mercoledì 2 novembre 2016

La triplice invocazioni del nome di Gesù



Estrema unzione, XIX sec., Museo del Sannio, Benevento


Gesù, Gesù, Gesù

di Vito Abbruzzi

All’udienza generale di mercoledì 28 settembre scorso, Francesco, esaltando la misericordia del Signore in croce nei riguardi del buon ladrone, invitava i fedeli ivi presenti ad invocare per tre volte il nome di Gesù: “Gesù, Gesù, Gesù”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questa triplice invocazione mi ha immediatamente ricordato quella stessa presente nell’Ordo Commendationis animæ al momento del trapasso, in exspiratione: «Moriens, si potest, dicat: vel si non potest, assistens sive Sacerdos pro eo clara voce pronuntiet: Iesu, Iesu, Iesu» («il morente, se gli è possibile, pronunci: Gesù, Gesù, Gesù. Se ciò non gli è possibile, lo faccia per lui chi lo assiste o il sacerdote»).
 
È abbastanza significativo che si sia, seppure indirettamente ed involontariamente, evocata una pratica di pietà molto importante, solenne e sobria, quale quella della raccomandazione dell’anima dei moribondi.
 
Fa riflettere che questo Ordo sia oggi del tutto sconosciuto ai pastori della Chiesa, che un tempo lo avevano a portata di mano, perché riportato in appendice nei loro breviari: quei breviari romani finemente rilegati, di ridotte dimensioni ma ben leggibili: veri e propri vademecum del sacerdote cattolico. Oggi, almeno, c’è internet a conservarne la memoria (v. i siti Maranatha e Preces Latinae), altrimenti persa definitivamente.
 
La risacralizzazione del sacro passa anche attraverso il recupero di queste preghiere, che accompagnano e sostengono il fedele nell’ora suprema di passare da questo mondo all’altro, e non fuggendo da lui, abbandonandolo solo al proprio ineluttabile destino.
 
I sacerdoti riscoprano e facciano riscoprire ai loro fedeli l’importanza della raccomandazione dell’anima in procinto della morte, non adontandosi di essere scomodati nel cuore della notte per assistere i moribondi: in quel momento estremo dimostrano in toto l’essere ministri di Dio, ad onta delle proprie miserie.
 
 
 
 
 
 
 
 

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