giovedì 19 dicembre 2019

LA RELIGIONE VISTA DA UN SOLDATO






di Nicolò Manca
19/12/19


Con buona pace del buonismo dilagante che propone sciroppose immagini di soldati armati di pace nonché portatori della medesima, è scontato che un militare, agnostico o credente che sia, di fronte al problema religioso si sente più vicino al crociato che combatte in armi per difendere la propria religione piuttosto che al missionario impegnato nel proselitismo apostolico. Se così non fosse il militare in questione avrebbe forse sentito la vocazione per il clergyman e non per la drop, e nella vita avrebbe certamente pregato di più e sacramentato (in senso buono, si intende) di meno.

Ciò detto è giustificabile la rabbia viscerale che il 17 di questo scorcio di dicembre pre-natalizio ha attanagliato i non pochi uomini in divisa che hanno visto sulla prima pagina di un quotidiano nazionale la riproduzione del quadro firmato da uno squallido pseudo-artista riproducente un Gesù in versione pedofila. Da sottolineare che la stomachevole “opera”, frutto di una becera inciviltà prima ancora che di una spregevole blasfemia, è stata esposta nel MACRO (museo capitolino di arte contemporanea) di Roma, quindi a spese del contribuente.

Chiunque, e a maggior ragione un soldato, si sarebbe aspettato una levata di scudi da parte del mondo religioso, politico e giudiziario; e invece nulla. Ma quel che più colpisce è il silenzio del Vaticano, perché un soldato si aspetta che sia il capo, il vertice religioso istituzionale, ad alzare la voce e impugnare la frusta per scacciare i mercanti dal tempio. E invece silenzio.

Anche il giorno successivo tg, notiziari e quotidiani (“Avvenire” incluso) non hanno riferito di prese di posizione dei vertici clerico-politico-giudiziari istituzionali. Singolare che proprio “Avvenire” si sia limitato a sottolineare l'abolizione dell'inqualificabile segreto pontificio sulla pedofilia e sugli abusi sessuali, un provvedimento che sarebbe stato bene adottare qualche secolo o millennio fà!

Ma i silenzi lamentati non sorprendono ormai più di tanto, considerati i precedenti registrati allorché la stampa ha riferito delle serie televisive Netflix aventi per protagonista un Gesù gay, oppure della “immacolata con(trac)cezione” proposta dallo spazio sociale AutAut 357 dei collettivi bolognesi e ancora dei “bella ciao” intonati in alcune chiese come la San Luigi di Piazza Navona a Roma.

Per un soldato è inevitabile chiedersi: perché nessun “capo” religioso o politico sente la necessità o il dovere di prendere posizione di fronte a queste aberrazioni che offendono e deridono la storia patria e le tradizioni, incluse quelle religiose, del popolo?

Il soldato, agnostico o credente che sia, si sente offeso da questa derisione e inevitabilmente considera suo nemico l'incivile provocatore di turno.

L'ipocrisia e la viltà delle mancate reazioni dei “capi”, giustificate con una pretesa libertà di espressione e di culto, appaiono sin troppo evidenti se solo si considera cosa accadrebbe in Italia se oggetto di analoga derisione e blasfemia fosse, ad esempio, l'Islam. Squillerebbero le sette trombe di Gerico, si urlerebbe all'inciviltà e al razzismo, fioccherebbero le iniziative giudiziarie contro le offese al culto e i media di regime mobiliterebbero le piazze progressiste normalmente atee.

E invece guai solo a sfiorare verità storiche quali le 16 concubine del Profeta e le sue 19 mogli, ultima della quali sposata all'età di 53 anni quando la sposa di anni ne aveva 6, una circostanza che ancora oggi induce qualche imam a difendere la liceità delle spose bambine, ignorando i risvolti pedofili attribuiti in Italia a tale pratica; o guai a sottolineare che nel nostro paese la poligamia è considerata reato e, pensa il soldato, tale deve essere per chiunque voglia vivere in Italia, dove le leggi, Costituzione in testa, non possono valere per alcuni e per altri no.

Per questi motivi il soldato è incline ad apprezzare chi impugna la frusta, quando necessario, per cacciare i mercanti dal tempio, e a giudicare invece criticamente chi umilia se stesso e la propria fede baciando le scarpe dei rappresentanti di religioni incompatibili con quella della tradizione cristiana.

A margine degli accadimenti sopra accennati i media hanno dedicato un minuscolo spazio a un tragico fatto di cronaca: un altro suicidio (portato a compimento nei bagni della stazione A della metro Flaminio di Roma) di una ragazza-soldato impegnata nella missione “strade sicure”. Un dramma che induce i militari a chiedersi se un maggior rispetto verso la religione avrebbe potuto contribuire a valorizzare la difficile opera dei cappellani militari, messi in discussione in tempi recenti dal ministro Trenta, e prevenire questa tragedia, qualunque sia stata la causa scatenante della disperazione di questa ragazza.

Foto: ministero della Difesa / U.S. Army














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