01-11-2016
«I più grandi riformatori sono i santi», aveva detto lo scorso 13 ottobre papa Francesco parlando ai partecipanti al pellegrinaggio luterano ricevuti in Aula Nervi. È giusto ricordare questa affermazione oggi, festa di Tutti i Santi, e all’indomani dell’incontro del Papa con il mondo luterano, perché aldilà di tutte le disquisizioni e i gesti di politica ecclesiale, dice l’unica cosa che conta: essere santi. «Ciascuno di voi è chiamato a essere santo», aveva detto Santa Teresa di Calcutta al Meeting di Rimini nel 1987, ed è questo il senso della festa di oggi. La santità non è una specialità riservata a pochi eletti, ma la chiamata per tutti. Il santo è l’uomo vero, perché si immedesima con Gesù, vero uomo perché vero Dio: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me», dice san Paolo (Gal 2,20).
È questo il santo a cui guardiamo, non solo oggi, ma ogni giorno della nostra vita. E il vero santo costruisce la Chiesa, ravviva la fede del popolo intorno a sé, guadagna altre anime a Dio, perché questa è l’unica cosa che conta veramente: la vita eterna. Riforma, allora, prima di essere un adeguamento di istituzioni e strutture, è una rinascita della fede nel popolo, è un movimento che riporta la Chiesa alla freschezza originaria, alla sua missione.
Per questo Lutero non può essere definito un riformatore nel senso vero del termine. C’era molta corruzione nella Chiesa, si dice, c’era una riduzione formalistica della fede. Ma negli stessi anni di Lutero, alla stessa crisi altri rispondevano in altro modo, immedesimandosi in Cristo ed edificando la Chiesa: San Francesco di Paola, ad esempio, e poi Sant’Ignazio di Loyola, San Filippo Neri, San Francesco Saverio e poi ancora san Carlo Borromeo, san Giovanni della Croce. Costoro e altri ancora sono stati i veri riformatori del XV e XVI secolo: hanno rigenerato una autentica vita cristiana e come conseguenza anche le strutture della Chiesa si sono adeguate alla nuova vita che scorreva, mentre dall’altra parte Lutero e gli altri “riformatori” dividevano e provocavano una ferita nel cuore della cristianità che è ancora aperta.
Certo, per risanare la ferita, per camminare verso l’unità c’è bisogno di perdonare, non si può insistere su ciò che in cinque secoli ha già provocato tante tragedie in Europa. Ma non è neanche possibile riscrivere la storia, cavarsela con una sorta di constatazione amichevole in cui ognuno si prende il 50% di responsabilità come se si fosse trattato di un semplice incidente.
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