martedì 18 febbraio 2020

QUELLA VICINANZA TROPPO STRETTA TRA ONU E SANTA SEDE. Il Catholic Register intervista Stefano Fontana





17 febbraio 2020 By editorNOTIZIE DSC

Ecco l’intervista di Edward Pentin a Stefano Fontana per il “Catholic National Register”. Qui la versione in inglese pubblicata.

Segnaliamo anche l’articolo dello stesso Pentin sul medesimo argomento: leggi .

Qui la traduzione in italiano di Sabino Paciolla: leggi





Come probabilmente sapete, il Vaticano e in particolare la Pontificia Accademia delle Scienze sostiene spesso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), ma senza mostrare alcuna reale opposizione al numero 5 che promuove i diritti riproduttivi e l’uguaglianza di genere. Che cosa dice di questo approccio – che evita questioni morali delicate per collaborare con altri più laici accettabili come il cambiamento climatico e la povertà?


Alla sua domanda bisogna rispondere in due fasi: prima di tutto constatare la differenza con il recente passato; in secondo luogo cercare di capire il motivo della inversione di priorità cui lei accenna alla fine della domanda.

Quanto al primo aspetto, nel 2014 il nostro Osservatorio ha dedicato un numero della sua rivista al seguente tema: “Tutto ha avuto inizio al Cairo, l’ideologia post-umana degli organismi internazionali”. In un suo articolo qui pubblicato.

Alla conferenza del Cairo su “Popolazione e sviluppo” (1994) e poi in quella di Pechino (1995) sulla donna, il presidente della delegazione della Santa Sede, cardinale Renato Raffaele Martino, Osservatore permanente all’ONU, portava avanti una linea di netta opposizione alle direttive ONU, allora spinte da Stati Uniti e Unione Europea. La delegazione, sostenuta da Giovanni Paolo II che seguiva attentamente gli avvenimenti, negava il supposto problema della sovrappopolazione mondiale, si opponeva al controllo delle nascite tramite la pianificazione familiare, si dissociava dai cosiddetti “diritti riproduttivi”, espressione che proprio lì venne coniata per la prima volta, si opponeva all’introduzione di espressioni come “contraccezione d’emergenza”. Il cardinale Martino, scrivendo di queste cose in un numero della rivista del nostro Osservatorio, ricordava che nel marzo del 1994 Giovanni Paolo II inviò una eloquente lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite e ai Capi di Stato di tutti i Paesi partecipanti. Sei mesi dopo il Cairo, egli pubblicò l’enciclica Evangelium vitae e in prossimità del vertice di Pechino la Lettera alle Donne.

Ricordando queste cose è evidente l’attuale rovesciamento di prospettiva nelle relazioni tra Santa Sede e ONU, nonostante i “pericoli” iniziati al Cairo si siano nel frattempo acuiti. La piattaforma d’azione del Cairo doveva durare fino al 2015, quando fu rilanciata fino al 2030 con un nuovo programma ancora più preoccupante del precedente in quanto prevedeva perfino l’obiettivo di cambiare su questi temi la cultura e la religione dall’interno.

Il cardinale Martino aveva capito che si era aperto un nuovo fronte, quello delle parole. Al Cairo e a Pechino la Chiesa contraddiceva l’uso di espressioni come “salute produttiva”, mentre oggi la Santa Sede adopera queste espressioni. La Chiesa dovrebbe lottare per le parole a cominciare dalla parola “sostenibilità” che nel contesto ONU viene usata in modo inaccettabile dal punto di vista cattolico. Espressioni come “conversione ecologica” e come “ecologia integrale” possono piacere nell’ambiente ONU ma sono confuse dal punto di vista della teologia cattolica.

Per arrivare al secondo punto, il rovesciamento di prospettiva ora visto ha prodotto un altro rovesciamento: i principi legati alla legge morale naturale come l’aborto, la fecondazione artificiale, il controllo delle nascite non vengono più considerati di primaria importanza e da difendere ad oltranza, sostituiti dalla società multi-religiosa, dalla preoccupazione ecologica e dalla lotta alla povertà. Faccio notare che le stesse espressioni “diritto naturale” e “legge morale naturale”, così frequenti e centrali fino a Benedetto XVI, sono sparite dal linguaggio della Chiesa.


Perché la Santa Sede è così apparentemente entusiasta di collaborare con l’ONU?


Anche Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nei loro discorsi all’Assemblea delle Nazioni Unite, avevano avuto parole di apprezzamento per l’ONU, però non ne avevano mai sposato l’ideologia e la Chiesa aveva agito in due modi: proponendo in positivo visioni diverse e alternative radicate nel diritto naturale e nella rivelazione; combattendo tramite i suoi Nunzi e le delegazioni vaticane nei vari consessi ONU le distorsioni etiche e politiche. I rappresentanti della Santa Sede non firmavano, come Osservatori, una direttiva d’azione o un accordo sullo sviluppo umano pur positivo in molti punti se non era conforme alla legge naturale e divina in materia per esempio di aborto o di sessualità. Oggi nessuna delle due cose sembra avvenire più.

Lei chiede perché. Rispondo: per lo stesso motivo per cui la Chiesa oggi dice che bisogna collaborare con tutti perché la verità nasce dal dialogo e dal confronto. Cioè per una concezione esistenzialistica e storicistica della presenza della Chiesa nel mondo e quindi anche nel cotesto internazionale. Per questo sostenitori del controllo delle nascite e neomalthusiani – proprio quelli contro cui combatteva la Santa Sede di Giovanni Paolo II e del cardinale Martino – fanno parte di organismi vaticani e sono costantemente invitati e ascoltati. La nuova Chiesa rahneriana concepisce se stessa “nel mondo”, in cammino su un piano di parità con tutti gli altri.


Qual è la sua opinione sul fatto che il Papa stia cercando di convincere il Segretario Generale delle Nazioni Unite a creare una Giornata Mondiale della Fraternità Umana? È un tentativo per una sorta di religione unica al mondo?


Questo appiattimento sulle idee e sul linguaggio sull’ONU secolarizza la fede cattolica, togliendole dal punto di vista filosofico l’impianto metafisico, e dal punto di vista teologico l’assolutezza dottrinale. In questo modo la fede cattolica diventa un “percorso” accanto ad altri, non avendo più la pretesa di poter dire una parola di salvezza anche per le questioni temporali. Un tempo la Chiesa parlava di pace, convivenza e fraternità sulla base: a) della legge naturale, b) del Vangelo di nostro Signore. Oggi ne parla nel senso della collaborazione tra le religioni. Il cambiamento è notevole. Non tutte le religioni accettano il diritto e la morale naturali e, naturalmente, il Vangelo. Il dialogo con le religioni e con le istituzioni internazionali si incentra quindi su un minimo comune denominatore umanistico, generico e universalistico. Mettersi a servizio di questo obiettivo significa pensare che le religioni possano convergere in alcuni obiettivi umanistici lasciando da parte le rispettive teologie, il che è impossibile e pericoloso. Già Maritain si era sbagliato su questo punto. Le religioni considerano i problemi umani in base alla concezione che hanno del volto di Dio. Per farle convergere su un’unica visione di giustizia e di pace, per esempio, bisogna stravolgerle e uniformarle in modo forzato al ribasso. Pensare ad una giornata della fraternità umana da condividere con tutte le religioni significa mettere da parte la legge naturale e il Vangelo.


Quali sono i pericoli di questa collaborazione e in che modo è diversa dai precedenti pontificati?


Credo di aver già risposto, almeno parzialmente, a questa domanda. Ho fatto un esempio della notevole differenza di impostazione rispetto a Giovanni Paolo II rispetto ai rapporti tra Santa Sede e ONU lungo gli anni Novanta del secolo scorso. Ho anche segnalato che il pericolo principale è la secolarizzazione della religione cristiana. Se dovessi aggiungere ancora qualcosa, direi che è una forma di adeguamento della fede cattolica alle logiche del mondo, pensando forse che proprio lì Dio si auto-comunica. Società multi-religiosa, religione ecologica, immigrazioni pianificate sono i tre principali aspetti della “religione secolare” di oggi, fatta propria dall’ONU. Ma è proprio su questi punti che anche la Chiesa sta convergendo senza preoccuparsi troppo di dire qualcosa di specifico e di proprio.

Edward Pentin

















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