Giuliana Sgrena rilancia le tesi stantie del maschilismo cattolico. Ma i testi sacri dimostrano la centralità della figura femminile.
di GIULIANO GUZZO
Nel suo ultimo libro, uscito qualche mese fa e del quale continua a fare presentazioni in tutta Italia, la giornalista Giuliana Sgrena rilancia una tesi non nuova ma sempre capace di suscitare un certo interesse, vale a dire quella secondo cui le religioni, in particolare quelle monoteiste, sarebbero incompatibili col rispetto della dignità femminile.
Una tesi che in Dio odia le donne (Il Saggiatore) - questo il nome dell'opera -l'inviata del Il Manifesto sviluppa riservando con grande originalità le critiche più pesanti al Cristianesimo, cosa da lei stessa ammessa in un'intervista: «Ho cercato di affrontare le tre religioni senza preconcetti, ma [ ... ] è vero. Ho scoperto che la religione cattolica- quella che, per certi versi, si è rinnovata di più -, non ha in alcun modo cambiato atteggiamento nei confronti delle donne, con questa ideologia/ossessione della verginità di Maria come modello [ ... ] nella storia del cattolicesimo che sembra cambiare, sulle donne si continua ad infierire nello stesso identico modo».
Ora, pur nel rispetto delle opinioni altrui, da sociologo- prima che da credente -mi trovo in forte imbarazzo di fronte a queste tesi. Di più: sono dell'avviso che il Cristianesimo e la Chiesa siano stati i più formidabili sponsor dell'affermazione dei diritti della donna e dell'eguaglianza tra i sessi. Parto dalla Genesi, secondo Sgrena premessa di tutto il maschilismo della storia, dato che, poiché creata dalla costola di Adamo, la donna sarebbe stata pensata da Dio non in quanto essere autonomo, bensì come pezzo dell'uomo destinato ad essergli sottomesso.
E’ abbastanza curiosa, oggi, un'argomentazione simile, se non altro perché a demolirla, secoli or sono, ci pensò san Tommaso, il quale spiegò che era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell'uomo; non dovendo dominare sull'uomo, non fu formata dalla testa di quest'ultimo, ma non dovendone essere la schiava e da lui disprezzata - fece osservare l'Aquinate- non fu formata dai suoi piedi (Sum Th, l, Q. 92, Art 3). Singolare pure la tesi secondo cui san Paolo detestava le donne: e allora come mai, nella Lettera ai Romani, mandò i suoi saluti personali a ben 15 diverse donne? Non per nulla studiosi come Wayne Meeks, professore emerito di Biblical Studies alla Yale University, ricordano come le donne fossero «compagne di lavoro di Paolo in quanto evangeliste e maestre».
Venendo poi al Vangelo, non capisco come si possa dubitare della valorizzazione femminile, evidenziata in molteplici passaggi. Si pensi alla condotta di Gesù, che aveva continuamente al seguito (anche) un buon numero di donne, fatto da cui emerge chiara la proclamazione d'una nuova considerazione pubblica della donna. Oppure si pensi alla Pasqua: le prime al sepolcro vuoto e a ricevere la spiegazione dall'Angelo del Signore furono, secondo i Vangeli, donne, scelta narrativa inconciliabile con una logica maschilista. Tanto più che, al tempo, le testimonianze femminili contavano zero; scriveva lo storico Giuseppe Flavio, nato sette anni dopo la crocifissione, nelle sue Antichità Giudaiche: «Le testimonianze dì donne non valgono e non sono ascoltate tra noi». Eppure, lo si ripete, l'evento cristiano per eccellenza, quello cui poggia tutto il resto, ha nelle donne le prime testimoni.
La tesi del presunto sessismo cristiano, poi, pare del tutto contraddetta dalla figura di Maria, che per i cristiani è l'unica persona - lei, una donna - assunta in Cielo in anima e corpo. Inoltre, se la Chiesa fosse stata così ostile alle donne come a volte si racconta, non si spiegherebbe come mai i primi martiri onorati come santi -sant'Agnese, santa Cecilia, sant'Agata - siano, appunto, donne e non uomini. Allo stesso modo, sarebbe impossibile spiegare come mai il periodo cristiano per eccellenza, il Medioevo, sia stato costellato da figure femminili potenti e influenti: da Matilde di Canossa a Eleonora d'Aquitania, da Bianca di Castiglia a Ildegarda di Bingen. La verità storica, insomma, fu ben diversa da quella propagandata da certa pubblicistica. E vide le donne avvantaggiate dal Cristianesimo già dalla nascita - con la condanna dell'infanticidio, che i greco-romani praticavano soprattutto sulle neonate-, e dall'adolescenza, col 20% delle ragazze pagane che si sposava prima dei 13 anni, contro il 7% delle cristiane. Non a caso, come ricorda il sociologo Rodney Stark, all'inizio il Cristianesimo ebbe successo più fra le donne, anche di classi elevate, che tra gli uomini.
L'attenzione dei cristiani e della Chiesa alla donna si rispecchiò anche nell'istruzione: la prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro, era oblata benedettina. Oppure si pensi a Laura Bassi, prima donna ad intraprendere una carriera accademica e scientifica in Europa nonché la prima al mondo ad ottenere una cattedra universitaria: a nominarla accademica, peraltro contro il parere degli altri docenti, fu nel1745 Papa Benedetto XIV, che istituì solo per lei un posto, in origine non previsto, con tanto di pensione. Che tutto ciò sia accaduto nella nostra penisola, culla europea della Cristianità, non sembra essere un caso se si pensa che ad Oxford le donne iniziarono ad essere ammesse soltanto nel1920 e Cambridge non concesse diplomi di laurea alle donne fino al1921. E si potrebbe continuare ancora, se spazio e tempo non fossero tiranni, nell'esporre fatti che non solo documentano quanto la Chiesa e il Cristianesimo abbiano fatto per le donne, ma pure quanta malafede- o poca conoscenza storica, opzione che il sottoscritto preferisce considerare - occorra per negare una realtà che chiede, per essere riconosciuta, null'altro che un po' di onestà.
fonte: La Verità, 29/10/2016
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