Aldo Maria Valli, 16-02-2020
Cari amici di Duc in altum, in questa domenica 16 febbraio (data che mi è molto cara perché è l’anniversario del mio battesimo) mi fa piacere proporvi una riflessione di don Alberto Strumia a proposito di “nuovi paradigmi” nella Chiesa. Una formula dietro la quale si nasconde (l’abbiamo visto sia nel sinodo amazzonico sia nel percorso sinodale tedesco) l’ambiguità sistematica come metodo per rompere con la Tradizione e stravolgere la dottrina.
A.M.V.
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Potremmo dire che le letture di questa domenica riguardano proprio quello che oggi è diventato di moda chiamare “il nuovo paradigma” nella Chiesa, secondo il quale si dovrebbe riformulare la sacra Scrittura, in particolare il Vangelo e l’intero deposito della fede e, quindi, anche il magistero. Così da creare una vera e propria rottura con il passato, con la Tradizione e con l’insegnamento bimillenario della Chiesa.
Questa discontinuità, oggi, viene fatta passare:
– in parte come apparente continuità, in quanto, si dice a parole, non si cambia la dottrina;
– in parte come “cambiamento graduale”, in quanto si lascia intendere che i cambiamenti sono solo di piccola entità, da attuarsi come eccezioni, in casi molto particolari e solo in alcune comunità locali. E, si dice, riguardano esclusivamente la pastorale, la prassi, la pratica e non cambiano la dottrina; tanto quest’ultima è considerata praticamente inutile e trattata come se non ci fosse!
Come se la pratica potesse non essere, comunque, un’applicazione di una teoria, di una dottrina! A fondamento di ogni modo di agire ecclesiale (pastorale) c’è sempre una concezione della fede cristiana (dottrina). E se la pratica contraddice la teoria, negandola in sé stessa, ciò significa che alla base di quella pratica c’è una nuova teoria che nega quella precedente, nega la dottrina consolidata dalla Tradizione. Ed è questo l’inganno di oggi e la radice dell’apostasia dalla fede, nelle diverse forme nelle quali essa si sta manifestando.
Nel Vangelo di oggi Gesù dice chiaramente che il Suo insegnamento non è un nuovo paradigma, non è una rottura con l’insegnamento dei padri dell’Antico Testamento, quanto piuttosto, il suo compimento: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».
Un compimento che ne è la radicalizzazione, preparata lungo tutto il percorso della storia precedente. Una radicalizzazione che chiede di non limitarsi a un’esecuzione esteriore della Legge di Mosè (i Comandamenti), ma di assimilarla interiormente, facendone il fondamento della propria coscienza e del conseguente agire nella pratica: «Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». È il passaggio dall’esteriorità all’interiorizzazione. Oggi, al contrario, si insegna a gettare a mare la Tradizione, invece di interiorizzarne l’insegnamento, accusando di farisaismo chi ne custodisce il patrimonio comprendendone il significato.
«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio». Questo «ma io vi dico», non rinnega, ma radicalizza! È esattamente il contrario di quanto ormai si fa, sistematicamente, con il “nuovo paradigma”. Ma non si può obbedire a chi ti comanda di commettere un peccato. Così, infatti, insegnano i santi!
L’esempio del ripudio e del divorzio, che non a caso Gesù esamina in prima persona, dice l’inammissibilità della prassi pastorale – oggi divenuta ampiamente da eccezione (che sarebbe comunque inammissibile) una regola – di ammettere, in pratica, la compatibilità del divorzio, accompagnato da una nuova convivenza, con l’accesso all’Eucaristia. E con il celibato dei sacerdoti si sta facendo la stessa cosa. Non lo si tocca, in teoria nel magistero, ma si lascia intendere, a parole, che in un futuro prossimo, si potranno tollerare, in pratica, le eccezioni, affidando, magari, la decisione caso per caso alle singole realtà locali. E le eccezioni, un po’ alla volta, diverranno la regola.
Tutto questo passa attraverso l’ambiguità nel modo di insegnare, per cui si dice “no”, e al contempo “sì, eccezionalmente”. Ma questo è il contrario di quanto dice Gesù, proprio nel Vangelo di oggi, quando istruisce i discepoli a non essere mai ambigui: «Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”». E aggiunge che «il di più viene dal Maligno». Dunque, oggi, noi non solo non possiamo, ma addirittura non dobbiamo seguire l’ambiguità. Dobbiamo diffidarne sapendo che questa «viene dal Maligno», ed è il Signore ad averlo detto esplicitamente!
Quella che oggi sta dominando il mondo, ed è entrata anche nella Chiesa, è una falsa «sapienza», che è «di questo mondo». Oggi la chiamiamo normalmente ideologia. Si tratta di un pensiero imposto come l’unico pubblicamente permesso dai «dominatori di questo mondo». Ma questa ideologia ha come conseguenza l’autodistruzione degli uomini che seguendola «vengono ridotti al nulla» (dice ancora Gesù nel Vangelo). Infatti il nostro mondo, così guidato, è divenuto ogni giorno sempre meno vivibile e la religione cristiana, così degradata, diviene sempre più inutile per la Salvezza: pagana nel modo di essere, banale nelle parole e nelle manifestazioni esteriori.
Invece, la fedeltà alla vera Legge del Signore, ai Comandamenti, e al vero insegnamento di Cristo, porta frutti di bene anche per la condizione dell’uomo sulla terra («Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai», prima lettura di oggi) e, insieme, alla beatitudine eterna, che è la cosa decisamente più importante. Non a caso il salmo responsoriale ripete l’appellativo «beato», riferendosi a «chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore».
Con il salmista, noi, più che in ogni altro tempo passato della storia, chiediamo la grazia della fedeltà alla verità: «Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti e la custodirò sino alla fine» e la lucidità per comprenderne l’immenso valore: «Aprimi gli occhi perché io consideri le meraviglie della tua legge. […] Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore».
«Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciamoci «sviare da dottrine varie e peregrine» (Eb13,9)!
Maria, la Madre di Dio e della Chiesa, ci accompagni con la sua continua intercessione per ottenerci la grazia della quale tutti, nella Chiesa, abbiamo bisogno.
Don Alberto Strumia
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