Pubblichiamo qui un articolo tratto dall'ultimo numero del Timone (marzo 2015)
di Andrea Galli
Tra giugno e luglio dello scorso anno la storica e prestigiosa abbazia benedettina di Melk, in Austria, ha tenuto i suoi esercizi spirituali. A predicarli alla comunità di monaci è stato Eugen Drewermann, un nome che forse oggi dice poco, ma è stato in voga nel mondo di lingua tedesca e non solo negli anni 80 e 90, in particolare per il suo libro Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale, una spiegazione di come il clero cattolico soffra di una endemica nevrosi a causa di aspetti della dottrina quali il sacrificio della Croce o la Trinità, e di aspetti disciplinari come il celibato ecclesiastico. A Drewermann fu revocata la possibilità di insegnare nelle istituzioni cattoliche, fu poi sospeso a divinis e nel 2005 fu lui stesso a lasciare la Chiesa. La vicenda del suo invito a Melk, che ha dell’incredibile, sarebbe passata sotto silenzio se non fosse stata rilanciata da un occhiuto sito internet e se un gruppo di fedeli non avesse deciso di scrivere a Roma, alla Congregazione per la dottrina della fede, per denunciare l’accaduto e altri fatti riguardanti l’abbazia. Tra questi, la durezza dell’abate Gerhard Wilfinger nei confronti dei monaci che avevano criticato l’iniziativa, lo stile di vita mondano dello stesso Wilfinger e la sua tolleranza di fronte a comportamenti scandalosi all’interno della sua comunità.
L’episodio è uno dei tanti che si possono citare riguardo alla condizione della Chiesa austriaca, una delle più malate – per usare un’espressione forte ma non eccessiva – tra quelle di Paesi storicamente cattolici in Europa. Lo abbiamo scelto perché fa da perfetto contraltare a un altro caso, sempre austriaco: quello di un’oasi di spiritualità cristallina, di ortodossia e di zelo liturgico in un contesto di crescente dissolvimento del cattolicesimo nello spirito del mondo. Si tratta dell’abbazia cistercense di Heiligenkreuz, situata nella cittadina a cui ha dato il nome (che alla lettera significa Santa Croce) a una manciata di chilometri da Vienna.
Un fondatore santo, un abate della Provvidenza
Fu fondata nel 1135 dal nobile Leopoldo III, della dinastia dei Babenberg. Suo figlio era entrato nella comunità cistercense di Morimond, in Francia, e gli aveva chiesto un aiuto per impiantare quell’esperienza anche in altre terre. Leopoldo è oggi venerato come santo e patrono dell’Austria. Il figlio Ottone divenne vescovo di Frisinga, è considerato il padre della storiografia tedesca, è beato e le sue reliquie si trovano proprio a Heiligenkreuz.
Tra il 1938 e il 1945, sotto il nazismo, il monastero venne quasi interamente espropriato e diversi religiosi furono allontanati. Finita la guerra, toccò all’abate Karl Braunstorfer riannodare i fili di una storia millenaria e proiettarla verso il futuro. Prese parte ai lavori del Concilio Vaticano II e ne fece ritorno carico di responsabilità, dovendo compiere il previsto “aggiornamento” senza intaccare il carisma dell’ordine e i delicati equilibri dell’abbazia. Si dedicò tra le altre cose alla certosina, meglio cistercense stesura di un nuovo breviario in latino e a un’applicazione della riforma liturgica che non mortificasse il canto gregoriano, centrale nella vita dei monaci. «L’abate Braunstorfer è stato una benedizione, un vero uomo di Dio» dice il cistercense padre Karl Wallner, «grazie a lui le turbolenze che hanno segnato gli anni ’70 in tanti ambiti della Chiesa, qui non si sono sentite o molto poco. Oggi è servo di Dio, è stata infatti aperta la sua causa di beatificazione».
Aver attraversato immuni quella stagione caotica, essersi risparmiati le sue conseguenze ha portato frutti a Heiligenkreuz e in abbondanza. Oggi è il monastero cistercense più grande d’Europa. Negli ultimi trent’anni, mentre altre comunità invecchiavano e si restringevano drammaticamente, ha visto aumentare i monaci da 42 a 86, con un’età media di 46 anni. Annesso all’abbazia, fin dal 1802 c’è un istituto teologia che dal 2007 è diventato di diritto pontificio e ha preso il nome di Papa Benedetto XVI. Gli studenti sono attualmente 274, di cui 190 da Germania, Austria e Svizzera, il resto da tutto il mondo: Europa dell’Est, Asia, Nord America e America latina. Tra loro 160 sono seminaristi o religiosi, il che fa della “Hochschule-Papst Benedixt XVI” il centro di formazione teologica con il più alto numero di candidati al sacerdozio nel mondo di lingua tedesca. Una realtà che ospita una delle biblioteche teologiche meglio fornite del Paese e che è alle prese con l’allargamento dei propri spazi per venire incontro all’aumento delle iscrizioni.
Tradizione e verità danno frutti
Come mai da Austria, Germania o Svizzera, ma anche da Paesi lontanissimi arrivano a studiare lì giovani che potrebbero scegliere destinazioni più a portata di mano o sedi metropolitane più prestigiose? Secondo padre Karl Wallner, che della Hochschule è il direttore, «è merito dell’ambiente che si è formato nel tempo, con un rapporto armonico tra naturale soprannaturale. Ogni anno sono circa 5.000 i giovani che visitano l’abbazia e la scuola e restano colpiti dal contesto semplice quanto vitale. Non siamo tradizionalisti: celebriamo con cura ma nel novus ordo, il che, se prima eravamo criticati dagli ambienti progressisti, dopo il motu proprio Summorum Pontificum ci ha attirato critiche anche dagli ambienti tradizionalisti. Non siamo tradizionalisti ma cerchiamo di far respirare la Tradizione, e una teologia che sia autenticamente cattolica, fedele al Magistero in tutta la sua bellezza e profondità. Tanti seminaristi che si trovano in seminari spenti o a contatto con ambienti teologici sterili, qui trovano stimoli per la loro crescita e linfa per la loro vita di fede». A conferma di ciò c’è un altro dato singolare. I docenti della Hochschule – fra cui anche due nomi di assoluto prestigio della cultura cattolica europea come il francese Rémi Brague e la tedesca Hanna Barbara Gerl-Falkovitz – non sono pagati. Lo fanno gratuitamente, ci dice padre Wallner, perché gratificati della platea motivata ed entusiasta che hanno di fronte.
Un altro fattore che ha contribuito al fiorire di Heiligenkreuz nelle ultime due decadi è stato quello di Joseph Ratzinger. L’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede fece visita più volta già negli anni 80 all’atipica comunità di cistercensi. Ne nacque un legame che non si è mai interrotto. Nel 2007, nel suo viaggio apostolico al Santuario di Mariazell in Austria, Benedetto XVI fece sosta a Heiligenkreuz: un gesto inatteso e che fu poco compreso. Fu un voler omaggiare «il più antico monastero cistercense del mondo restato attivo senza interruzione», come disse allora, ma soprattutto la sua esemplarità nel mantenere vivo oggi lo spirito delle origini, quello di san Benedetto, la cui regola è seguita appunto anche dai cistercensi, e quello di san Bernardo di Chiaravalle, che, ricordò il Papa, «aveva un ascendente così entusiasmante ed incoraggiante su molti giovani del suo tempo chiamati da Dio, perché era animato da una particolare devozione mariana». E «dove c’è Maria, là c’è l’immagine primigenia della donazione totale e della sequela di Cristo». Benedetto sottolineò che «un monastero è soprattutto questo: un luogo di forza spirituale», per cui arrivando in un luogo come Heiligenkreuz si ha la stessa impressione di quando, dopo una camminata sulle Alpi che è costata sudore, finalmente ci si può rinfrescare ad un ruscello di acqua sorgiva». Inutile dire che la scuola teologica dell’abbazia, che di Benedetto XVI porta ora anche il nome, dedica al pensiero del Papa merito una speciale attenzione. L’attuale abate, Maximilian Heim, è stato insignito nel 2011 del premio della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, in quanto «uno dei più acuti rappresentanti della nuova generazione di teologi che si ispirano all’opera di Ratzinger». Il preside della Hochschule, padre Karl Wallner, ha collaborato strettamente con il cardinale Gerhard Ludwig Müller, già curatore dell’opera omnia di Ratzinger e, si può dire, custode del lascito ratzingeriano alla Congregazione per la dottrina della fede.
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