mercoledì 26 febbraio 2020

La fede forte di santa Giacinta Marto






Cristina Siccardi, 26-02-2020

Mentre il mondo combatte contro il Coronavirus del 2020 (Covid-19), dove l’Italia è il terzo Paese al mondo per numero di contagi, in questi giorni si è celebrato un centenario di grande importanza, silenziato dalla Chiesa e dai media, ma molto sentito da tutti quei prelati, sacerdoti, monaci, monache e fedeli rimasti cattolici e, quindi, seriamente devoti alla Madonna di Fatima. Il 20 febbraio 1920 moriva, infatti, a dieci anni, santa Giacinta Marto a causa della pandemia del virus della Spagnola (influenza H1N1), come suo fratello Francesco.

Fra il 1918 e il 1920 la pandemia causata da quel virus contagiò circa 500 milioni di persone, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, provocando il decesso di 50-100 milioni di individui (dal tre al cinque per cento della popolazione mondiale dell’epoca), più vittime della peste nera del XIV secolo. Ma veniamo a Giacinta. Uno dei suoi divertimenti preferiti, insieme a Francesco e alla cugina Lucia, era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti, seduta sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A volte proprio lei, «quella a cui la Vergine Santissima ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della virtù», come scriverà suor Luciados Santos, recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando

la parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. Tale innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il soprannaturale si sovrapponeva al naturale, riecheggia nelle nostre coscienze quando veniamo a sapere che proprio lei sacrificò la sua vita per i «poveri peccatori», per la Chiesa e per il Papa.

L’unica pubblicazione degna di nota, uscita in questi giorni per rendere omaggio alla piccola e grandissima bimba del Portogallo, è stato il libro di Padre Serafino Tognetti, dal semplice titolo Giacinta (Etabeta, pp.134, € 12,00). L’autore le ha dedicato una biografia non solo perché si tratta di un anniversario che non può e non deve essere trascurato, ma perché ella rappresenta quella militanza di cui oggi la Chiesa ha assoluto bisogno. Un giorno ha detto il monaco dei Figli di Dio, primo superiore della Comunità dopo la scomparsa di Don Divo Barsotti, che abbiamo bisogno dello sguardo di Giacinta, quello dei lottatori, di coloro che sanno che la vittoria sul male costa sudore e sangue. E il mondo ha paura del suo sguardo severo: sono occhi che parlano di Dio e della Sua Grazia, degli uomini e dei loro peccati.

Giacinta, che era stata, fino al momento delle apparizioni dell’Angelo del Portogallo (1916) e quelle di Nostra Signora di Fatima, una bambina solare, allegra, spensierata, che amava cantare e ballare, si trasforma e diventa, come stanno a dimostrare sia le testimonianze che le fotografie che la ritraggono, serissima e con pupille che trafiggono come lame lucenti. «“Mentre Giacinta sembrava preoccupata nell’unico pensiero di convertire i peccatori e salvare le anime dall’Inferno, Francesco sembrava che pensasse solo a consolare Gesù e la Madonna, che aveva contemplato molto tristi” [dalle Memorie di suor Lucia, ndr]. Entrambi si piazzano sotto la croce, guardano Gesù crocifisso, ma Giacinta tiene un piede anche sulla porta dell’Inferno, perché ciò che vide il 13 luglio del ‘17 fu impresso in lei con ferro rovente, ed ella non potrà mai dimenticare quell’agghiacciante visione. […] Giacinta, ne siamo sicuri, è un’anima che ottiene. La sua preghiera è accolta proprio per la sua sincerità totale, assoluta, senza macchia. Se questa fu la sua potenza mediatrice sulla terra, lo sarà probabilmente anche adesso in Cielo» (pp. 22).

Il profilo che Lucia tratteggia della cuginetta è straordinario: è il ritratto dei puri di cuore. Giacinta era insaziabile nella pratica del sacrificio e delle mortificazioni. Agli inizi del mese di luglio del 1919, entrò in ospedale, contagiata dalla Spagnola. Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza di Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno, ma anche per il Sommo Pontefice. Scrive nelle Memorie suor Lucia: «Tu rimani qua per dire che Dio vuole istituire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Quando ce ne sarà l’occasione, non ti nascondere. Di’ a tutti che Dio ci concede le grazie per mezzo del Cuore Immacolato di Maria; che le domandino a Lei, che il Cuore di Gesù vuole che vicino a Lui, sia venerato il Cuore Immacolato di Maria. Chiediamo la pace al Cuore Immacolato di Maria; Dio la mise nelle mani di Lei. S’io potessi mettere nel cuore di tutti, il fuoco che mi brucia qui nel petto e mi fa amare tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!». Nelle sue manifestazioni Giacinta cammina sempre sul crinale della vita eterna, con l’abisso della dannazione che si spalanca sotto i suoi piedi: ella ragiona come il vero cattolico medievale, ovvero trascendendo il mondo con il suo benessere materiale, perseguendo soltanto la via del Cielo, per questo ella sopportava tante sofferenze e tante ingiustizie (comprese le drammatiche vessazioni di tutti coloro che non credevano ai pastorelli di Fatima).

«Se sapessero…» ripeteva sempre, pensando agli uomini dei tempi moderni. Sapessero che cosa? «Che gli atti di questa vita terrena hanno una valenza eterna. Questo è il grande problema dell’uomo di oggi: non sapendo più che cosa sta a fare al mondo, cerca affannosamente il senso delle cose, senza mai trovarlo» (p. 97). Diceva ancora Giacinta che le persone non pensano alla morte di Gesù. Don Divo Barsotti, dal canto suo, affermava che «“Gesù è diventato un pretesto per parlare d’altro”. Si inizia a parlare del Cristo, si finisce col parlare di politica» (ibidem). La Passione di Cristo è una passione per i figli del Padre e in ogni uomo c’è il prezzo del sangue divino, c’è la nobiltà della Santa Croce. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Dall’ultima apparizione di Fatima del 13 ottobre 1917 al dies natalis di Giacinta trascorsero 28 mesi: è in questo tempo che si santificò, spogliandosi totalmente di se stessa per servire umilmente Gesù, per consolarLo, per farLo contento con i mezzi che la Madre di Dio aveva rivelato alla Cova d’Iria: la preghiera, il Santo Rosario, la rinuncia, il sacrificio. Invero, la penitenza è l’unico mezzo per assurgere a Cristo Signore, ben lo sanno i Santi. Giacinta morì completamente povera e sola nell’ospedale di Lisbona, e non ebbe neppure la consolazione di ricevere la santa Comunione, perché le venne negata.

La fede di Giacinta è quella dei Santi di Dio, non quella da salotto. È una fede virile, forte, che non fa sconti a se stessi ed è coraggiosa, va all’arma bianca: da soli contro il nemico, il demonio e le sue tentazioni, quelle che portano al peccato. La guerra terribile non è contro il mondo, ma è contro se stessi e chi vince quella guerra si fa partecipe della Redenzione dell’Unico Salvatore.

L’internazionale Carnevale di Venezia è stato abolito in questo Anno Domini 2020 per limitare i contagi dal Coronavirus e la Quaresima, quest’anno, inizia con la quarantena di molti. Approfittiamo di questo tempo di castighi e di misericordia per ascoltare e mettere in pratica, finalmente, gli insegnamenti della Madonna di Fatima, che santa Giacinta prese alla lettera sine glossa.

(Cristina Siccardi)

Fonte:

www.corrispondenzaromana.it/la-fede-forte-d…










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