martedì 24 dicembre 2019

Com’è facile sentirsi buoni a Natale sfruttando gli schiavi cinesi





Una bambina ha scoperto che il suo bigliettino di auguri, venduto dalla Tesco per finanziare la ricerca sul cancro, è prodotto in Cina dai detenuti ai lavori forzati. Risparmiateci almeno l’ipocrisia






Leone Grotti, 24 dicembre 2019 

C’è solo una cosa più odiosa, ingiusta e insopportabile dei miliardi guadagnati dal regime comunista cinese attraverso lo sfruttamento del lavoro forzato dei detenuti. Ed è la retorica delle ricche aziende occidentali, che su quel lavoro costruiscono una fortuna e che ogniqualvolta viene squarciato il velo della verità, danno alle stampe comunicati ipocriti pieni di ideali molto natalizi, per poi tornare al business as usual. Il caso Tesco, in questo senso, è solo l’ultimo di una lunga serie.


SENTIRSI BUONI CON IL LAVORO FORZATO

La notizia, pubblicata in origine dal Sunday Times e poi ripresa da tutti i giornali del mondo, in particolare dalla Bbc, è ormai nota: Florence Widdicombe, bambina inglese di 6 anni di Tooting, quartiere a sud di Londra, ha comprato un pacchetto di bigliettini natalizi della Tesco da una sterlina e cinquanta per fare gli auguri alle sue amiche. I bigliettini, oltre ad avere un costo irrisorio, vengono venduti per raccogliere 300 mila sterline per la ricerca sul cancro e il diabete della British Heart Foundation. Non c’è niente insomma di più natalizio, secondo la vulgata che vuole il Natale come il periodo per eccellenza per “sentirsi” buoni.

Dentro una delle cartoline, però, la piccola Florence ha trovato un messaggio molto poco natalizio: «Siamo prigionieri stranieri nella prigione cinese di Qingpu, Shanghai. Siamo costretti a lavorare contro il nostro volere. Ti prego aiutaci, informa le organizzazioni dei diritti umani e contatta il signor Peter Humphrey», cittadino britannico che aveva passato due anni in quella stessa prigione, denunciandone le orribili condizioni e gli abusi da parte dei secondini.


IL COMUNICATO IPOCRITA DELLA TESCO

I bigliettini venivano prodotti e confezionati per la Tesco dalla Zhejiang Yunguang Printing, che era stata monitorata a detta del colosso britannico solo un mese fa, senza che nessun problema fosse riscontrato. Ora la Tesco ha tolto dal commercio i bigliettini provenienti da questa azienda, mantenendo sugli scaffali invece quelli prodotti da altre aziende cinesi coinvolte.

Un portavoce della catena di supermarket ha anche dichiarato: «Noi aborriamo l’uso del lavoro forzato carcerario e non permettiamo che venga usato nella nostra filiera. Siamo scioccati da queste accuse e abbiamo sospeso immediatamente la fabbrica che ha prodotto questi bigliettini e avviato un’indagine».


«SONO SOGGETTO A TORTURE ESTREME»

Non c’è niente di meglio che una bella dichiarazione di intenti e una indagine inefficace per lavarsi la coscienza. La verità è che il lavoro forzato viene utilizzato regolarmente nelle prigioni cinesi, tutti lo sanno ma a nessuno interessa cambiare il sistema che garantisce costi di produzioni bassissimi, né al governo né alle ipocrite aziende occidentali.

Nel 2012 Julie Keith, residente a Portland, Oregon, ha trovato un messaggio simile nelle sue decorazioni di Halloween, fabbricate nel centro di rieducazione attraverso il lavoro di Masanjia, dove vengono torturati i membri del Falun Gong. Nel 2014 Karen Wisinska, Irlanda del Nord, ha scoperto che i suoi jeans venivano prodotti con il lavoro forzato dal messaggio scritto sull’etichetta.
Nel 2015, Shahkiel Akbar, ha trovato un messaggio simile all’interno delle calze del marchio low cost Primark acquistate in un Metrocentre di Newcastle: «Sono soggetto a torture estreme», diceva l’autore. Nel 2017 Jessica Rigby, dell’Essex, ha scoperto che il suo bigliettino di auguri comprato in un supermercato di una delle catene più grandi del Regno Unito, Sainsbury’s, era stato prodotto con il lavoro forzato in una prigione di Guangzhou.


DI QUANTI ESEMPI ABBIAMO BISOGNO?

Di quanti altri esempi abbiamo bisogno per capire che c’è un motivo se in Cina la produzione ha un costo così basso e conveniente? E chi può dire quanti messaggi di questo tipo siano stati scritti da prigionieri, abusati e torturati, ma scoperti prima che i prodotti fossero venduti?

Davanti a così tante testimonianze, come può il portavoce della Tesco parlare di prodotti «verificati in modo indipendente»? Come fa a essere sicuro che le altre aziende che fabbricano i bigliettini natalizi non ricorrano al lavoro forzato? Per sua stessa ammissione la Zhejiang Yunguang Printing era stata controllata e giudicata senza macchia appena un mese fa. Come può dire allo stesso tempo che la Tesco «aborrisce il lavoro forzato» e poi lasciare in vendita i bigliettini fabbricati da altre aziende cinesi?


BISOGNA AGIRE, NON “SCIOCCARSI”

Che il regime comunista utilizzi il lavoro forzato carcerario non è una novità e nessuno, nel 2019, può scandalizzarsi: è un sistema che va avanti dal 1949, da quando è stata fondata la Repubblica popolare cinese. Che le aziende occidentali facciano la fila per produrre in Cina e così aumentare i profitti sfruttando gli irrisori costi di produzione non può scandalizzare nessuno: è all’alba dei tempi che i soldi sono più importanti dei diritti umani.

Sarebbe bello però se la Tesco ci risparmiasse almeno l’ipocrisia di chi fa finta di essere all’oscuro di tutto e sembra considerare la Cina come il nuovo Bengodi del capitalismo etico. Il colosso della distribuzione continui pure a fare profitti, devolvendone una parte per scopi benefici e natalizi per far sentire tutti più “buoni”, utilizzando i nuovi schiavi cinesi. Non ci venga però a parlare di “shock”, “indagini indipendenti”, “buone pratiche” e ciarpame assortito. Se la catena Tesco vuole davvero essere etica, non ha che da interrompere la produzione in Cina e finanziare con le sue tasche la lodevole ricerca sul cancro. Ma questo non accadrà, perché sentirsi buoni è molto più facile e vantaggioso che esserlo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa










Nessun commento:

Posta un commento