LA PRESENZA DEL PERSONALISMO NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. Introduzione ai lavori del IV Convegno di Montefiascone.
13 dicembre 2019 By editorNOTIZIE DSC
I convegni di Montefiascone sono dedicati ad approfondire il rapporto tra il realismo metafisico di san Tommaso d’Aquino e la Dottrina sociale della Chiesa[1]. Questo rapporto era ritenuto molto stretto quando i Pontefici proposero la Dottrina sociale della Chiesa in età moderna e continuò ad esserlo a lungo. Dopo il Concilio Vaticano II la relazione si attenuò, divenne meno evidente e fu espressa in maniera più circospetta, ma con ciò non si può dire che sia scomparsa. Ma soprattutto non si può dire che sia scomparsa perché non può scomparire, essendo il contenuto stesso dell’insegnamento sociale della Chiesa che esige tale rapporto, dato che il realismo metafisico di Tommaso rappresenta la recta ratio, indispensabile per un corretto discorso di teologia morale quale è appunto la Dottrina sociale della Chiesa.
Nello sviluppo della teologia cattolica emerse ad un certo punto la prospettiva personalista di Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier. Elementi personalisti si possono trovare in Henri de Lubac e in Romano Guardini. Altri, in epoca posteriore, in Luigi Stefanini, Armando Rigobello e altri pesatori per cui ad un certo punto più che di personalismo si parlò di personalismi. Prospettive che entrarono in dialogo con le varie correnti del pensiero contemporaneo, mescolandosi con i filosofi del cosiddetto “pensiero dialogico”, come Martin Buber o Emmauel Lévinas, oppure con i vari esponenti dell’esistenzialismo. Se poi il termine personalismo si intende come umanesimo, il ventaglio si allarga a dismisura.
Il personalismo, soprattutto tramite Maritain, penetrò a fondo nella teologia cattolica già negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso e influì certamente sul Vaticano II. Il motivo fu che, per il suo intento “pastorale”, il Concilio volle misurarsi con la categoria del “soggetto”, ritenuta tipica del pensiero moderno e della sensibilità contemporanea, nel tentativo di dialogare con essi. Si trattava però di una sottovalutazione del problema.
Nel contesto articolato e complesso dei personalismi, è utile osservare che una corrente, quella che va da Maritain a Rahner e Metz, sviluppò il personalismo dentro una rilettura di San Tommaso, proponendolo quindi in continuità con il pensiero dell’Aquinate. La stessa svolta antropologica di Rahner, iniziata con la tesi di dottorato preparata all’Università di Lovanio alla fine degli anni Trenta del XX secolo, si proponeva in continuità con un san Tommaso, secondo lui, riscoperto e ricondotto a se stesso[2]. Tentativo che, come noto, Cornelio Fabro qualificò una “depravazione del tomismo”.
Per questi motivi è importante l’indagine che verrà svolta in questo Convegno, perché il personalismo contemporaneo da un lato vanta impropriamente dei rapporti con San Tommaso e dall’altro influisce profondamente sulla Dottrina sociale della Chiesa postconciliare, a cominciare dalla Gaudium et spes del Vaticano II, la quale afferma, come noto, che la persona è il principio, il fondamento e il fine della società. Concetto introvabile nelle encicliche sociali preconciliari. Ambedue i versanti devono essere quindi chiariti.
Per farlo, ritengo che possa essere di una qualche utilità prendere le mosse dal naturalismo[3], essendo, a mio avviso, il personalismo una sua modulazione. Il naturalismo, come insegnato esplicitamente dalla Quanta Cura di Pio IX, dalla Immortale Dei e dalla Sapientiae Christianae di Leone XIII, è la pretesa che l’ordine naturale sia autonomo, autosufficiente, indipendente e che possieda i mezzi per realizzare i propri fini, sicché nell’ordine naturale tutto si possa svolgere etsi Deus non daretur. Sul piano teologico, possiamo dire che il naturalismo neghi il peccato delle origini[4] e quindi che stravolga il rapporto tra la natura e la sopra-natura. Sul piano filosofico esso è un aspetto del razionalismo. Questa filosofia rifiuta la trascendenza dell’essere rispetto al pensiero. Viene assunto così il “principio di immanenza” al suo livello primario e più radicale. Molti autori hanno messo in evidenza il nesso stretto tra superbia razionalistica e peccato delle origini, perché da quel momento la fede cristiana sarebbe potuto essere al massimo di aiuto ma non più indispensabile per l’ordine naturale[5].
La parte della Pascendi di Pio X dedicata all’aspetto filosofico del Modernismo[6] descrive bene questa scelta di immanenza propria del naturalismo, secondo il quale la ragione umana è limitata al campo dei fenomeni, la rivelazione passa attraverso la coscienza e la natura umana ha diritto all’ordine soprannaturale. Il naturalismo consiste, così dice la Pascendi, nel negare qualsiasi rivelazione esterna[7] e quindi nel rifiuto di cercare tale spiegazione al di fuori dell’uomo. Si vede così il nesso, già da essa stabilito, tra modernismo, naturalismo e personalismo.
Il personalismo è una forma di naturalismo, in quanto sostiene che la sintesi della conoscenza e della rivelazione avvenga nella coscienza umana, intesa come produttrice, o almeno come co-produttrice della verità. La Pascendi afferma che per il naturalismo le formule della fede “affinché siano vitali, devono essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente”[8]. La persona, vale a dire la coscienza, l’esperienza, il sentimento, l’esistenza dal cui interno prende le mosse la vita di coscienza, è quindi elemento fondante la sintesi della verità, sempre nuova perché processuale, nel senso dialettico dell’espressione. Il personalismo non è quindi estraneo alla concezione del dogma come qualcosa di evolutivo che negli anni Sessanta verrà spiegato dai nuovi teologi come una sintesi, da attuarsi appunto nella coscienza storica della persona, tra la Parola di Dio e la situazione del tempo[9], affinché la Parola non rimanga astratta ma, come dicevano i modernisti, diventi “vitale”.
Il personalismo cristiano del Novecento nasce nell’ambito della Nouvelle theologie. Gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso sono da intendersi come decisivi. Chenu o de Lubac introducono nella teologia il dato storico, dialettizzano il dogma, e fanno del mondo, vale a dire della situazione storica, l’interlocutore organico e imprescindibile della Chiesa. Questo cambiamento di prospettiva apre ad una Chiesa non davanti al mondo ma nel mondo o perfino del mondo, sicché la sintesi della rivelazione diventa la persona nella sua coscienza mondana. In questo modo la mondanità o secolarità del mondo diventa nella persona il nuovo luogo teologico e la secolarizzazione viene assunta come interna allo sviluppo del cristianesimo[10]. Un ruolo importante ebbero le opere di de Lubac sul soprannaturale del 1946 e del 1965[11], per alcuni aspetti anticipate dall’opera Cattolicismo aspetti sociali del dogma del 1938, che contiene una frase significativa per il nostro convegno: “Cattolicesimo e Personalismo si accordano e si fortificano mutualmente”[12]. La sua negazione di una natura pura[13], ossia non già originariamente coinvolta per essenza dalla grazia nella propria economia, apre ad una presenza della grazia nell’umanità in quanto tale, in ogni persona e in ogni situazione. Karl Rahner, formalmente parlando, non aderirà a questa impostazione a cui negherà il suo avallo, ma per altre vie ne riprenderà lo spirito di fondo. La svolta antropologica della sua teologia si colloca su una radicalizzazione trascendentale, nel senso del trascendentale moderno, della prospettiva di de Lubac. Umanesimo integrale di Maritain del 1936 si colloca in questo contesto.
È interessante notare che il personalismo comporta un cambiamento nell’architettura del sapere. L’antropologia si propone come disciplina di partenza e fondamentale, lo studio dell’uomo è l’inizio perché la persona è la sintesi, mentre in precedenza l’antropologia arrivava dopo altre discipline metafisiche. Il personalismo quindi segna non solo il tramonto dell’ontologia, ma anche quello della teologia come sintesi del sapere. Come era naturale, un’antropologia autopoietica che nasce da se stessa è una antropologia non fondata, quindi fragile, nonostante la sua pretenziosità. Di conseguenza è fatale che essa si indebolisca nel fenomenismo e poi nel sociologismo, come infatti è avvenuto non solo nella teologia cattolica ma spesso anche nei documenti del magistero, soprattutto i più recenti. In questi luoghi, quando si parla della persona, si dice di voler utilizzare la prospettiva antropologica, ma di fatto si utilizzano le scienze sociali. Ormai il passaggio è dal racconto dell’esperienza, ai dati delle scienze sociali, agli insegnamenti della Chiesa, alla prassi. È questa l’evoluzione del principio “vedere, giudicare, agire”. Non solo viene saltato il piano metafisico, ma anche quello propriamente antropologico in senso filosofico. Del resto una simile impostazione era già contenuta in quanto la Pascendi, come abbiamo visto, chiamava “mantenersi adatte [le formule della fede] tanto alla fede quanto al credente”. La dimensione del credente, ossia della coscienza della persona, assume via via maggiore importanza finendo per dissolvere lo stesso credente in una dimensione trascendentale, ancora nel senso moderno del termine, che ne annulla la consistenza metafisica. Rahner dice che la teologia è antropologia: dicendo questo egli uccide non solo la teologia ma anche l’antropologia. Un significativo sviluppo in senso negativo si è avuto quando si è voluto sottoporre la logica del sacramento alla logica della persona, come è il caso dell’Esortazione Amoris laetitia[14].
Dal punto di vista strettamente politico il personalismo indica nella persona il fondamento e la sintesi della vita della comunità politica. Ne deriva una separazione tra vita politica e vita religiosa, tra cittadino e fedele, la impossibilità di intendere il bene comune nel suo senso proprio[15], uno iato che il personalismo non riesce più a recuperare e che diventa separazione tra coscienza e legge, tra norma e diritto.
Concludo facendo notare che il naturalismo è la rivendicazione dell’indipendenza della natura dalla sopra-natura, ma a lungo andare il naturalismo non poteva che distruggere la stessa realtà della natura. È giocoforza che al paradigma della natura si sostituisca il paradigma della storia, come è testimoniato da gran parte della teologia contemporanea. Il personalismo fa emergere la coscienza della persona e quindi la sua situazione esistenziale come la condizione per l’auto-comunicazione di Dio: Dio si incontra nell’uomo[16], ma la coscienza dell’uomo, si dice, è storica e mutevole, quindi la natura si diluisce nella storia. Il naturalismo finisce per eliminare la natura, così come il personalismo finisce per eliminare la persona.
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[1] I Convegni di Montefiascone si sono svolti annualmente dal 2016 ad oggi. Se ne vedano gli Atti nei due volumi finora pubblicati a cura di S. Fontana: AA.VV., Le chiavi della questione sociale. Bene comune e sussidiarietà: storia di un equivoco, Fede & Cultura, 2018; AA.VV., Il diritto e i diritti. Il senso della legge e le leggi senza senso, Fede & Cultura, Verona 2019.
[2] Cfr. S. Fontana, La nuova Chiesa di Karl Rahner, Fede & Cultura, Verona 2017; Id, La teologia di Karl Rahner e il suicidio della teologia cattolica, in Id., Chiesa gnostica e secolarizzazione. L’antica eresia e la disgregazione della fede, Fede & Cultura, Verona 2018, pp. 95-104.
[3] Cfr. M. Liberatore, Il naturalismo politico, a cura di G. Turco, Ripostes, Giffoni Valle Piana 2016.
[4] Cfr. S. Fontana, Il peccato delle origini e il problema politico della modernità, in AA.VV., La persona al centro del Magistero sociale della Chiesa. Omaggio al Rev. Prof. Enrique Colom Costa, a cura di P. Requena e Martin Schlag, EDUSC, Roma 2011, pp. 115-132.
[5] Di notevole portata la riflessione di Augusto Del Noce su questo tema.
[6] S.S. San Pio X, Pascendi dominici gregis. Sugli errori del modernismo, Introduzione di R. De Mattei, Premessa di L. Negri, Cantagalli, Siena 2007, pp. 49-58.
[7] Infatti K. Rahner sostiene che oggi è impossibile presupporre prove o argomenti di credibilità (Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, 1976), San Paolo, Cinisello Balsamo 1990, p. 26.
[8] S.S. San Pio X, Pascendi dominici gregis cit., p. 58.
[9] Cfr. W. Kasper, Per un rinnovamento del metodo teologico, 1967, Queriniana, Brescia 1969: “Il dogma ora non può più apparire che come una grandezza relativa e storica, che ha solo un significato funzionale. Il dogma è relativo, in quanto è in rapporto con la parola originaria di Dio, che serve ad indicare, e con le problematiche di un determinato temo, e in quanto aiuta a intendere con esattezza il vangelo nelle varie situazioni concrete” (p. 37).
[10] Le nuove tendenze secolarizzanti intendono la presenza pubblica del cristianesimo come la partecipazione ad una discussione e un confronto tra ermeneutiche: G. Villagrán, Teologia pubblica. Una voce per la Chiesa nelle società plurali, Queriniana, Brescia
[11] H. De Lubac, Surnaturel, Etudeds historiques, Seuil, Paris 1946; Id., Le Mystère du Surnaturel, Aubier, Paris 1965 (Il Mulino, Bologna 1967).
[12] Id., Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, Jaka Book, Milano 1992, p 256.
[13] Cfr. Card. G. Siri, Getsemani, Ed. Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma 1987, pp. 53-66. Per una rassegna del dibattito sulla natura pura cfr. F. Gianfreda SAI., Il dibattito sulla natura pura tra H. de Lubac e Karl Rahner, Pizzini editore, Verucchio (Rn) 2007.
[14] S. Fontana, Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris laetitia, Fede & Cultura, Verona 2019.
[15] Cfr. S. Fontana, Il personalismo di Maritain e la secolarizzazione del bene comune, in Id., Chiesa gnostica e secolarizzazione cit., pp. 82-94.
[16] “Il Dio che confessiamo in Cristo è esattamente dove siamo noi e solo là deve essere trovato” (K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede cit., p. 294).
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