nell’intervista, per esempio, Chiodi si propone come il salvatore della Patria, che cerca faticosamente la strada per comporre tra loro due istanze etiche: quella che chiede la valutazione degli effetti e delle circostanze di un’azione morale e quella che difende «la validità incondizionata del bene». «Come comporre queste due istanze senza negare né l’una né l’altra, ma pensandole insieme?». Risposta: «Per parte mia, credo che non si debbano negare gli atti intrinsecamente cattivi, ma che insieme occorra pensare in radice che cos’è un atto, superandone un’interpretazione oggettivata, che cioè prescinda dalle circostanze, dagli effetti e dalle intenzioni inscritte nelle azioni dei soggetti coinvolti».
E guarda un po’, un esempio da seguire sarebbe Amoris Laetitia, «secondo la quale la relazione sessuale tra due divorziati risposati non è necessariamente adultera». Mentre si nega di voler eliminare gli atti intrinsecamente cattivi, si afferma che un atto intrinsecamente cattivo non è più tale. Per quale ragione? Per via delle circostanze e della qualità delle intenzioni. Attenzione, sono secoli che è ben noto che le circostanze costituiscono l’atto morale, nel senso che non esiste alcun atto morale che astragga dalle circostanze e dalle intenzioni del soggetto, in quanto ogni atto morale è un atto individuale. Tuttavia, «non ogni circostanza può rendere l’atto morale buono o cattivo» (Somma teologica, I-II, q. 18, a. 10, ad 3), ma solo quelle che determinano la specie dell’atto morale; e «non tutte le circostanze che accrescono la bontà o la malizia conferiscono all’atto morale una diversa moralità specifica» (q. 18, a. 11).
In sostanza, nell’intervista Chiodi fa il fenomeno, come se fosse il primo a considerare le circostanze e le intenzioni in un atto morale. Quello che in realtà sta facendo è sovvertire totalmente l’insegnamento su questo punto. Vediamo perché. Egli porta un esempio che mette sullo stesso piano il comandamento di non uccidere, dove la circostanza dell’innocenza della persona determina la specie dell’atto morale (diversamente si potrebbe trattare di legittima difesa), con l’adulterio. In quest’ultimo caso però è proprio la circostanza concreta che l’altra persona non è il proprio coniuge a determinare la specie dell’atto. Le altre circostanze e le intenzioni del soggetto non incidono sulla specie morale e non sono pertanto in grado di “bonificare” la malvagità dell’adulterio, ma semmai possono accrescere o ridurre la malizia di quell’azione.
È l’insegnamento di Veritatis Splendor, 52: «ciò che si deve fare in una determinata situazione dipende dalle circostanze [...]; al contrario ci sono comportamenti che non possono mai essere, in nessuna situazione, una risposta adeguata — ossia conforme alla dignità della persona». Ed è per la stessa ragione che HV, escludendo «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione», metteva in guarda dal giustificare ricorrendo alle circostanze o alle intenzioni. Spiegava infatti Paolo VI (HV, 14) che non è possibile invocare come valida ragione che vi siano alcune gravi circostanze che richiederebbero di «scegliere quel male che sembri meno grave»; e nemmeno «che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale». Che sono esattamente le due strade che Chiodi & C. hanno percorso nella stesura del Testo Base, di cui abbiamo parlato qui; ossia che la contraccezione può essere ammessa in ragione di «condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare» (che sarebbe dunque un male più grave della contraccezione), da parte di quelle coppie «che hanno deciso o decideranno di accogliere figli», le quali perciò «senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento», non la prevedono.
Quelle di Chiodi sono tutte balle: egli sa molto bene che, dietro le sue parole fumose, sta sovvertendo tutto l’insegnamento della Chiesa. Ma non ha abbastanza testosterone per dirlo apertamente. Paglia e Chiodi: di questo materiale è fatta la “nuova Chiesa”.
È da un po’ che don Chiodi ci prova a scalzare l’insegnamento della Chiesa sull’integrità dell’atto coniugale. Ma da quando il vento in Vaticano è cambiato, il suo impegno è diventato più zelante, sebbene la sua argomentazione sia sempre la solita: dapprima semplicemente errata, poi monotona, adesso stantia: «la nota teologica – vale a dire l’autorevolezza dell’insegnamento – di un’enciclica non appartiene al magistero infallibile». Dunque l’enciclica Humanae Vitae, «come ogni enciclica, compresa Veritatis splendor (VS), è un documento autorevole, ma senza pretesa di infallibilità». Conclusione: «sull’HV, e sulla precedente presa di posizione di Casti connubii – ancor più forte – siamo nel campo della doctrina reformabilis».
Eh già. Perché che fanno i papi quando scrivono encicliche? E’ un modo come un altro per ammazzare il tempo ed esprimere opinioni personali; solo che, siccome sei il papa, anziché scrivere un saggio, hai la corsia preferenziale dell’enciclica. Poi, sempre perché sei il papa, ti puoi anche permettere di uscire sul balcone o andare all’ambone, e mentire a centinaia di milioni di persone, dicendo che in realtà si tratta di una verità immutata ed immutabile. Così magari vendi qualche copia in più.
Come fece un tale Paolo VI, dieci anni dopo la promulgazione della HV, che da burlone qual era, prese tutti per il naso proclamando di aver promanato l’enciclica «ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili» (vedi qui).
Siamo sempre alle solite: un insegnamento nella Chiesa può essere certo e definitive tenenda, anche se l’atto che l’ha promulgato non ha il carattere dell’infallibilità (e non è il caso di HV: ma questa è una lunga storia). La ragione è piuttosto elementare e sta nella verità del contenuto: 2+2 fa 4 anche se il papa non l’ha scritto sulla lavagna invocando la sua infallibilità. Che ricorrere alla contraccezione comporti la separazione del significato unitivo da quello procreativo in quel dato atto, è innegabile. E che l’unione di quei due significati sia costitutiva dell’atto coniugale, è altrettanto innegabile.
È per questa ragione che «richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (HV 11). «Costante dottrina», che però per don Chiodi può essere riformata, purché non si sostituisca «frettolosamente la propria idea con l’insegnamento del magistero, avocando a sé un’infallibilità negata a questo», ma si apra «la discussione teologica, dentro la Chiesa, e perfino la possibilità di un dissenso, tanto per il singolo credente quanto per il teologo». Tradotto: l’importante non è non fare vaccate, ma non farle frettolosamente. Che è un altro modo per tradurre la strategia “francescana” di non fare rivoluzioni, ma avviare processi.
Per farlo, è essenziale convincere le persone che non si stanno contraddicendo i pronunciamenti del Magistero, ma si stanno ampliando, sviluppando, completando. Basta usare la fantasia.
Nell’intervista, per esempio, Chiodi si propone come il salvatore della Patria, che cerca faticosamente la strada per comporre tra loro due istanze etiche: quella che chiede la valutazione degli effetti e delle circostanze di un’azione morale e quella che difende «la validità incondizionata del bene». «Come comporre queste due istanze senza negare né l’una né l’altra, ma pensandole insieme?». Risposta: «Per parte mia, credo che non si debbano negare gli atti intrinsecamente cattivi, ma che insieme occorra pensare in radice che cos’è un atto, superandone un’interpretazione oggettivata, che cioè prescinda dalle circostanze, dagli effetti e dalle intenzioni inscritte nelle azioni dei soggetti coinvolti».
E guarda un po’, un esempio da seguire sarebbe Amoris Laetitia, «secondo la quale la relazione sessuale tra due divorziati risposati non è necessariamente adultera». Mentre si nega di voler eliminare gli atti intrinsecamente cattivi, si afferma che un atto intrinsecamente cattivo non è più tale. Per quale ragione? Per via delle circostanze e della qualità delle intenzioni. Attenzione, sono secoli che è ben noto che le circostanze costituiscono l’atto morale, nel senso che non esiste alcun atto morale che astragga dalle circostanze e dalle intenzioni del soggetto, in quanto ogni atto morale è un atto individuale. Tuttavia, «non ogni circostanza può rendere l’atto morale buono o cattivo» (Somma teologica, I-II, q. 18, a. 10, ad 3), ma solo quelle che determinano la specie dell’atto morale; e «non tutte le circostanze che accrescono la bontà o la malizia conferiscono all’atto morale una diversa moralità specifica» (q. 18, a. 11).
In sostanza, nell’intervista Chiodi fa il fenomeno, come se fosse il primo a considerare le circostanze e le intenzioni in un atto morale. Quello che in realtà sta facendo è sovvertire totalmente l’insegnamento su questo punto. Vediamo perché. Egli porta un esempio che mette sullo stesso piano il comandamento di non uccidere, dove la circostanza dell’innocenza della persona determina la specie dell’atto morale (diversamente si potrebbe trattare di legittima difesa), con l’adulterio. In quest’ultimo caso però è proprio la circostanza concreta che l’altra persona non è il proprio coniuge a determinare la specie dell’atto. Le altre circostanze e le intenzioni del soggetto non incidono sulla specie morale e non sono pertanto in grado di “bonificare” la malvagità dell’adulterio, ma semmai possono accrescere o ridurre la malizia di quell’azione.
È l’insegnamento di Veritatis Splendor, 52: «ciò che si deve fare in una determinata situazione dipende dalle circostanze [...]; al contrario ci sono comportamenti che non possono mai essere, in nessuna situazione, una risposta adeguata — ossia conforme alla dignità della persona». Ed è per la stessa ragione che HV, escludendo «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione», metteva in guarda dal giustificare ricorrendo alle circostanze o alle intenzioni. Spiegava infatti Paolo VI (HV, 14) che non è possibile invocare come valida ragione che vi siano alcune gravi circostanze che richiederebbero di «scegliere quel male che sembri meno grave»; e nemmeno «che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale». Che sono esattamente le due strade che Chiodi & C. hanno percorso nella stesura del Testo Base, di cui abbiamo parlato qui; ossia che la contraccezione può essere ammessa in ragione di «condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare» (che sarebbe dunque un male più grave della contraccezione), da parte di quelle coppie «che hanno deciso o decideranno di accogliere figli», le quali perciò «senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento», non la prevedono.
Quelle di Chiodi sono tutte balle: egli sa molto bene che, dietro le sue parole fumose, sta sovvertendo tutto l’insegnamento della Chiesa. Ma non ha abbastanza testosterone per dirlo apertamente. Paglia e Chiodi: di questo materiale è fatta la “nuova Chiesa”.
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