sabato 25 aprile 2015

Perché l’ omosessualità NON E’ naturale – parte I







Alessandro Fiore

Una variante naturale del comportamento sessuale umano“: così molti concepiscono oggi l’omosessualità.

E non solo i gruppi LGBT e simili: la formula proviene addirittura dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si può allora ancora dire che l’omosessualità è “contro natura”?
La questione non è di secondaria importanza. La dimensione sessuale è una delle più profonde della persona e quindi sbagliarsi in questa materia ha sicuramente pesanti conseguenze.

Ma se persino l’OMS ci dice che l’omosessualità è normale, è “naturale”, come possiamo affermare il contrario? Lo possiamo. Ecco perché …

L’omosessualità non è né “normale”, né “naturale”. Bisogna capire però in che senso. I due aggettivi infatti hanno molteplici significati e quindi risulta necessario precisare in che senso i due termini non possono essere attribuiti all’omosessualità. Il significato dei concetti di “norma” e di “natura” dà luogo a problemi (e soluzioni) conosciuti da secoli. Già San Tommaso d’Aquino, in pieno medioevo, si mostrava consapevole (molto di più degli attuali sostenitori o anche oppositori dell’omosessualità) della molteplicità di significati del termine “natura”.

Ad esempio, un significato di “naturale” corrisponde a: “ciò che si trova in natura”. In questo senso l’omosessualità potrebbe dirsi “naturale” in quanto corrisponde effettivamente a una condizione umana vecchia (più o meno) quanto l’uomo stesso. Tuttavia in questo senso sono parimenti “naturali”: la pedofilia, la violenza sessuale, l’omicidio, ecc. Non ci aiuta molto neppure la constatazione che certi comportamenti omosessuali sono “naturali” perché si osserverebbero anche nel regno animale (anche se la natura di questo tipo di “omosessualità” rimane molto discussa): tra gli animali si trovano anche lo stupro, la necrofilia, la divorazione del partner dopo il rapporto sessuale e altre cose di questo tipo.


In natura molti maschi fanno una brutta fine dopo l’accoppiamento
 (ne sa qualcosa la mantide): quindi è naturale ammazzare e /o divorare il partner?

In realtà una definizione di “naturale” del tipo: “ciò che accade in natura” non ci dice nulla su come l’uomo si dovrebbe comportare, ma ci dice solo come si comporta di fatto (e spesso, molto spesso, si comporta male).

Ora quest’ultimo aspetto è quello che ci interessa, ed è l’aspetto propriamente morale. E’ principalmente in senso morale che l’omosessualità è “disordinata”, “contro-natura”, “a-normale”, e simili. Organizzazioni come l’OMS hanno un certa autorevolezza (non infallibilità) nel dirci cosa è o non è patologia per la scienza medica. Tuttavia ciò che è patologia non è necessariamente disordine morale, e ciò che è disordine morale non è per forza anche patologia. Ci può essere una relazione tra le due sfere: qualche volta il legame è diretto, altre volte indiretto e eventuale. In altri casi questa relazione invece non c’è. Anche in quest’ultima ipotesi però, che un comportamento non possa essere qualificato come patologico non significa che in esso non ci sia qualche profilo di immoralità o che non sia addirittura intrinsecamente immorale.

In questa serie di articoli ci proponiamo di esplorare l’aspetto propriamente morale della “natura” e del comportamento umano, e di qualificare il comportamento, e poi l’inclinazione (oggi si direbbe: “orientamento”), omosessuale alla luce dei principi morali. Non ci interessa direttamente discutere invece se l’omosessualità possa o no qualificarsi come “patologia”: ci sono molti esperti che criticano, con argomenti solidi, l’attuale impostazione “dominante” della scienza medica, ma questo non costituisce a nostro avviso il cuore del problema. Emergerà comunque qualche elemento atto a indicare che l’omosessualità può essere all’origine di varie patologie, indipendentemente dal fatto che essa sia o meno in sé stessa una patologia. Centrale rimarrà in ogni caso il discorso morale.

L’omosessualità è oggetto del nostro discorso sotto l’aspetto specificamente morale.

In questo senso ci stiamo chiedendo se essa sia “naturale” o meno: altri significati di “naturale”, come “ciò che si trova in natura”, hanno poca o nessuna rilevanza.

Prima di capire però perché l’omosessualità contraddice la moralità dell’atto sessuale, bisogna definire cos’è la “morale” (o “etica”). La morale o etica è, in parole semplici, la conoscenza di quello che l’essere umano, in quanto tale, dovrebbe o non dovrebbe fare. Il primo principio di questa conoscenza è il seguente:
“Si deve fare il bene“.
E di conseguenza:
“Si deve evitare il male“.

In questi due principi sta l’agire morale. Il problema però è capire cosa è il bene e cosa è il male morale, cioè proprio quel bene e quel male che richiamano un dovere dell’uomo.

Ci sia concessa a questo punto una parentesi metafisica. Il bene, in generale, corrisponde a una certa perfezione, e, in fin dei conti, a una pienezza d’essere. Il male è, al contrario, un’assenza di questa perfezione e di questo essere. Anzi, più precisamente, è la “privazione” di una perfezione (essere) a costituire il male. Infatti non ogni “assenza di bene” costituisce un male, ma solo la “privazione del bene” lo costituisce. La privazione è l’assenza di un bene che dovrebbe invece esserci: il male è appunto l’assenza o negazione di un bene dovuto.

Qualche esempio aiuterà a capire meglio:

omosessualita_male_bene_fine_natura

Per un maiale non è un “male” non avere le ali. Invece questo costituisce un certo male fisico per l’uccello (che infatti non è uccello “normale” se non ha le ali). Non è un male per l’ostrica l’essere per sempre incapace di ragionare; mentre questa incapacità corrisponde ad un certo male nell’uomo.
Lo stesso si può riscontrare nelle cose artificiali: noi non diremmo che un coltello è “un cattivo coltello” per il fatto che non trasmette bene delle immagini; invece giudicheremmo una televisione che non trasmette bene le immagini come una “cattiva” televisione. Un cattivo coltello sarebbe quello che non taglia: “essere incapace di tagliare” è quindi un certo male per il coltello.

Si vede allora che per individuare il “bene” di un tipo di essere e, per contrasto, il “male”, è necessario distinguere tra ciò che è semplice “assenza” di bene e ciò che invece è “privazione” di bene. Sapere cioè quando il bene in questione è un bene “dovuto”, e quando invece non lo è. Solo nel primo caso si ha il “male”.

Il segreto sta in un solo concetto: “FINALITA’ ".

E’ il fine che ci indica quando siamo davanti a una assenza di bene-perfezione-essere che è anche “privazione”, cioè “male”. E’ il fine che ci dice quando il bene è, in qualche modo, “dovuto”. La struttura del maiale non è finalizzata al volo e quindi è irrilevante per esso non possedere delle ali. L’uccello invece è finalizzato al volo, e quindi dovrebbe avere delle ali: esso si ritrova in uno stato di privazione se non ha le ali. La struttura dell’ostrica non è fatta per ragionare, mentre l’uomo dovrebbe essere capace di ragionare, cioè la sua struttura e il suo sviluppo sono finalizzati ad esercitare quella funzione. Il coltello non è fatto per trasmettere immagini, mentre lo è la televisione: è quella la sua finalità. La perfezione di “trasmettere immagini” è dunque dovuta a una buona televisione, così come quella di “tagliare” è la finalità del coltello.

In sintesi: il male si definisce, metafisicamente, come privazione di bene, cioè come assenza di bene dovuto. E questa relazione di “doverosità del bene” è data dal fine, cioè ciò a cui è ordinato il soggetto, la facoltà, l’azione, e così via.

Il male non si può dunque ridurre, ad esempio, al dolore: anzitutto, anche il male esclusivamente fisico è molto più ampio del dolore. Ci possono essere stati di privazione di bene, senza coscienza e quindi senza dolore. Si pensi a una persona che dopo un incidente abbia perso le gambe e anche i sensi. Quella persona magari non sperimenta il dolore, ma di sicuro non sta “bene”.

La stessa morte, che è privazione della vita, esclude, nel momento in cui si realizza, il dolore. Quando si è morti il dolore non c’è più. Anche il dolore si riconduce, comunque alla definizione metafisica del male, nella misura però in cui esso è un male. Infatti il dolore è, o può essere, anche un certo bene, in due sensi: 1). in quanto si identifica con la consapevolezza di una “privazione” che ci affligge. Se questa consapevolezza non ci fosse, non ci renderemmo spesso conto del male che ci affligge, e non sapremmo reagire contro il male fisico (o psicologico) in modo proporzionato, rischiando prima o poi di disintegrarci. 2). Il dolore potrebbe essere un certo bene se ulteriormente “finalizzato” al conseguimento di un bene maggiore. In ogni caso il dolore è anche un male in quanto implica “coscienza”, sì, ma “di una privazione”.

Torniamo però al nostro discorso.

Il male è dunque privazione di bene, cioè di una perfezione che corrisponde alla finalità del soggetto, della funzione, dell’azione, ecc. La malattia è privazione della salute (quell’equilibrio e quella perfezione dell’organismo verso cui tendono le varie facoltà e il soggetto come tutto), la cecità è privazione della vista (ciò verso cui è finalizzato l’occhio), e via dicendo.

E’ importante notare da subito una cosa: è facile vedere come il “bene” e il “male” si concretizzino diversamente dipendendo dal tipo di essere al quale ci si riferisce. Abbiamo visto che il bene e il male si applicano diversamente al maiale, all’uccello, all’uomo, al coltello, ecc. In altre parole, pur conservando sempre la stessa definizione, quei concetti si declinano diversamente dipendendo da “ciò che è” un certo essere, e da “ciò verso cui tende come fine”.

Filosoficamente questo si esprime in una parola: dipende dalla “NATURA” delle cose.

La “natura”, secondo un pensiero filosofico assai antico, esprime proprio questo: cioè l’essenza di una cosa (“ciò che è”) in quanto ordinata al proprio fine. L’essenza in quanto principio di attività e operazioni che hanno ciascuna un proprio fine e che concorrono, tuttavia, al fine complessivo e totalizzante di quell’essere.

Comincia, a questo punto, a delinearsi il significato di quello che si esprime spesso con il termine “contro-natura”. Tuttavia il percorso logico non è ancora finito. Bisogna fare un passo avanti. E’ necessario capire esattamente, dopo aver definito metafisicamente il “bene”, il “male” e la loro relazione con il “fine” e con la “natura” delle cose, quando siamo in presenza di un bene o male specificamente morali, e quindi, quando anche i termini “naturale” e “contro-natura” hanno un significato etico. Quando si entra nella sfera morale?

Cercheremo di rispondere a questa domanda nella prossima puntata. Solo così avremo gli strumenti per capire in cosa consiste il bene e il male morale, e poi sarà possibile applicare questa conoscenza alla dimensione della sessualità umana, in particolare all’omosessualità.










http://www.notizieprovita.it/ 25 aprile '15




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