venerdì 7 ottobre 2016

7 ottobre: Beata Vergine Maria del Rosario

 



Il Rosario è, nato dall'amore dei cristiani per Maria in epoca medioevale, forse al tempo delle crociate in Terrasanta. L'oggetto che serve alla recita di questa preghiera, cioè la corona, è di origine molto antica. Gli anacoreti orientali usavano pietruzze per contare il numero delle preghiere vocali. Nei conventi medioevali i fratelli laici, dispensati dalla recita del salterio per la scarsa familiarità col latino, integravano le loro pratiche di pietà con la recita dei "Paternostri", per il cui conteggio S. Beda il Venerabile aveva suggerito l'adozione di una collana di grani infilati a uno spago. Poi, narra una leggenda, la Madonna stessa, apparendo a S. Domenico, gli indicò nella recita del Rosario un'arma efficace per debellare l'eresia albigese.

Nacque così la devozione alla corona del rosario, che ha il significato di una ghirlanda di rose offerta alla Madonna. Promotori di questa devozione sono stati infatti i domenicani, ai quali va anche la paternità delle confraternita del Rosario. Fu un papa domenicano, S. Pio V, il primo a incoraggiare e a raccomandare ufficialmente la recita del Rosario, che in breve tempo divenne la preghiera popolare per eccellenza, una specie di "breviario del popolo", da recitarsi la sera, in famiglia, poiché si presta benissimo a dare un orientamento spirituale alla liturgia familiare.

Quelle "Ave Maria" recitate in famiglia sono animate da un autentico spirito di preghiera:
"E mentre si propaga la dolce e monotona cadenza delle "Ave Maria", il padre o la madre di famiglia pensano alle preoccupazioni familiari, al bambino che attendono, o ai problemi che già pongono i figli più grandi. Questo insieme di aspetti della vita familiare subisce allora l'illuminazione del mistero salvifico del Cristo, e viene spontaneo affidarlo con semplicità alla madre del miracolo di Cana e di tutta quanta la redenzione".

La celebrazione della festività odierna, istituita da S. Pio V per commemorare la vittoria riportata nel 1571 a Lepanto contro la flotta turca (inizialmente si diceva "S. Maria della Vittoria"), il giorno 7 ottobre, che in quell'anno cadeva di domenica, venne estesa nel 1716 alla Chiesa universale, e fissata definitivamente al 7 ottobre da S. Pio X nel 1913. La "festa del santissimo Rosario", com'era chiamata prima della riforma del calendario del 1960, compendia in certo senso tutte le feste della Madonna e insieme i misteri di Gesù, ai quali Maria fu associata, con la meditazione di quindici momenti della vita di Maria e di Gesù.



La battaglia di Lepanto

La flotta cristiana riuscì a concentrarsi a Messina alla fine di agosto del 1571. Presto, se si considera la difficoltà che dovettero superarsi; troppo tardi, secondo i più prudenti tra i condottieri cristiani: Requesens, inviato personale di Filippo II, e Gian Andrea Doria consigliavano di limitarsi a un atteggiamento difensivo; nello stesso senso scriveva da Pisa don Garcia de Toledo. "Ma don Giovanni prestò ascolto soltanto ai capi veneziani e a quei capitani spagnuoli della sua cerchia che insistevano per l'azione; e, presa la decisione, si dedicò al compito con l'ardore esclusivo del suo temperamento" (17). In effetti, fu la sua energia, sostenuta dal fascino della sua personalità e dalla naturale attitudine al comando, a soffocare sul nascere riaffioranti contrasti tra capitani e tra equipaggi. Fu la sua volontà a perseguire lo scontro, andando a cercare l'armata nemica. Furono, poi, il suo coraggio e il suo valore militare a giocare un ruolo molto importante nella battaglia stessa.

Così, la flotta cristiana andò a cercare quella turca, la quale, dopo essersi spinta fino a metà Adriatico, era rientrata a Lepanto, per imbarcare nuovi equipaggi e nuovi viveri. La flotta cristiana era composta da duecentootto galee, quella turca da duecentotrenta. Centodieci galee avevano comandanti veneziani, anche se, per la scarsezza di uomini, gli equipaggi erano stati rinforzati con truppe provenienti dagli Stati spagnoli, in specie per il settore degli archibugieri. Trentasei provenivano da Napoli e dalla Sicilia; ventidue da Genova, al comando del Doria; ventitré dagli Stati pontifici e da altri Stati italiani (18); quattordici dalla Spagna in senso stretto e tre da Malta (19).

La superiorità numerica, gli ordini avuti dal sultano e il suo temperamento personale indussero il comandante in capo della flotta turca, Alì, a non sottrarsi al combattimento, pur se nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario. Mentre le flotte si avvicinavano fu inalberato sulla galea del comandante in capo dell'armata cristiana (20) lo stendardo della Lega, offerto da san Pio V, che recava in campo cremisi il Crocifisso con, ai piedi, le armi del Pontefice, di Venezia e della Spagna. Don Giovanni e il comandante pontificio, Marcantonio Colonna, imbarcatisi su due piccoli e veloci legni, percorsero tutto lo schieramento, ricordando la natura divina della causa per cui combattevano e che il Crocifisso era il loro vero comandante. A bordo, i cappellani confessavano e i capitani incitavano; gli equipaggi lanciavano grida di guerra (21). Un contemporaneo ricorda che nelle galee cristiane "tuttavia si toccavano assiduamente gli tamburi e ogni altra sorte di istrumenti", aggiungendo che esse "vogavano in bellissima ordinanza", cioè stando molto vicine, in modo da impedire la penetrazione di gruppi di navi nemiche (22).

Il mare si calmò improvvisamente, e ciò parve miracoloso agli esperti di mare. La battaglia si accese, dopo che dalle imbarcazioni ammiraglie erano partiti i primi colpi di artiglieria. Mentre Gian Andrea Doria, a capo dell'ala destra dello schieramento cristiano, era costretto ad allargarsi per evitare la manovra di aggiramento tentata dal corno sinistro dello schieramento turco, comandato da Euldj-Ali (27) la battaglia si decise nel centro. Le artiglierie giocarono un ruolo tutto sommato secondario, anche se la superiorità di fuoco delle sei galeazze veneziane, pesantemente armate, rimorchiate in prima fila, ebbe un peso rilevante nel gettare un sanguinoso disordine nel cuore dello schieramento nemico. Decisiva fu la superiorità delle fanterie cristiane nella serie dei combattimenti ravvicinati tra singoli gruppi di galee, guidate da capi che "non mancavano di mostrare animo gagliardo e grande" (24). Intanto, "gran parte degli schiavi cristiani che si trovavano sopra l'armata nemica [...] facevano ogni sforzo per procacciare il loro scampo e la vittoria dei nostri" (25).

Molti furono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galera Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano, tutto ucciso salvo il suo comandante Tommaso de' Medici e quindici, uomini. Il generale Giustiniani, dell'Ordine di Malta, e il comandante della galera capitana dell'Ordine, fra' Rinaldo Naro, furono feriti tre volte; quaranta cavalieri di Malta caddero nel combattimento (21). Morì, tre giorni dopo la battaglia, anche il comandante in seconda veneziano, Agostino Barbarigo, il quale, accorgendosi che ì suoi ordini non erano uditi bene, si scoprì il viso mentre "i nemici più fieramente saettavano; essendogli detto si coprisse [...] rispose che minor offesa egli sentirebbe di essere ferito che di non essere udito", e fu così ferito mortalmente (27). Del valore di don Giovanni si è detto; va anche ricordato il grande apporto di Marcantonio Colonna e del settantacinquenne comandante veneziano Sebastiano Venier.

Le proporzioni della sanguinosa battaglia possono essere riassunte in poche cifre. Se i caduti cristiani furono circa 9 mila, quelli turchi furono 30 mila, e varie altre migliaia quelli catturati. Soltanto trenta navi turche riuscirono a fuggire; delle altre, centodiciassette catturate e divise tra gli Stati membri della Lega e le rimanenti andarono distrutte (28).
La flotta cristiana bloccò l'ingresso del golfo di Lepanto. I musulmani, obbedendo all'ordine impartito dal sultano Selim II, accettarono la battaglia.
Con un rumore assordante iniziarono l'avvicinamento suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento era a loro favore.
La flotta cristiana era nel più assoluto silenzio.

Quando le flotte giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Giovanni innalzò lo stendardo con l'immagine del Redentore crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata.
Il vento improvvisamente cambiò direzione. Le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono.

Giovanni d'Austria puntò diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna diede l'arrembaggio alla nave turca che divenne il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa. Giovanni venne ferito ad una gamba. Mehmet Alì Pascià venne ucciso da un colpo di archibugio. La Sultana si arrese. Alle due del pomeriggio Giovanni poté riprendere il controllo della flotta.

Muhammad Saulak era riuscito ad aggirare il fianco sinistro. Agostino Barbarigo fu attaccato da otto galee turche contemporaneamente. Barbarigo, ferito ad un occhio da una freccia, dovette cedere il comando a Federico Nani. Sei galee veneziane furono affondate. Muhammad Saulak stava per prevalere. Ma improvvisamente i rematori cristiani si sollevarono dai banchi di schiavitù e con le catene si gettarono sulle scimitarre dei loro aguzzini. I veneziani ripresero il sopravvento. Muhammad Saulak venne ucciso.
All'ala destra Uluj Alì e Gian Andrea Doria manovravano per trovarsi in posizione di vantaggio. Alessandro Farnese con i suoi 200 uomini conquistò una galea turca. Diego di Urbino, comandante della Marquesa, ordinò a Miguel Cervantes di aggirare una galea con una scialuppa. Cervantes fu ferito due volte, al petto e alla mano.
Sia il Doria che Uluj Alì, prima della battaglia, avevano tentato di dissuadere i loro comandanti dal dare battaglia. Nessuno dei due voleva mettere a rischio le proprie navi. Uluj Alì manovrò per aggirare l'ala destra dello schieramento. Doria spostò le sue galee verso destra per fermare i Turchi, lasciando aperto un varco tra il centro e l'ala destra. Giovanni ordinò al Doria di ricompattare lo schieramento, ma Uluj Alì fu veloce a infilarsi nel varco improvvisamente apertosi con le sue galee corsare.
Uluj Alì, con il vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. I Gerosolimitani sono presenti con tre galere ma numerosi Cavalieri combattono sulle navi spagnole, pontificie, siciliane e toscane. La Capitana di Pietro Giustiniani venne circondata da sette galee. Uluj Alì catturò il vessillo dei Cavalieri di Malta, fece prigioniero Giustiniani, che era stato ferito sette volte, e prese a rimorchio la Capitana.
L'ammiraglio Santa Cruz intervenne con la retroguardia. Il capitano Ojeda, al comando della galea Guzmana, raggiunse la Capitana, l'abbordò e la riconquistò. Uluj Alì fu costretto ad abbandonare la preda. Con una quindicina di galee e di galeotte fuggì, si nascose nelle isole dei dintorni, si impadronì di una lenta galea veneziana, la Bua, e si diresse verso Costantinopoli.

Alle 4 del pomeriggio i Turchi erano stati completamente sconfitti. I pochi superstiti si ritirarono verso l'interno del golfo.
Le perdite dei Turchi
80 galee turche furono affondate. 117 furono catturate. 27 galeotte furono affondate e 13 catturate.
I Turchi persero 30.000 uomini tra morti e feriti. Altri 8.000 furono fatti prigionieri.
Vennero liberati 15.000 cristiani che erano stati ridotti in schiavitù e incatenati ai banchi delle galee.
Le perdite della Lega Santa
I cristiani persero 15 galee, ebbero 7.650 morti e 7.780 feriti.
S. Maria delle Vittorie sull'Islam
Pio V stabilì che il 7 ottobre fosse un giorno festivo consacrato a S. Maria delle Vittorie sull'Islam.
Gregorio XIII trasferì la festa alla prima domenica del mese di ottobre con il nome di Madonna del Rosario.

GIOVANNI GRANZOTTO
( Racconto di un marinaio)





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