giovedì 10 novembre 2016
Perché tanti riti diversi in una sola Chiesa?
Zenit 2-11-16
Nella sua rubrica settimanale di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde alla domanda di un lettore dall’India.
Perché ci sono così tanti riti eucaristici nella Chiesa? Potrebbe spiegare l’origine dei diversi riti, e come mai la Chiesa accetta tutte queste divisioni della celebrazione eucaristica?
— N.A., Bangaluru, Karnataka state, India
Per molti, Chiesa Cattolica e Rito Romano o Latino sono la stessa cosa. Questo è errato. Il Rito Romano è senz’altro il più largamente diffuso nel mondo ma la Chiesa Cattolica conta ben 23 riti o Chiese diversi. Stando all’Annuario Pontificio, i cattolici orientali sono circa 16,3 milioni.
Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (abbreviato CCEO, dal nome latino Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium) offre la seguente definizione di “rito”:
“Si definisce rito il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale, distinto per cultura e circostanze storiche di popoli, che si esprime in un modo di vivere la fede che è proprio di ciascuna Chiesa sui iuris”.
Di conseguenza, “rito” non designa solamente la liturgia di una specifica Chiesa, ma la sua stessa teologia, legge e spiritualità. In alcuni casi il termine può coinvolgere anche l’etnia e il linguaggio. Per questo motivo, vari membri di questi riti preferiscono parlare di chiese piuttosto che di riti. Altri ancora ritengono che “Chiesa” si riferisce alle persone, e “rito” al loro patrimonio spirituale e culturale.
Non tutte queste 23 Chiese presentano una diversa liturgia, o si differenziano per la sola lingua utilizzata, oppure ancora per le loro tradizioni locali. Per tradizione le principali famiglie liturgiche sono sei: Latina, Alessandrina, Antiochena, Armena, Caldea e Costantinopolitana (chiamata anche Bizantina).
Il rito latino si basa quasi interamente sul rito romano, il quale si divide in forma ordinaria e straordinaria. Vi sono anche altre tradizioni liturgiche Latine, come l’Ambrosiana (solitamente celebrata nell’Arcidiocesi di Milano), la Mozarabica (celebrata in maniera ristretta a Toledo, in Spagna) e quella della città di Braga in Portogallo, che è consentita in quella diocesi ma di fatto non largamente usata. Altre, come il rito della Diocesi di Lione, in Francia, sono cadute in disuso. I riti specifici di alcuni ordini religiosi, come l’Ordine dei Frati Predicatori (o Domenicani), sembrano invece tornare in uso dopo una parentesi di vari anni.
La liturgia Costantinopolitana o Bizantina viene utilizzata da quattordici Chiese, l’Alessandrina da tre, così come l’Antiochena, mentre la Caldea da due e l’Armena da una.
Sarebbe arduo tracciare l’origine e la storia di ciascuna Chiesa. Grossomodo possiamo dire che i vari riti hanno avuto origine dallo sforzo dei diversi popoli di esprimere l’unica fede secondo le proprie tradizioni e caratteristici linguistici, musicali, letterari e artistici.
In qualche modo ciò assomiglia ai quattro Evangelisti, che presentano lo stesso Cristo ma ognuno con sfumature particolari, che messe insieme forniscono un quadro più completo. Non avendo ogni diocesi una propria liturgia, varie regioni del mondo antico tendevano ad unirsi attorno alle diocesi di origine apostolica e le loro liturgie. Roma divenne così il centro del mondo latino. La Chiesa di Alessandria d’Egitto, tradizionalmente fondata da San Marco, divenne l’ispirazione per l’Etiopia. Ad Antiochia, in Siria, la prima sede episcopale di San Pietro, c’erano cristiani di lingua sia greca che aramaica.
Alcuni partirono come missionari verso Est, e dalla loro liturgia si svilupparono il rito Caldeo e quello Siro-Malabarese. Quanti erano di lingua greca si diressero verso Ovest, e le loro usanze si fusero più tardi con le pratiche della capitale dell’Impero Bizantino formando le liturgie Costantinopolitane. I riti Maroniti ed Armeni si svilupparono un po’ più tardi e sintetizzarono molte tradizioni, introducendo inoltre vari elementi originali provenienti dal patrimonio culturale.
Riguardo alla comunione di queste Chiese all’interno dell’insieme cattolico, alcune non si sono mai formalmente distaccate dalla comunione col Papa, nonostante per molti secoli non abbiano più avuto contatti con lui, a causa di una mancanza di comunicazione – se non addirittura di conoscenza della propria esistenza reciproca. Altre sono ritornate alla comunione con Roma dopo un periodo di separazione in vari stadi della storia, persino fino agli inizi del XX secolo.
In questo processo di riunificazione, taluni hanno pensato che un ritorno alla comunione con Roma significasse l’abbandono delle antiche tradizioni e l’adozione del rito Latino. In realtà questo non fu praticamente mai nelle intenzioni, e i Papi, generalmente, vedevano la diversità come un valore piuttosto che una minaccia all’unità. La chiamata all’unità liturgica al termine del Concilio di Trento riguardava soprattutto il rito Romano e non toccò mai le Chiese Orientali.
I Papi reiterarono frequentemente il loro apprezzamento per le qualità specifiche delle Chiese Orientali, e le consideravano un prezioso dono per l’intera Chiesa universale.
Per questo Papa Benedetto XIV nella sua enciclica Allatae Sunt (1) del 1755 richiamò alcuni degli atti dei suoi predecessori in favore dei cristiani orientali:
“13. Nella raccolta di documenti greci, edita a Benevento, si hanno due Costituzioni, di Leone X e di Clemente VII, nelle quali si rimproverano violentemente quei Latini che censuravano nei Greci l’osservanza delle norme che nel Concilio di Firenze erano state loro permesse; soprattutto perché celebravano la Messa con pane fermentato, prendevano moglie prima di adire ai Sacri Ordini, e la conservavano dopo aver ricevuto l’ordinazione, e perché davano l’Eucarestia sub utraque specie anche ai bambini. Pio IV nella Costituzione Romanus Pontifex (n. 75, tomo 2, dell’antico Bollario), mentre stabilisce che i Greci abitanti nelle Diocesi dei Latini sono soggetti ai Vescovi Latini, subito aggiunge: “Con questo tuttavia non intendiamo che i Greci siano sottratti al loro Rito Greco o che siano impediti dagli Ordinari locali o da altri in alcun modo”.
“14. Gli Annali di Gregorio XIII raccolti da Padre Maffeo e stampati a Roma nel 1742 riportano molte cose che lo stesso Pontefice fece, sia pure con esito poco felice, per convertire alla Fede Cattolica i Copti e gli Armeni. Ma si confanno soprattutto al nostro argomento quelle che si leggono nella Costituzione 63 (nel nuovo Bollario al tomo 4, parte 3), e in altre due, cioè la 157 e la 173 dello stesso Bollario (tomo 4, parte 4) a proposito della fondazione in Roma di tre Collegi istituiti dallo stesso Pontefice per Greci, Maroniti e Armeni, nei quali volle che gli alunni delle dette Nazioni fossero educati in modo che restassero sempre nei loro Riti Orientali.
“Fu celeberrima l’Unione dei Ruteni con la Sede Apostolica al tempo di Papa Clemente VIII di felice memoria, i cui documenti si leggono negli Annali del Venerabile Cardinale Baronio dove si espone il decreto fatto dagli Arcivescovi e Vescovi Ruteni per realizzare l’Unione, a questa condizione: “Salve e osservate per intero le cerimonie e i riti del culto Divino e dei Santi Sacramenti, secondo la tradizione della Chiesa Orientale, correggendo soltanto quei particolari che potrebbero impedire l’Unione stessa, in modo che si faccia tutto secondo l’antico costume, come fu una volta” (edizione romana dell’anno 1596, tomo VII, p. 682).
“Ma poco dopo a turbare la pace, si diffuse la voce che nell’Unione erano stati tolti tutti i Riti che i Ruteni avevano usato nella divina salmodia, nel sacrificio della Messa, nell’amministrazione dei Sacramenti e nelle altre sacre cerimonie. Paolo V nel 1615 in una lettera apostolica sotto forma di Breve, che è stampata nella stessa Raccolta di Greci, dichiarò la sua volontà solennemente con queste parole: ‘Purché non contrastino con la verità e con la dottrina della Fede Cattolica e non escludano la comunione con la Chiesa Romana, non c’è stata né c’è l’intenzione, il pensiero e la volontà nella Chiesa Romana di togliere o far scomparire con la citata Unione (i Riti Orientali): né che ciò si potesse dire od opinare, ché anzi i detti Riti per apostolica benignità ai Vescovi e al Clero Ruteno furono permessi, concessi e dati’”.
Poco dopo, riferendosi al clero latino che aveva cercato di obbligare i cattolici orientali ad adottare il rito Latino, il Papa si dimostra intransigente:
“21. Ciò riguarda il passaggio dal Rito Latino al Greco. Ora poi parlando del passaggio dal Rito Orientale e Greco a quello Latino, si può liberamente affermare che questo passaggio è interdetto non come il primo; tuttavia non è lecito al Missionario indurre il Greco e l’Orientale, desiderosi di tornare all’Unità della Chiesa Cattolica, ad abbandonare il proprio Rito, poiché da questo modo di agire possono derivare gravissimi danni, come sopra abbiamo detto.
“I Cattolici Melchiti volentieri, una volta passarono dal Rito Greco a quello Latino: ma ciò fu loro proibito, e i Missionari furono ammoniti a non consigliare quel transito, il cui permesso è riservato al giudizio esclusivo della Sede Apostolica, come è manifesto nella Nostra Costituzione Demandatam del Bollario (tomo 1, 85, paragrafo 35): ‘Inoltre a tutti e ai singoli Melchiti Cattolici, che osservano il Rito Greco, proibiamo espressamente di passare al Rito Latino. A tutti i Missionari comandiamo, a prezzo delle pene che più sotto verranno indicate e di altre che verranno stabilite a nostro giudizio, di non presumere di far passare chiunque di essi dal Rito Greco al Latino, né lo permettano a coloro che lo desiderano, senza avere consultato la Sede Apostolica’”.
Alcune fra queste pene erano:
“Qualsiasi missionario di rito latino, non importa se del clero religioso o secolare, che con il suo consiglio o la sua assistenza induca un fedele di rito Orientale a passare al rito latino, verrà deposto ed escluso dai suoi benefici, in aggiunta alla sospensione ipso facto a divinis ed altre penalità in cui incorrerà, come imposto nella già citata Constitutio Demandatam”.
Più di un secolo dopo, nella costituzione apostolica Orientalium Dignitas del 1894, Papa Leone XIII confermò l’efficacia di queste penalità. Egli inoltre espresse la sua gratitudine per le Chiese Orientali. Il testo comincia con le parole seguenti:
“La dignità delle Chiese Orientali, che vanta antichissime ed insigni memorie, gode in tutto il mondo cristiano di grande venerazione e gloria. Infatti, iniziatasi nell’Oriente, per benignissima decisione di Dio, l’opera della redenzione umana, ne provennero in breve tali sviluppi da fare fiorire splendidamente in quelle Chiese le virtù dell’apostolato e del martirio, della dottrina e della santità, insieme con le consolanti primizie di saluberrimi frutti. Da esse poi mirabilmente si diffuse per ogni parte un’immensa produzione di benefìci nelle altre nazioni allorché il beatissimo Pietro, prìncipe dell’ordine apostolico, per disperdere la molteplice malvagità dell’errore e del vizio, con celeste ispirazione, portò il lume della verità divina, il vangelo della pace, la libertà di Cristo nell’Urbe, dominatrice dei popoli”.
Dichiarò inoltre:
“Infatti, mentre sempre più si comprova l’origine apostolica delle principali Chiese d’Oriente, appare contemporaneamente e risplende l’intima unione che le strinse fin dai primordi con la Chiesa Romana. Né vi è forse argomento più illuminante ad illustrare la nota di cattolicità nella Chiesa di Dio, quanto il singolare ossequio che prestano ad essa quelle diverse forme di cerimonie e quelle lingue, nobili per l’antichità, e più nobili per l’uso che ne fecero gli Apostoli e i Padri”.
In occasione del 15° centenario di San Giovanni Crisostomo (407-1907), San Pio X Papa presiedette alla solenne Messa pontificia di rito Bizantino celebrata il 12 Febbraio 1908 in Vaticano. Nella lettera che promulgò questa celebrazione scriveva: “Possano gli Orientali da noi separatisi vedere e comprendere con quale sommo e profondo riguardo Noi consideriamo tutti i riti allo stesso modo”.
Nell’enciclica Dei Providentis (1917) Papa Benedetto XV affermò: “La Chiesa di Gesù Cristo non è né Latina né Greca né Slava, ma Cattolica; e parimenti questa non fa alcuna distinzione fra i suoi figli Greci, Latini e Slavi e i membri di tutte le altre nazioni, che sono uguali agli occhi della Sede Apostolica”.
Papa Pio XI aveva un grande rispetto per i riti Orientali e fece moltissimo per preservarli. Nella sua enciclica Ecclesiam Dei del Novembre 1923, pubblicata in occasione del terzo centenario del martire dell’Unità Cattolica, San Josaphat, scrisse: “Così dobbiamo vedere tutti gli individui, tutti radunati a questo modo, in possesso degli stessi diritti, qualsiasi sia la loro razza, lingua o liturgia. La Chiesa Romana ha sempre scrupolosamente rispettato e mantenuto i diversi riti, e ha ogni volta insistito sulla loro preservazione”.
Il suo successore, Papa Pio XII, celebrando il 15° centenario di San Cirillo d’Alessandria, affermò nella sua enciclica del 1944 Orientalis Ecclesiae:
“È necessario infatti che tutti e singoli i popoli di rito orientale in tutto quello che dipende dalla storia, dal genio e dall’indole di ciascuno in particolare, abbiano una legittima libertà che pur tuttavia non contrasti con la vera e integra dottrina di Gesù Cristo. […] Non saranno mai costretti a mutare i loro legittimi riti e le loro antiche istituzioni con le istituzioni e i riti latini. Gli uni e gli altri debbono essere tenuti in uguale stima e uguale lustro, perché incoronano di regale varietà la chiesa madre comune. Né solo questo; ma siffatta diversità di riti e di istituzioni, mentre conserva intatto e inviolabile ciò che per ciascuna confessione è antico e prezioso, non si oppone affatto alla vera e sostanziale unità”.
Il Concilio Vaticano II nel documento Orientalium Ecclesiarum stabilì che le tradizioni delle Chiese Cattoliche Orientali andavano preservate. Così dichiarò:
“È infatti intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa o rito particolare; parimenti essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi […]”. Tutte loro dovrebbero “[…] preservare i propri legittimi riti liturgici e il loro consolidato stile di vita; […] questi non potranno essere alterati eccetto che per ottenere un organico miglioramento per se stessi”.
La costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa invece, Lumen Gentium, tratta le Chiese Cattoliche Orientali nel paragrafo 23, stabilendo:
“Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica costituzione divina della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri. Questa varietà di Chiese locali tendenti all’unità dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa. In modo simile le Conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e fecondo contributo acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente”.
San Giovanni Paolo II promulgò il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, e celebrò il centenario della Orientalium Dignitas di Leone XIII con la lettera apostolica Orientale Lumen:
“Poiché infatti crediamo che la venerabile e antica tradizione delle Chiese orientali sia parte integrante del patrimonio della Chiesa di Cristo, la prima necessità per i cattolici e di conoscerla per potersene nutrire e favorire, nel modo possibile a ciascuno, il processo dell’unità”.
“I nostri fratelli orientali cattolici sono ben coscienti di essere i portatori viventi, insieme con i fratelli ortodossi, di questa tradizione. E necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non da una sola tradizione, né tanto meno da una comunità contro l’altra; e perché anche a noi tutti sia concesso di gustare in pieno quel patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale che si conserva e cresce nella vita delle Chiese d’Oriente come in quelle d’Occidente”.
In conclusione, la Chiesa Cattolica desidera che i suoi componenti orientali non solo sopravvivano, ma continuino a crescere, ravvivando ed arricchendo la Chiesa Universale con i loro doni.
http://blog.messainlatino.it
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