venerdì 20 marzo 2015

Borsino del sinodo. Giù Kasper, su Caffarra




Anche papa Francesco prende le distanze dal primo e si accosta al secondo. E si tiene caro il cardinale Müller. E promuove l'africano Sarah. Tutti intransigenti difensori della dottrina cattolica del matrimonio 




di Sandro Magister

ROMA, 20 marzo 2015 – "Con questo non si risolve nulla", ha detto papa Francesco riguardo all'idea di dare la comunione ai divorziati risposati. Tanto meno se loro la "vogliono", la pretendono. Perché la comunione non è "una coccarda, una onorificenza. No".

Nella sua ultima grande intervista Jorge Mario Bergoglio ha gelato le aspettative di sostanziale cambiamento nella dottrina e nella cura pastorale del matrimonio cattolico che lui stesso aveva indirettamente alimentato:

> Due anni di pontificato in una intervista a Televisa

"Aspettative smisurate", le ha definite. Senza più fare un cenno alle tesi innovative del cardinale Walter Kasper, da lui in passato più volte magnificato, ma dal quale sembra ora aver preso le distanze.

Viceversa, da qualche tempo papa Francesco guarda con crescente attenzione e stima a un altro cardinale teologo, che sul "Vangelo del matrimonio" sostiene tesi perfettamente in linea con la tradizione: l'italiano Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.

Da professore di teologia morale, Caffarra era specialista del matrimonio, della famiglia, della procreazione. E per questo Giovanni Paolo II lo volle alla presidenza del pontificio istituto per studi su matrimonio e famiglia da lui creato nel 1981 nell'università del Laterano, a seguito del sinodo del 1980 dedicato proprio questi temi.

Fece quindi sensazione l'esclusione, lo scorso ottobre, di qualsiasi esponente del detto istituto – che nel frattempo si è esteso in tutto il mondo – dalla prima sessione del sinodo sulla famiglia.

Ma ora questo vuoto è stato colmato, perché lo scorso 14 marzo papa Francesco ha nominato tra i consultori della segreteria generale della seconda e ultima sessione del sinodo, in programma nell'ottobre di quest'anno, proprio il vicepreside del pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, il professor José Granados.

Quanto a Caffarra, se non sarà la conferenza episcopale italiana, nel maggio prossimo, ad eleggerlo tra i propri quattro delegati al sinodo, sicuramente provvederà il papa ad includerlo tra i padri sinodali, come già aveva fatto per la precedente sessione.

L'arcivescovo di Bologna è uno dei cinque cardinali anti-Kasper che hanno raccolto le loro tesi nel libro "Permanere nella verità di Cristo" pubblicato in Italia da Cantagalli alla vigilia del sinodo scorso e ora tradotto in dieci lingue.

E fu da subito uno dei critici più decisi e argomentati della relazione bomba letta da Kasper al concistoro del febbraio 2014:

> Da Bologna con amore: Fermatevi!

In questa ampia intervista a "Il Foglio" del 15 marzo 2014, Caffarra disse tra l'altro, a proposito della comunione ai divorziati risposati:

"Chi fa questa ipotesi non ha risposto a una domanda molto semplice: che ne è del primo matrimonio rato e consumato? La soluzione prospettata porta a pensare che resta il primo matrimonio, ma c’è anche una seconda forma di convivenza che la Chiesa legittima. Quindi, c’è un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittimo. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali? Non è questione solo di prassi, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore".

Più sotto è riportata integralmente l'ultima presa di posizione di Caffarra su matrimonio e famiglia: una conferenza che ha tenuto lo scorso 12 marzo a Roma alla Pontificia Università della Santa Croce.

Ma prima sarà utile richiamare altri fatti che evidenziano il crescente avvicinamento di papa Francesco al fronte dei critici di Kasper.

Intanto, il papa continua a mantenere alla testa della congregazione per la dottrina della fede il cardinale Gerhard L. Müller, il più autorevole dei cinque porporati del libro anti-Kasper, fermissimo nel mettere in guardia da quella "sottile eresia cristologica" che consiste nel dividere la dottrina dalla prassi pastorale, nell'illusione che si possa cambiare la seconda senza intaccare la prima e quindi benedire le seconde nozze tenendo ferma l'indissolubilità del matrimonio:

> Introduzione ai lavori della commissione teologica internazionale, 1 dicembre 2014


In secondo luogo papa Francesco, in una delle poche nomine importanti da lui fatte recentemente in curia, ha messo alla testa della congregazione per il culto divino il cardinale guineano Robert Sarah, autore di un libro-intervista, "Dieu ou rien. Entretien sur la foi", edito in Francia da Fayard, nel quale respinge alla radice l'idea di dare la comunione ai divorziati risposati, che a suo giudizio è "l’ossessione di certe Chiese occidentali che vogliono imporre soluzioni, cosiddette 'teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate', che contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della Chiesa".

Dando pienamente ragione a Müller, il cardinale Sarah dice inoltre:

"L’idea che consisterebbe nel piazzare il magistero in un bello scrigno separandolo dalla pratica pastorale, la quale potrebbe evolvere a seconda delle circostanze, delle mode e delle passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica".

E dopo aver rilevato che la questione dei divorziati risposati "non è una sfida urgente per le chiese d’Africa e d’Asia", dichiara:

"Affermo dunque solennemente che la Chiesa d’Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero".

In effetti i cardinali e vescovi africani finora eletti come rappresentanti nel prossimo sinodo dalle rispettive Chiese nazionali sono tutti sulle posizioni intransigenti di Sarah, con l'unica eccezione dell'arcivescovo ghanese di Accra Charles Palmer-Buckle, che si è detto favorevole non solo alla comunione ai risposati ma anche – in ipotesi – al divorzio, grazie ai poteri del papa di "legare e sciogliere" ogni cosa sulla terra:

> African Archbishop Lays Down "Daring" Challenge for Synod on the Family

Va aggiunto che sono attestati su posizioni intransigenti anche i vescovi dell'Europa orientale, con in prima fila i polacchi:

> Konferencji Episkopatu Polski. Komunikat

> In English

Così come i quattro padri sinodali eletti dalla conferenza episcopale degli Stati Uniti: Joseph Kurtz, Charles Chaput, Daniel DiNardo, José H. Gómez.

Il più "moderato" dei quattro, Kurtz, non ha mancato nemmeno lui di rimarcare – sulla scia del cardinale Müller – che "è molto importante che non vi sia nessuno stacco tra il modo in cui preghiamo e crediamo e il modo in cui provvediamo la cura pastorale. C’è una giusta preoccupazione che rimaniamo fedeli al vero magistero della Chiesa, e questa è l’attitudine che adotterò nel sinodo":

> On Synod, Archbishop Kurtz Calls for Unity Between Catholic Beliefs and Pastoral Practice

__________



FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO

di Carlo Caffarra



Credo necessario fare una chiarificazione dei termini, così da poter indicare con rigore concettuale qual è esattamente il tema della mia riflessione.

Fede: intendo la "fides quae" circa il matrimonio. È sinonimo di “Vangelo del matrimonio” sia nel senso oggettivo: ciò che il Vangelo propone circa il matrimonio; sia nel senso soggettivo: il Vangelo, la buona notizia che è il matrimonio. È da sottolineare che non rifletterò sulla dottrina di fede circa il matrimonio considerata in sé per sé, ma in quanto è comunicata in un preciso ambito culturale, quello occidentale. In breve: rifletterò sulla comunicazione della proposta cristiana circa il matrimonio dentro alla cultura occidentale.

E passo al secondo termine: cultura. Con esso intendo la visione condivisa del matrimonio oggi in Occidente. Per visione intendo il modo di pensare il matrimonio, che soprattutto si esprime negli ordinamenti giuridici degli Stati e nelle dichiarazione degli organismi internazionali.

Ed entro in argomento, scandendo la mia riflessione in tre tempi.

Nel primo cercherò di disegnare uno schizzo della condizione culturale in cui oggi versa il matrimonio in Occidente.

Nel secondo cercherò di individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana riguardante il matrimonio.

Nel terzo indicherò alcune modalità fondamentali con cui il Vangelo del matrimonio oggi deve proporsi.


1. Condizione del matrimonio


"Rari nantes in gurgite vasto". Il famoso verso di Virgilio fotografa perfettamente la condizione del matrimonio in Occidente. L’edificio del matrimonio non è stato distrutto; è stato decostruito, smontato prezzo per pezzo. Alla fine abbiamo tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.

Esistono ancora tutte le categorie che costituiscono l’istituzione matrimoniale: coniugalità; paternità-maternità; filiazione-fraternità. Ma esse non hanno più un significato univoco.

Perché e come è potuta accadere questa decostruzione? Cominciando a scendere in profondità, constatiamo che è in opera una istituzionalizzazione del matrimonio che prescinde dalla determinazione biosessuale della persona. Diventa sempre più pensabile il matrimonio separandolo totalmente dalla sessualità propria di ciascuno dei due coniugi. Questa separazione è giunta perfino a coinvolgere anche la categoria della paternità-maternità.

La conseguenza più importante di questa debiologizzazione del matrimonio è la sua riduzione a mera emozione privata, senza una rilevanza pubblica fondamentale.

Il processo che ha portato alla separazione dell’istituto matrimoniale dall’identità sessuale dei coniugi, è stato lungo e complesso.


- Il primo momento è costituito dal modo di pensare il rapporto della persona col proprio corpo, un tema che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. Mi sia consentito ci descrivere come sono andate le cose attraverso una metafora.

Ci sono dei cibi che ingeriti possono essere metabolizzati senza creare problemi né immediati, né remoti; né causano indigestioni, né aumentano il colesterolo. Ci sono cibi che ingeriti sono di difficile digestione. Ci so no infine cibi che per l’organismo sono dannosi, anche a lungo termine.

Il pensiero cristiano ha ingerito la visione platonica e neoplatonica dell’uomo, ed una tale decisione ha creato gravi problemi di “metabolismo”. Come amavano esprimersi i teologi medievali, il vino della fede rischiava di trasformarsi nell’acqua di Platone, anziché l’acqua di Platone nel vino della fede.

Agostino vide molto chiaramente e profondamente che la difficoltà stava nella "humanitas-humilitas Verbi", nel suo essersi fatto carne, corpo.

La difficoltà propriamente teologica non poteva non divenire anche difficoltà antropologica riguardante precisamente i l rapporto persona-corpo. La grande tesi di san Tommaso che affermava l’unità sostanziale della persona non è risultata vincente.


- Secondo momento. La separazione del corpo dalla persona trova un nuovo impulso nella metodologia propria della scienza moderna, la quale bandisce dal suo oggetto di studio ogni riferimento alla soggettività, in quanto grandezza non misurabile. Il percorso della separazione del corpo dalla persona può dirsi sostanzialmente concluso: la riduzione, la trasformazione del corpo in puro oggetto.

Da una parte il dato biologico viene progressivamente espulso dalla definizione di matrimonio, dall’altra, e di conseguenza in ordine alla definizione di matrimonio, le categorie di una soggettività ridotta a pura emotività diventano centrali.

Mi fermo un poco su questo. Prima della svolta debiologizzante, in sostanza il “genoma” del matrimonio e famiglia era costituito dalla relazione fra due relazioni: la relazione di reciprocità (la coniugalità) e la relazione intergenerazionale (la genitorialità). Tutte e tre le relazioni erano intrapersonali: erano pensate come relazioni radicate nella persona. Esse non si riducevano certamente al dato biologico, ma il dato biologico veniva assunto ed integrato dentro la totalità della persona. Il corpo è un corpo-persona e la persona è una persona-corpo.

Ora la coniugalità può essere sia etero che omosessuale; la genitorialità può essere ottenuta da un procedimento tecnico. Come giustamente ha dimostrato Pier Paolo Donati, stiamo assistendo non ad un cambiamento morfologico, ma ad un cambiamento del genoma della famiglia e del matrimonio.


2. Problemi posti al Vangelo del matrimonio


In questo secondo punto vorrei individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana del matrimonio.

Penso che non si tratti in primo luogo di un problema etico, di condotte umane. La condizione in cui versa oggi il matrimonio e la famiglia non può essere affrontata in primo luogo con esortazioni morali. È una questione radicalmente antropologica quella che viene posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio. Vorrei ora precisare in che senso.


- La prima dimensione della questione antropologica è la seguente. È noto che secondo la dottrina cattolica il matrimonio sacramento coincide col matrimonio naturale . La coincidenza fra i due penso che non si possa più oggi mettere teologicamente in dubbio, anche se con e dopo Duns Scoto – il primo a negarla – si è lungamente discusso nella Chiesa latina al riguardo.

Ora ciò che la Chiesa intendeva ed intende per “matrimonio naturale” è stato demolito nella cultura contemporanea. È stata tolta la “materia”, mi sia consentito dire, al sacramento del matrimonio.

Giustamente teologi, canonisti, e pastori si stanno interrogando sul rapporto fede-sacramento del matrimonio. Ma esiste un problema più radicale. Chi chiede di sposarsi sacramentalmente, è capace di sposarsi naturalmente? Oppure: non la sua fede, ma la sua umanità è così devastata da non essere più in grado di sposarsi? Sono certamente da tenere presenti i canoni 1096 ("È necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione") e 1099. Tuttavia la "praesumptio iuris" del § 2 del canone 1096 ("Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà") non deve essere un’occasione di disimpegno nei confronti della condizione spirituale in cui molti versano in ordine al matrimonio naturale.


- La questione antropologica ha una seconda dimensione. Essa consiste nell’incapacità di percepire la verità e quindi la preziosità della sessualità umana. Mi sembra che Agostino abbia descritto nel modo più preciso questa condizione: "Sommerso ed accecato come ero, non ero capace di pensare alla luce della verità e ad una bellezza che meritasse di essere amata per se stessa che non fosse visibile agli occhi della carne, ma nell’interiorità" (Confessioni VI 16, 26).

La Chiesa deve chiedersi perché ha di fatto ignorato il magistero di san Giovanni Paolo II sulla sessualità e l’amore umano. Dobbiamo chiederci anche: la Chiesa possiede una grande scuola in cui impara la profonda verità del corpo-persona: la liturgia. Come e perché non ha saputo farne tesoro anche in ordine alla domanda antropologica di cui stiamo parlando? Fino a che punto la Chiesa ha coscienza del fatto che la teoria del "gender" è un vero tsunami, che non ha di mira principalmente il comportamento degli individui, ma la distruzione totale del matrimonio e della famiglia?

In sintesi: il secondo problema fondamentale che si pone oggi alla proposta cristiana del matrimonio è la ricostruzione di una teologia e filosofia del corpo e della sessualità, che generino un nuovo impegno educativo in tutta la Chiesa.


- La questione antropologica posta dalla condizione in cui versa il matrimonio alla proposta cristiana dello stesso ha una terza dimensione: la più grave.

Il collasso della ragione nella sua tensione verso la verità di cui parla l'enciclica "Fides et ratio" (81-83) ha trascinato con sé anche la volontà e la libertà della persona. L’impoverimento della ragione ha generato l’impoverimento della libertà. In conseguenza del fatto che disperiamo della nostra capacità di conoscere una verità totale e definitiva, noi abbiamo difficoltà a credere che la persona umana possa realmente donare se stessa in modo totale e definitivo, e ricevere l’autodonazione totale e definitiva di un altro.

L’annuncio del Vangelo del matrimonio ha a che fare con una persona la cui volontà e libertà è privata dalla sua consistenza ontologica. Nasce da questa inconsistenza l’incapacità oggi della persona di pensare l’indissolubilità del matrimonio se non in termini di una legge "exterius data": una grandezza inversamente proporzionale alla grandezza della libertà. È questa una questione molto seria anche nella Chiesa.

Il passaggio negli ordinamenti giuridici civili dal divorzio per colpa al divorzio per consenso, istituzionalizza la condizione in cui oggi versa la persona nell’esercizio della sua libertà.


- Con quest'ultima constatazione siamo entrati nella quarta ed ultima dimensione della questione antropologica posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio: la logica interna propria de gli ordinamenti giuridici degli Stati riguardo a matrimonio e famiglia. Non tanto il "quid juris", ma il "quid jus", direbbe Kant. Sulla questione in generale, Benedetto XVI ha espresso il magistero della Chiesa in uno dei suoi discorsi fondamentali, quello tenuto davanti al parlamento della repubblica federale tedesca a Berlino il 22 settembre 2011.

Gli ordinamenti giuridici sono andati progressivamente sradicando il diritto di famiglia dalla natura della persona umana. È una sorta di tirannia dell’artificialità che si va imponendo, riducendo la legittimità alla procedura.

Ho parlato di “tirannia dell’artificialità”. Prendiamo il caso del la attribuzione della coniugalità alla convivenza omosessuale. Mentre gli ordinamenti giuridici, fino ad ora, partendo dal presupposto della naturale capacità di contrarre matrimonio fra uomo e donna, si limitavano a determinare gli impedimenti all’esercizio di questa naturale capacità o la forma in cui doveva esercitarsi, le leggi attuali di equiparazione si attribuiscono l’autorità di creare la capacità di esercitare il diritto di sposarsi. La legge si arroga l’autorità di rendere artificialmente possibile ciò che naturalmente non lo è.

Sarebbe un grave errore il pensare – e agire di conseguenza – che il matrimonio civile non interessi il Vangelo del matrimonio, al quale interesserebbe solo il sacramento del matrimonio. Abbandonare il matrimonio civile alle derive delle società liberali.


3. Modalità dell’annuncio


Vorrei ora in questo terzo ed ultimo punto indicare alcune modalità in cui la proposta cristiana del matrimonio non deve essere fatta, ed alcune modalità in cui può essere fatta.

Vi sono tre modalità che vanno evitate.

La modalità tradizionalista, la quale confonde una particolare forma di essere famiglia con la famiglia ed il matrimonio come tale.

La modalità catacombale, la quale sceglie di ritornare o rimanere nelle catacombe. Concretamente: bastano le virtù “private degli sposi”; è meglio lasciare che il matrimonio, dal punto di vista istituzionale, sia definito da ciò che la società liberale decide.

La modalità buonista, la quale ritiene che la cultura di cui ho parlato sopra sia un processo storico inarrestabile. Propone di venire, quindi, a compromessi con ess o, salvando ciò che in esso sembra essere riconoscibile come buono.

Non ho ora il tempo per riflettere più a lungo su ciascuna di queste tre modalità, e passo quindi all’indicazione di alcune modalità positive.

Parto da una constatazione. La ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario eliminare le cause.

La prima necessità è la riscoperta delle evidenze originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la realtà. È la pedagogia socratico-agostiniana del maestro interiore, non semplicemente del consenso. Cioè: recuperare quel “conosci te stesso” che ha accompagnato il cammino spirituale dell’Occidente.

Le evidenze originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità del matrimonio non è una "lex exterius data", ma una "veritas indita".

La seconda necessità è la riscoperta della coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione fra i due finisce da una parte col pensare la sacramentalità come qualcosa di aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto matrimoniale a quella tirannia dell’artificiale di cui parlavo.

La terza necessità è la ripresa della “teologia del corpo” presente nel magistero di san Giovanni Paolo II. Il pedagogo cristiano si trova oggi ad aver bisogno di un lavoro teologico e filosofico che non può più essere rimandato, o limitato ad una particolare istituzione.

Come vedete si tratta di prendere sul serio quella superiorità del tempo sullo spazio di cui parla la "Evangelii gaudium" (222-225). Ho indicato tre processi più che tre interventi di urgenza.

Sono anch’io, alla fine, del parere di George Weigel che alla base delle discussioni del sinodo è il rapporto che la Chiesa vuole avere con la postmodernità, nella quale i relitti della decostruzione del matrimonio sono la realtà più drammatica ed inequivocabile.

__________


Nel citare George Weigel, il cardinale Caffarra si è riferito in particolare al seguente saggio, pubblicato lo scorso gennaio su "First Things":

> Between Two Synods. An Analysis of the Challenge of This Particular Catholic Moment

> Traduzione italiana






chiesa.espresso.repubblica.it, 20/03/15




Nessun commento:

Posta un commento