giovedì 5 marzo 2015

Intervista al cardinale Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti


Robert Sarah


di Elisabeth de Baudoüin

Eminenza, nel suo libro “Dio o niente” si riferisce varie volte alla “guerra liturgica” che divide i cattolici da decenni, guerra assai sfortunata, dice lei, visto che sulla questione dovrebbero essere particolarmente uniti. Come uscire oggi da queste divisioni e riunire tutti i cattolici intorno al culto reso a Dio?

Il Concilio Vaticano II non ha mai chiesto di rifiutare il passato e di abbandonare la Messa di San Pio V, che ha generato numerosi santi, né di lasciare il latino, ma allo stesso tempo bisogna promuovere la riforma liturgica voluta da quel Concilio.

La liturgia è il luogo dato per incontrare Dio faccia a faccia, donargli tutta la nostra vita, il nostro lavoro, e fare di tutto questo un'offerta alla sua gloria.

Non si può celebrare la liturgia armandosi, portando sulle spalle un armamento di odio, di lotta, di rancore. Gesù stesso ha detto di andare a riconciliarsi con il fratello prima di presentare la propria offerta sull'altare.

In questo “faccia a faccia” con Dio, il nostro cuore deve essere puro, libero da ogni odio, da ogni rancore. Ciascuno deve eliminare dal proprio cuore ciò che può offuscare quell'incontro. Ciò presuppone che ciascuno venga rispettato nella sua sensibilità.


Non è quello che auspicava Benedetto XVI?

Sì, è questo il senso del motu prorio Summorum Pontificum [luglio 2007, n.d.r.]. Benedetto XVI ha messo molta energia e speranza in questo progetto. Purtroppo non è stato un successo totale perché gli uni e gli altri sono “aggrappati” al proprio rito escludendosi a vicenda. Nella Chiesa, ciascuno deve poter celebrare in base alla propria sensibilità. È una delle condizioni della riconciliazione.

Bisogna anche portare la gente alla bellezza della liturgia, alla sua sacralità. L'Eucaristia non è una “cena tra amici”, è un mistero sacro. Se si celebra con bellezza e con fervore, si arriverà a una riconciliazione, è evidente. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che è Dio a riconciliare, e questo richiede tempo.


In un capitolo sui papi, si riferisce alle critiche delle quali sono stati oggetto, anche all'interno della Chiesa. Non sfugge nemmeno Francesco: alcuni cattolici criticano il suo stile, ciò che fa, ciò che dice, le sue espressioni... Dall'altro lato si dice che una parte della Chiesa non ha fiducia in lui nel conservare il deposito della fede. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei fedeli in relazione al papa? Un cattolico può criticare il successore di Pietro?

La risposta è molto semplice, è nelle stesse domande: cosa pensare di un figlio o di una figlia che critica pubblicamente il padre o la madre? Come potrebbe la gente rispettare quella persona? Il Papa è nostro padre. Gli dobbiamo rispetto, affetto e fiducia (anche se le critiche non sembrano dargli fastidio).

Per via di certi scritti o di certe dichiarazioni, alcuni potrebbero avere l'impressione che egli potrebbe non rispettare la dottrina. Personalmente, ho piena fiducia in lui ed esorto ogni cristiano a fare lo stesso.

Bisogna stare tranquilli perché nella barca che egli guida c'è anche Gesù, Colui che ha detto a Pietro: “Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

Un conclave è un'azione di Dio, è Dio che dà un papa alla Chiesa. Dio ci ha dato Francesco per guidare la Chiesa oggi.


Cosa dire a coloro che dicono che egli non è il “candidato dello Spirito Santo”?

Pongo loro questa domanda: sono in contatto diretto con lo Spirito Santo?


Quanto ai “poteri che in Europa cercano di impedire ai cattolici di usare la propria libertà”, lei scrive: “La Manif pour tous dà un esempio di iniziative necessarie. È stata una manifestazione del genio del cristianesimo”. Eminenza, sostiene i cristiani che sono scesi a migliaia in strada per manifestare il proprio impegno nei confronti della famiglia e dire che ogni bambino ha bisogno di un padre e di una madre?

La nostra missione come cristiani è dare testimonianza della nostra fede. Sappiamo che la famiglia è una realtà voluta da Dio. Sappiamo quello che rappresenta per la Chiesa e la società: senza di lei non c'è futuro, né per l'una né per l'altra.

La Manif pour tous entra quindi nella testimonianza di fede dei cristiani, che difendono questa realtà. Non esito ad affermarlo: sostengo totalmente questa manifestazione nelle sue varie edizioni. Sono espressione della fedeltà alla Chiesa e alla fede.


A prima vista, però, hanno fallito!

Anche Cristo, in apparenza, ha fallito: dopo tre anni di vita pubblica l'hanno ucciso, lo hanno messo in una tomba e la tomba è stata sigillata! Ma è risuscitato e ha vinto il male.

La Manif pour tous, nelle sue varie espressioni, non ha potuto impedire le decisioni dei politici, ma ha ottenuto una grande vittoria: è riuscita a dare vigore alle famiglie. Questa è la sua grande vittoria.

Per questo deve andare avanti. Non è un atto episodico. Bisogna continuare a scrivere, a uscire, a manifestare. Bisogna anche incoraggiare le famiglie solide a lottare perché l'amore continui e non muoia.


Cosa vuole dire?

L'amore è come un fiore nel deserto, che va annaffiato e curato per impedire che gli animali lo mangino. Con cosa curare l'amore? Con attenzione quotidiana. Con cosa annaffiarlo? Con il perdono.

Bisogna anche vegliare perché questa pianta sia curata dalla preghiera, dall'incontro e dal dialogo. Senza questo, la pianta, l'amore, muore. Una pianta non può sopravvivere se non la si mantiene, ma il grande giardiniere è Dio. Se una famiglia Lo rifiuta, non dura.

Manifestare è giusto, ma bisogna curare le nostre famiglie. Bisogna vegliare perché l'amore, dono prezioso, si mantenga vivo nel cuore dei coniugi e sia vissuto in famiglia.


In Europa, il ruolo crescente dell'islam e la sua radicalizzazione nella società suscitano inquietudine. Qual è il suo sentimento, visto che lei proviene da un Paese a maggioranza musulmana [la Guinea, n.d.t.] in cui cristiani e musulmani vivono in pace e parla dell'islam come di “una religione fraterna e pacifica”?

Da dove viene la nostra paura? L'islam è presente in Europa da molto tempo, e non c'è mai stata paura. È vero che i musulmani erano meno numerosi, ma all'epoca la fede era più forte. Non esisteva nemmeno – o era molto limitato – il sentimento di minaccia.

In Guinea c'è un 5% di cattolici e un 73% di musulmani, ma non abbiamo paura gli uni degli altri. Al contrario, ci stimoliamo a vicenda attraverso la fedeltà alla nostra fede.

Di fronte ai musulmani, per i quali la preghiera e la comunicazione diretta con Dio sono fondamentali, i cristiani devono chiedersi: sono così fervente, visto che credo nel vero Dio, manifestato attraverso Cristo? Digiuno anch'io?

Dio non è qualcuno con cui si è a contatto in modo occasionale, quando si ha tempo; Egli deve stare al primo posto: in famiglia, nella società... Ogni cristiano è chiamato ad accentuare il suo rapporto con Lui.


La preghiera degli uni e degli altri è necessaria anche perché tutti vivano in pace. In questo senso, a lei piace raccontare una leggenda musulmana…

Sì, è la storia di una pastorella considerata un po' pazza, le cui pecore convivono pacificamente con i lupi. Quando qualcuno le chiede spiegazioni, lei risponde: “Ho migliorato i miei rapporti con Dio, e Dio ha migliorato i rapporti tra i lupi e le pecore”. Dio dà la pace tra gli uomini attraverso la preghiera.


Quanta lontananza dal comportamento dell'islam radicale! Come spiegare questo fatto?

Le caricature che hanno come obiettivo (tra gli altri) l'islam non favoriscono la convivenza fraterna. Il papa lo ha detto: non si deve insultare la fede altrui. Non esiste il diritto, per il fatto di non condividere la fede di qualcuno, di insultarlo e di deriderlo. Questo fatto deve finire!

I veri musulmani, però, non hanno mai assassinato nessuno. Quelli che decapitano, crocifiggono o massacrano in nome di Dio si fanno un'idea sulla quale proiettano tutta la loro violenza. Tra noi, i musulmani sono inorriditi per questi crimini, che non hanno nome.


Di fronte all'islam, crede che l'Occidente stia giocando con il fuoco?

Come ha sottolineato Benedetto XVI, che se ne preoccupava, il rifiuto di Dio non si è mai verificato con tanta forza come oggi. Se l'Occidente non tornerà alla sua cultura e ai suoi valori cristiani, può essere un pericolo mortale.

Credo, però, che arriverà un momento in cui prenderà coscienza del fatto che non si può continuare a vivere senza Dio. In questo senso, l'Africa può aiutarlo.


Nel suo libro parla molto dell'Africa: delle sue sofferenze, del colonialismo ideologico del quale è oggetto, ma anche dei suoi valori. A suo avviso, cosa può apportare oggi al mondo e alla Chiesa?

Dio ha sempre coinvolto l'Africa nel suo progetto di salvezza. È l'Africa che ha salvato Gesù al momento della fuga in Egitto. È un africano, Simone di Cirene, che lo ha aiutato a portare la croce.

L'Africa ha sofferto molto. I suoi valori sono stati negati (e lo sono ancora, attraverso quello che Francesco definisce il colonialismo ideologico, che riguarda ad esempio la teoria di genere).

Ha conosciuto la schiavitù. La sua sofferenza ha fatto dire a San Giovanni Paolo II [che ha anche annunciato che avrebbe sorpreso il mondo, n.d.r.] che il nome di ogni africano è trascritto “sulle palme delle mani di Cristo, trafitte dai chiodi della crocifissione”.

Nell'arco di qualche decennio, la Chiesa si è sviluppata molto, con numerose vocazioni sacerdotali e religiose, al punto che il beato Paolo VI l'ha chiamata “la nuova patria di Cristo”.

Visto che l'africano è profondamente religioso e non può essere separato da Dio, è lui che restituirà Dio al mondo intero.


Potrebbe dare anche il prossimo papa alla Chiesa?

Ríde. Ma questa non è la domanda! Riflette. È Dio che dà il papa...



Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti



Aleteia.org  4 marzo 2015



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