giovedì 19 marzo 2015

Intervista a don Nicola Bux: rimanere cattolici coniugando tradizione e innovazione





Don Nicola Bux ha voluto rilasciare al blog Scuola Ecclesia Mater la seguente breve intervista – in via esclusiva – nella quale tocca vari temi. Con l’auspicio che a questa possano seguire altre.


1. Caro don Nicola, ti ringrazio innanzitutto di aver voluto accettare l’invito a rilasciare una breve intervista in esclusiva per il blog Scuola Ecclesia Mater.
Entro subito nel vivo con una domanda: è da pochi giorni caduto il secondo anniversario del pontificato di papa Bergoglio. Indubbiamente un pontificato assai originale e, per molti versi, “rivoluzionario”, che ha infranto molte immagini che noi avevamo della figura di un pontefice. Sul quotidiano “Libero” del 14 marzo scorso l’ex direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, si avventura in una sorta di profezia – se vogliamo dir così – secondo la quale poiché il papa “piace a troppi, finirà malissimo”. 
Tu, dal tuo punto di vista, come giudichi questo biennio di pontificato? Qual è stata la tua esperienza di questo vescovo di Roma?
R. Un amico ha richiamato la mia attenzione su quest’altra affermazione di Giuliano Ferrara circa la Chiesa: “il fine di riconquistare il mondo è santo, ma i mezzi implicano l’alto rischio che sia il mondo a conquistarti definitivamente, cancellandoti come contraddizione o segno di contraddizione”. Mi è subito venuta in mente la profezia di Simeone a proposito del Messia, ed anche un corso di esercizi spirituali del card. Karol Wojtyla, pubblicato da ‘Vita e Pensiero’ nel 1978, poco prima della sua elezione a papa, intitolato appunto ‘Segno di contraddizione’. Se la Chiesa non fosse più tale, rispetto al mondo, e al modo di pensare dell’uomo, come Simon Pietro si sentirebbe dire da Gesù: “Allontanati da me, satana, perché tu non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8, 33). La società attuale, materialista ed edonistica, rischia di distruggere la Chiesa? - mi ricorda ancora l’amico - come hanno tentato la rivoluzione francese o i governi anticlericali messicani dei primi del novecento? La Chiesa non sarà distrutta perché Gesù l’ha promesso: portae inferi non praevalebunt contra eam. Essere segno di contraddizione, significa che la Presenza divina - il “Sacro-santo” per definizione - giudica in permanenza il profano (profanus, fuori dal Tempio: ciò che non è ancora stato raggiunto dalla Presenza), non ancora con-sacrata, si direbbe liturgicamente, o dommaticamente. ‘salvata’. Per questo, Cristo ha pregato per i suoi, ma non per il mondo, dice Giovanni.


2. Tra le ultime “sorprese”, che ci ha riservato questo pontificato, vi è l’annuncio di un Giubileo straordinario, dedicato alla “misericordia”, che inizierà il prossimo 8 dicembre. Questa è davvero una novità nella storia della Chiesa. Infatti, abbiamo avuto solo giubilei ordinari e straordinari legati al ricordo di eventi della vita di Cristo (penso, ad es., a quello del 1933 o a quello del 1983 o anche quello del 1423 dopo 33 anni da quello precedente del 1390). A mia memoria vi fu un giubileo straordinario, legato alla fine del Concilio Vaticano II, nel 1966. Ma si trattava di qualcosa di davvero eccezionale (e forse irripetibile), in quanto legata ad un evento straordinario della Chiesa. Mai, comunque, sono stati celebrati giubilei per gli anniversari di concili della Chiesa. Oggi, invece, si dovrebbe celebrare il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II (1965-2015) e ciò costituisce un’indubbia novità. Cosa ne pensi di quest’evento da poco annunciato? In quali prospettive si pone?



R. “Forse che io ho piacere della morte del malvagio, dice il Signore Dio, o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?” (Ez. 18,23). La misericordia non è mai gratis, come insegnavano i gesuiti: è il punto di arrivo, dopo il sacrificio della croce. Infatti, la domenica di san Tommaso (per gli orientali) o della misericordia per i cattolici, viene celebrata nell’ottava di Pasqua, dopo la settimana santa, dopo aver commemorato e fatta nostra, la passione e l’espiazione di Cristo. Dunque, la misericordia significa ritenere possibile la conversione, il cambiamento di mentalità e di comportamento morale. La violazione del Decalogo, è avvenuta un momento dopo che Dio l’aveva dato a Mosè, ma tale violazione non ha fatto venire in mente ai profeti, a Gesù o alla Chiesa che bisognasse cambiarlo, perché difficile da praticare; al contrario, ha reso più insistente il richiamo alla conversione. Misericordia vuol dire chiamare a conversione il peccatore. 
I Giubilei hanno quest’unico significato: favorire l’abbandono della condotta immorale e il ritorno a Cristo. Questi, ha chiamato a conversione noi peccatori, non ha detto: rimanete nella condizione di peccato in cui siete. Invece, sembra che la misericordia, oggi, sia intesa in questo modo: “Tu sei come sei, e Dio lo sa, ma non fa niente, rimani pure nella condizione di peccato”. All’inizio del ministero di Gesù, c’è l’appello: “Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo”(Mc 1, 15). Negare questo, significa pensarla come Lutero: poter essere peccatore – perché la natura, secondo lui, sarebbe irrimediabilmente corrotta - e contemporaneamente giusto, perché la grazia mi assolverebbe dal castigo. Per questo, all’epoca della Riforma protestante, nessun cattolico si sognava di dire che Lutero avesse ragione. Oggi, succede di sentire il contrario. Questo sembra essere il background della relazione del sinodo, che il presidente dei vescovi polacchi ritiene inaccettabile: per esempio, è stupefacente aver scritto, ai n 25 e 41, che nella convivenza c’è qualcosa di positivo, o ritenere che questa debba sfociare necessariamente nel matrimonio; per passare dall’una all’altro, ci vuole un cambiamento radicale di mentalità, che chiamiamo conversione. 
Se il Giubileo servirà a riannunciare le verità dimenticate sul peccato e sulla conversione, sarà utile per molti. Tra gli appunti di Giovanni Paolo II, pubblicati dal suo segretario, si legge: “Una domanda: intendo il mio servizio nella Sede di Pietro come la difesa della legge di Dio? Delle leggi del Creatore e Redentore”(Karol Wojtyla, Joannes Paulus II. Sono tutto nelle mani di Dio. Appunti personali 1962-2003,Libreria Editrice Vaticana 2014, p 245).


3. Il papa, ancora lo scorso 7 marzo, in occasione della celebrazione della messa nella Chiesa romana di Ognissanti, in ricordo della prima messa lì celebrata in lingua italiana da Paolo VI, mentre usciva dalla chiesa ha detto “ringraziamo il Signore per quello che ha fatto nella sua Chiesa in questi cinquant’anni di riforma liturgica. E’ stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa, e questo è importante per noi, seguire la Messa così. E non si può andare indietro, dobbiamo andare sempre avanti, sempre avanti e chi va indietro sbaglia. Andiamo avanti su questa strada” ed ancora, nell’omelia, ha affermato che “La liturgia non è una cosa strana, là, lontana, e mentre si celebra io penso a tante cose, o prego il rosario. No, no. C’è una corrispondenza, tra la celebrazione liturgica che poi io porto nella mia vita; e su questo si deve andare ancora più avanti, si deve fare ancora tanto cammino”. 
Ecco, don Nicola, tu celebri la messa anche nel rito antico. Secondo te, ma anche in base alla tua esperienza, la liturgia antica può intendersi e leggersi come qualcosa di “strano, là, lontana” dalla vita? E che significato dare a quel “dobbiamo andare sempre avanti” e che “chi va indietro sbaglia”? Stiamo sbagliando nell’auspicare un sempre maggiore ritorno alla liturgia ante-conciliare? E’ infruttuoso e spiritualmente sterile? Ricordo che il compianto card. Stickler, nel 1995, parlava di un’indubbia attrattiva teologica della messa tridentina … .


R. Benedetto XVI, com’è noto, ha parlato e agito mediante “l’ermeneutica della continuità nell’unico soggetto Chiesa” – lo stesso Francesco, ebbe a lodare in tal senso mons. Marchetto, ma in altre occasioni ha mosso delle obiezioni. Per esempio, egli ha affermato, nel contesto di un più ampio invito all’evangelizzazione: “non sarà la pura ‘restaurazione’ di forme del passato che potrà rendere attuale il cristianesimo per l’uomo d’oggi”(J. Carrón, Lettera alla Fraternità di Cl, dopo l’udienza privata con papa Francesco dell’11 ottobre 2013); anzi, ha annoverato ciò tra le tentazioni, “il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa...”(papa Francesco, Discorso alla LXVI Assemblea generale della Cei, 19 maggio 2014).
Tuttavia, Gesù, nel vangelo, afferma che, lo scriba sapiente, dal suo tesoro estrae cose nuove e cose antiche. Ogni volta che celebriamo la Messa andiamo “indietro”, perché facciamo memoria del Signore, e nello stesso tempo “andiamo avanti”, perché attendiamo la sua venuta. Anche chi celebra la Messa nella forma straordinaria, procede in questo senso: questa ha alcune ragioni: quanto ha fatto il Signore nel contesto dell’ultima cena è una novità, per questo: «l’ultima cena fonda il contenuto dogmatico dell’eucaristia cristiana, ma non la sua forma liturgica» (J. Ratzinger, Davanti al Protagonista, Cantagalli, Siena 2009, p. 102). Bisogna, allora, chiarire cosa sia la ‘forma’ della liturgia.
Le forme della liturgia cristiana, in Oriente e in Occidente, si svilupparono a partire da quelle del Tempio di Gerusalemme, della liturgia sinagogale e domestica. Si comprende, così, che la Costituzione liturgica chieda: “le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti”(23). In questo modo, facciamo progredire la tradizione: “sana traditio - legitima progressio”; come ebbe a dire Benedetto XVI in due discorsi, il primo all’Ateneo Sant’Anselmo, il 6 maggio 2011, e il secondo in una lettera per il I Centenario del Pontificio Istituto di Musica Sacra. Tenere in equilibrio traditio e progressio, significa che la liturgia si muove tra innovazione e tradizione, senza cadere nell’archeologismo a senso unico, come diceva già Pio XII nella Mediator Dei. Perché attingere agli usi del V secolo e tralasciare quelli del XII? Per esempio, nella riforma liturgica post-conciliare, è stata ripristinata la preghiera dei fedeli, un elemento attestato nel II secolo, ma è stato abolito l’orientamento della preghiera ad Dominum, che è di origine apostolica e conservata ancora oggi da tutte le Chiese orientali. La traditio le comprende tutte, non solo l’antichità o l’alto medioevo, ma anche il basso medioevo e quello tridentino. Lo squilibrio ha favorito la creatività, gli abusi e i reati, come ricorda l’Istruzione Redemptionis Sacramentum. Dunque “quel che era sacro, resta sacro”, perché Dio ha i suoi diritti sul culto a lui dovuto, come disse Paolo VI e ha ribadito Benedetto XVI nella Lettera di accompagnamento al Motu proprio Summorum Pontificum.
Nel mondo attuale, dove la fede si va quasi spegnendo, il rito romano antico rivela una potenza evangelizzatrice, come attesta il movimento internazionale di giovani, che sempre più numerosi si avvicinano alla Chiesa, a motivo del misticismo della Messa in forma straordinaria, simile alla liturgia ortodossa, come ha ricordato Francesco ai giornalisti sull’aereo di ritorno dal Brasile: “Le Chiese ortodosse, hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione”. Proprio, non pochi di questi giovani, avvertono la chiamata alla vita sacerdotale e religiosa. Un vero ‘segno dei tempi’. Il crescente numero di persone, in specie giovani, nel mondo, smentisce, dunque, la visione che i riti antichi significhino un tornare indietro. Allora, noi latini non dovremmo esaltare le antiche liturgie orientali, altrimenti saremmo strabici.
Forse, oggi si parla di queste cose, perché ci si trova in realtà dinanzi a un fuori programma. Sembra di sentir dire, dai sostenitori acritici della riforma liturgica: non ci aspettavamo dopo cinquant’anni, che l’antico rito sopravvivesse e conquistasse nuovi consensi. Risponderemo: prendetene atto e riflettete su quanto ha fatto Benedetto XVI.


4. Un’ultima domanda. Il papa incontrando, lo scorso 19 febbraio, il clero romano ha criticato l’idea di “riforma della riforma” in liturgia ed ha lamentato come alcuni vescovi, in buona fede e spinti dalla necessità di avere sacerdoti, abbiano ordinato dei seminaristi “tradizionalisti”, che – così è parso far intendere – presentino spesso “problemi psicologici e morali”. Per cui, questi vescovi, senza un adeguato discernimento tra i candidati, ordinerebbero alcuni nei quali si possono nascondere degli “squilibri” che poi si manifestano proprio nelle Liturgie. In altre parole, sembra – dalle parole del papa – che i “tradizionalisti”, e segnatamente i seminaristi legati alle forme tradizionali liturgiche, presentino problematiche psichiche o psicotiche quasi in misura più accentuata rispetto ad altri. Che ne pensi di queste parole del vescovo di Roma?


R. Nel capitolo V del Gesù di Nazaret dedicato alla preghiera del Signore, in premessa Benedetto XVI ricorda come il Signore stesso abbia messo in guardia dalle forme errate del pregare, due in specie: l’esibizione di se stessi al posto della sua adorazione e il profluvio di parole che soffoca lo Spirito. Se la preghiera è espressione della relazione di amore tra il singolo e Dio, contiene un mistero che non tollera lo spettacolo “per essere visti dagli uomini”(Mt 6,5). In tempi caratterizzati dalla smania di apparire, questa tentazione può toccare i sacerdoti che celebrano la liturgia, in modo particolare quelli che la dirigono come ‘cerimonieri’, tradendo talvolta la tendenza esagerata se non perversa a mettersi in mostra, nota come esibizionismo. Forse è un effetto dello stare dinanzi all’assemblea invece che rivolti al Signore, dinanzi al quale, anche la dimensione comunitaria evidenziata nella orazione del Pater dal plurale noster “risveglia tuttavia la parte più intima della mia persona …”(p. 158). Tutto ciò è vero per ogni essere umano, per ogni cristiano; nondimeno il sacerdote è chiamato a esprimere la relazione sua personale e quella della comunità con Dio: “il noi della comunità orante e la dimensione personalissima di ciò che si può comunicare solo a Dio si compenetrano a vicenda”.
I tradizionalisti squilibrati, con problemi psicologi e morali? Che dire di tanti altri progressisti, che in nome della creatività manipolano la liturgia? Come ebbe a dirmi un anziano padre: stia sicuro che allo stesso modo potranno manipolare la morale.
Bisogna rimanere cattolici, coniugando tradizione e innovazione, come lo scriba sapiente del vangelo.


Grazie ancora don Nicola!








Scuola Ecclesia Mater, 18 marzo 2015

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